Suscitano perplessità e allarme i risultati dei test Invalsi – somministrati in occasione dell’esame di III media – recentemente pubblicati. L’Invalsi è l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione che saggia competenze in ambito linguistico e matematico.
I risultati più negativi sono stati conseguiti in grammatica: se il 21.6% dei quasi 600.000 studenti che quest’anno hanno affrontato l’esame ha conseguito voti dall’8 al 10, le insufficienze sono state il 36.7% e i 6 il 21.6%. Come di consueto – come accade anche in occasione dei test dell’Ocse Pisa, che saggiano periodicamente competenze analoghe per valutare gli apprendimenti sul piano internazione – emerge la fotografia di un Paese (e di un sistema dell’istruzione) a marce differenti: in grammatica sono state date risposte corrette solo a un quesito su 3, ma le regioni del Nord hanno segnalato , con una media di risposte di italiano corrette del 64.6%, i risultati migliori del Paese. Le regioni meridionali hanno un ritardo di 9 punti rispetto al Nord e di 6 rispetto al centro. Il Sud stesso non è omogeneo: a fronte dei pessimi risultati di Campania, Sicilia e Calabria (50.4% di risposte giuste), ci sono invece regioni come Abruzzo (61.6%), Molise (59.6%), Sardegna e Basilicata (58.8%) che registrano una quota di risposte pari o superiore alla media nazionale. La comprensione del testo ha invece fatto registrare una media del 60% di risposte giuste.
Sorprende a questo proposito l’osservazione del presidente dell’Invalsi – Pietro Cipollone – che ha dichiarato: “Questo significa che lo studente trova maggiore difficoltà proprio nel rispondere a quesiti che sono sotto il diretto controllo della scuola e che meno dipendono dal contributo della famiglia, degli amici o dei media”.
L’affermazione va collocata senz’altro nel contesto della Guerra Santa che il governo italiano sta combattendo contro la scuola statale: i ragazzi sanno poca grammatica perché quel sapere è impartito direttamente dalla scuola; sanno meglio comprendere un testo, perché in quell’abilità interviene la provenienza socio-economica-culturale. Conclusione curiosa, dal momento che la famiglia e la condizione di origine incidono notoriamente anche sulle capacità di riflessione sulla lingua, come su ogni tipo di apprendimento.
Meno curiosa se la si colloca nella necessità di licenziare bilanci di respiro pedagogico minimo, il cui unico obiettivo è – evidentemente – portare acqua al mulino di coloro che stanno falcidiando la scuola con la scusa dell’inefficacia e dell’inefficienza del sistema; che si sono fatti (solo a parole) artefici di una politica di premio al merito che, coniugata con la stigmatizzazione della inadeguatezza del sistema, pompata ad arte dai media compiacenti, sortiscono effetti di certo consenso per chi non ha voglia di porsi problemi. Analogamente, la rappresentazione del dislivello tra la scuola del Nord e quella del Sud proietta scenari in cui muoversi in senso devolutivo e di premialità alle regioni più ricche: sarà un gioco da ragazzi, nella rozza visione del sistema dell’istruzione che chi ci governa sta dimostrando.
Attenzione: è sul piano della valutazione (della valutazione artatamente strumentalizzata) che il governo troverà la giustificazione dell’impoverimento cui sta sottoponendo la scuola. Se fosse diversamente, ci si renderebbe conto che dati non fanno tanto riflettere sull’ovvia diversità tra chi è nato bene e tra chi non lo è; né sulla superiorità degli stimoli esterni alla scuola nella società della globalizzazione e della disgregazione sociale rispetto al sistema scolastico; né sull’evidente disomogeneità tra la scuola del Nord e quella del Sud. Se i nostri alunni di III media stentano sulla grammatica (e non brillano nella comprensione del testo) – risultati non certo lusinghieri anche in matematica e geometria – sarà il caso di ragionare, elaborare, studiare metodologie differenti sul cosa, sul come e sul perché si insegna. La politica muscolare del vero bastone e della falsa carota (non c’è traccia, infatti, dei fondi per i “migliori” insegnanti, promessi da lungo tempo) in rapporto a canoni superficiali e sempre inadeguati ad un mondo in continua tensione, la manipolazione di dati ad uso di operazioni di “semplificazione” del sistema (tradotto significa tagli di sapere e di posti di lavoro) vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a un serio investimento, oltre che economico, culturale. E si trasformano rapidamente in una condanna a priori e in un sabotaggio del meccanismo inclusivo in cui si sostanzia la scuola della Costituzione.
Il Fatto Quotidiano 10.08.10