Maria Giuliana Bigardi, dirigente scolastica a Treviso: i ragazzi usano solo l’indicativo, chiudono il cervello in una prigione.La semplificazione riduce la complessità del linguaggio.
Stiamo tornando indietro, c’è da allarmarsi: i ragazzi ormai non sanno usare altri tempi se non l’indicativo, ècomese avessero chiuso il cervello in una prigione, solo pensieri corti e concetti strizzati dalla formula degli sms; ed è questo, temo, il futuro”: se ne lamenta Maria Giuliana Bigardi, direttore di un ufficio scolastico provinciale tutt’altro che periferico in questa Italia che sta spostando il linguaggio verso spiagge inquietanti. Siamo a Treviso, piccolo cuore di una realtà economicamente evoluta, socialmente rattrappita, culturalmente in ritirata. È qui che le panchine vengono nella pratica impedite a chi ha la pelle scura, è il regno di Gentilini, il leghista felice di sentirsi chiamare sceriffo, dove i gay sono ancora “culattoni”, così come recentemente li ha definiti con spavalderia il figlio di Bossi, perché “dire le cose come stanno significa dare il pane al pane” spogliandole dai tatticismi di un linguaggio “progressista” che evidentemente si ritiene infingardo e manipolatore. La parola d’ordine, in questa realtà politica e soprattutto di potere, è “semplificare”, perché in questa semplificazione abiterebbe la verità. E secondo questa visione delle cose, la “verità” troverebbe nel dialetto il suo tappeto volante; per questo motivo, qui nel Veneto, la Lega sta premendo per introdurre il dialetto nelle scuole primarie e secondarie come vera e propria materia di studio. Quando chiesero a Mauro Marin, il vincitore dell’ultima edizione del Grande Fratello, cosa pensasse della vita e del mondo, lui rispose con un colpo di lama abbagliante: “So solo di essere nato a Castelfranco – disse – e che questo è il mio territorio”. Marin è un laureato, non un analfabeta. “Semplificando, riducendo la complessità del linguaggio – spiega la dottoressa Bigardi – i ragazzi faranno fatica a capire ciò che li circonda e anche e soprattutto gli altri, non riusciranno più a lavorare di empatia, l”altro’ sarà un muro insormontabile”. Un giornale locale si è attivato ed è andato a filmare una sorta di sondaggio tra i giovani, under 18, nel centro di Treviso. Hanno chiesto loro di coniugare al passato remoto il verbo cuocere e altre amenità;non è andata malissimo, ma la notizia è che solo le ragazze hanno accettato di parlare davanti alle telecamere: i maschietti hanno sempre rifiutato. Timidezza oppure consapevolezza di una insufficienza non mimetizzabile? Comunque, un rifiuto decisamente “di genere”, una difficoltà “di genere”. “Vede – aggiunge la signora Bigardi – sottraendo complessità al linguaggio gli si scippa anche il ruolo di mediatore “politico” nelle relazioni sociali e lo si avvia verso un ruolo improprio, in cui la prima funzione è pericolosamente contundente, sulla base di un automatismo elementare”. Benissimo: ecco impostate le radici di una nuova e più ampia violenza nelle relazioni. Colpa di chi? “Anche della scuola – risponde Bigardi – è una questione di formazione e non penso solo agli studenti ma anche agli insegnanti. Il dialetto è una buona cosa, tutto dipende da come si intende adottarlo in ambiente scolastico, vedremo che strada si intenderà seguire”. Intanto a Nord Est, dove governa una Lega molto ipocrita. Eccone un aneddoto. L’assessore provinciale di Padova, Enrico Pavanetto, esponente del Pdl, ha infilato nel suo sito on line una serie di foto in cui lo si vede fare il saluto romano, poi accanto al calciatore Di Canio, quello che fece il saluto fascista allo stadio. È scoppiato un putiferio, l’opposizione ha chiesto le sue dimissioni ma la Lega non saputo fare altro che obiettare “leggerezza” nell’uso di Facebook al collega di Giunta. Un consigliere comunale padovano del Pdl, Vittorio Aliprandi, ha inviato a Pavanetto un messaggio di solidarietà: “Non ho dubbi se devo scegliere tra un fascista e un frocio”. Rieccoci
L’Unità 09.08.10