ambiente

"Il futuro prossimo", di Luca Mercalli

Inizio agosto 1812: «Il caldo e la siccità duravano da più di venti giorni. Una parte di questa polvere sabbiosa era pestata dai piedi e dalle ruote; un’altra si sollevava e stava in aria come una nuvola sulle truppe, entrando negli occhi, fra i capelli, negli orecchi, nelle narici e soprattutto nei polmoni delle persone e delle bestie… Il sole pareva un grande globo di porpora.
Non c’era vento e la gente soffocava in quell’atmosfera immobile». Così Tolstoj descrive in «Guerra e pace» l’avanzata di Napoleone verso Mosca.
Uno scenario che ricorda le cronache di oggi, con la capitale russa soffocata dal fumo di boschi e torbiere in fiamme. Ma c’è una differenza importante. Nonostante il caldo dell’estate 1812 l’Europa si trovava allora ancora dentro la Piccola Età Glaciale, e pochi mesi più tardi l’esercito napoleonico in ritirata venne decimato dal Generale Inverno. Oggi l’ondata di caldo che attanaglia la Russia ha superato ogni record precedente nella serie di due secoli di osservazioni, 39 gradi raggiunti cinque volte in meno di un mese, contro i 37,2 dell’agosto 1920. La temperatura media del luglio 2010 è stata di 7,8 gradi più alta del valore normale e ha superato di 2,5 gradi il precedente record del 1938. E sempre questo luglio ha visto ben 22 giorni oltre i trenta gradi, battendo i 13 giorni del 1972, mese anche allora passato agli annali per gli incendi boschivi. Insomma, per la statistica climatologica questa non è solo un’anomalia locale come ce ne sono tante, ma un bollettino di guerra, simile alla situazione inedita che fu l’estate 2003 sull’Europa occidentale, con i suoi 35.000 morti di caldo.

In Russia per ora si mormora che le vittime siano oltre 5000, vedremo poi il bilancio definitivo. La siccità, anch’essa eccezionale, dal canto suo sta distruggendo il raccolto dei cereali con ripercussioni sul mercato alimentare mondiale. Ora, mettiamo insieme questo evento climatico russo senza precedenti noti con le straordinarie piogge monsoniche che hanno devastato una zona semidesertica del Pakistan e della Cina, le alluvioni del centro Europa di queste ore, l’ammanco di circa un milione e mezzo di chilometri quadrati di ghiaccio marino artico e il collasso delle fronti dei ghiacciai groenlandesi, il record mondiale di caldo per il semestre gennaio-giugno, il ghiacciaio Capricorn precipitato venerdì a Pemberton, vicino a Vancouver, insieme a quaranta milioni di metri cubi di fango e roccia, seconda frana per dimensioni nella storia del Canada, e tanti altri fenomeni di tale portata: diventa difficile non considerarli come sintomi del cambiamento climatico.

Eppure i commentatori europei e americani nello scorso inverno, freddo e nevoso ma non eccezionale, non esitarono a chiedersi dove fosse finito il riscaldamento globale. Eccolo, verrebbe facile scrivere ora! E sia pure con prudenza, è molto più corretta questa affermazione di quelle boutades invernali. Tuttavia oggi, quasi con pudore e forse timore di essere politicamente scorretti, non si sente più in giro un solo collegamento razionale tra la Russia in fiamme e l’effetto serra. Perché razionale? Perché guarda caso sintomi climatici di questo genere sono attesi da oltre vent’anni di ricerca scientifica che ha tracciato gli scenari del nostro futuro prossimo. Migliaia di pubblicazioni ripetono e confermano che le simulazioni individuano soprattutto le alte latitudini dell’emisfero boreale soffrire dei colpi più incisivi dell’aumento termico. Canada, Groenlandia, Artico, Siberia sono definiti «hot spot» climatici, insieme al Mediterraneo.

Ieri erano previsioni, oggi sono fatti. Un sintomo da solo, si sa, potrebbe essere fuorviante. Ma quando sono tanti, ripetuti, e per giunta attesi da tempo, allora non valgono forse più di tutte le conferenze e i protocolli internazionali? E quel caldo, tanto desiderato nelle regioni-icona del freddo, si rivela invece pernicioso su territori non preparati a sopportarlo: anche questo era noto agli addetti ai lavori, solo chi vede il mondo come un paese dei balocchi poteva pensare a una Siberia come le Maldive! Così la Madre Russia, assediata dal blocco anticiclonico africano, non ha più il Generale Inverno tra i suoi alleati.

La Stampa 09.08.10