In tempi di trivellazioni disastrose sotto il mare, dovremmo preoccuparci di questi ricercatori. Ma il governo ha portato il loro istituto, specializzato sull’ambiente, sull’orlo del baratro. Si tratta dell’Ispra, e i suoi studiosi si erano già arrampicati sui tetti alla fine dell’anno scorso, passando su un edificio della periferia di Roma – Casalotti – perfino il Capodanno. Con botti, panettoni, spumante, con le loro famiglie finalmente vicine. E poi erano arrivate le promesse, da «marinaia»: la ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo garantì il rilancio dell’istituto e il futuro del personale, con un protocollo siglato in pompa magna. Tanto che i ricercatori erano pure scesi dal tetto. Ma nulla: a distanza di 6 mesi sull’Ispra è tornata la mannaia dei tagli, i laboratori sono congelati e privi di mezzi, centinaia di precari temono di perdere il posto. E così, in settembre, potrebbero «bissare»: il tetto o qualcos’altro, non lo dicono ancora.
Intanto, da ieri, la protesta si è riattivata, perché improvvisamente tra i corridoi dell’istituto è piombata una notizia ferale: il «rosso» accumulato dall’Ispra non verrà coperto dal ministero, e dunque comincia una violentissima campagna tagli. Si fermeranno tante ricerche in atto, i contrattisti a termine rischiano di non vedere a fine anno l’agognata proroga. Uno dei commissari dell’ente, che ha incontrato ieri informalmente una delegazione di lavoratori, non ha potuto che confermare, e allargare le braccia: «Ci aspetta un autunno difficile, in cui dovremo operare delle scelte pesanti. Tenerci i precari, o fermare alcuni studi». Insomma, per il momento siamo al massimo della confusione.
E d’altra parte i commissari – o meglio, un prefetto e due commissari – sono i vertici dell’Ispra sin dalla sua nascita. L’istituto per le ricerche sull’ambiente vede la luce nel 2008, ma non ha mai avuto una regolare dirigenza: lo volle la stessa ministra Prestigiacomo, appena insediata, per unificare tre vecchi istituti – l’Icram (studi sul mare), l’Infs (fauna selvatica) e l’Apat (agenzia servizi tecnici per l’ambiente) – ma fu subito commissariato, e da allora è rimasto così. Il personale – frutto perlopiù dell’accorpamento dei tre enti – è formato da circa 1500 dipendenti, ma 300 di loro sono precari.
Le ricerche svolte dall’Ispra sono molto importanti per l’ambiente: inquinamento, specie protette, biodiversità, pesca, tutela del territorio, rischio idreogeologico. Ma ci sono anche diversi casi di cronaca recente: ad esempio, sono stati ricercatori Ispra a mettere in luce i pericoli di inquinamento che vengono dalle cosiddette «navi dei veleni», inabissatesi nei nostri mari (il manifesto vi ha dedicato un’inchiesta nei mesi scorsi). Ancora, l’Ispra ha in mano una commessa dell’Eni, per il monitoraggio continuo delle basi petrolifere al largo delle coste italiane: anche questo progetto è in pericolo, e non va certo spiegato perché sarebbe importante, al contrario, che non si fermasse neanche un giorno (la recente «marea nera» Usa dice tutto).
I soldi di cui l’Ispra ha bisogno per coprire il suo buco di bilancio e ripartire, sono 24 milioni di euro (5 milioni dei quali necessari specificamente per le ricerche sul mare). Ci sono voci che forse qualcosa – circa 8 milioni per coprire giusto le emergenze – potrebbe essere reperito già entro settembre: «Stiamo lavorando con il governo», ha detto ieri uno dei tre commissari congedando la delegazione di ricercatori, e impegnandosi a riconvocarli ufficialmente a fine agosto. Ma chissà.
«Finora non abbiamo visto che tagli e promesse: ma tutte le nostre attività, così come i contratti del personale, hanno bisogno di risorse – spiega Angela Imperi, ricercatrice Flc Cgil – E il protocollo siglato al ministero? L’80% di quegli impegni non è stato rispettato fino a oggi».
Massimiliano Bottaro, ricercatore e rappresentante Usi-Rdb, ricorda le 59 notti passate sul tetto della sede di Casalotti: «Abbiamo combattuto praticamente per le stesse cose che ancora oggi ci negano: più fondi alla ricerca, la conferma e l’assunzione di tutti i precari. Io sono a termine da 10 anni, e sono in molti come me. In 200 hanno già perso il posto a giugno 2009, mentre noi – altri 200 – siamo riusciti ad avere una proroga grazie alla lotta sul tetto. Ma per il resto, mi sembra che abbiamo ottenuto ben poco».
C’è molta amarezza, e paura, tra i ricercatori Ispra, nonostante abbiano avuto la forza di lottare in passato, e la conservino anche oggi: ma il governo è quello che è, lo sanno bene. L’opposizione li sta sostenendo e – in incognito – pare anche qualche deputato della maggioranza, dell’area «finiana»: ma il nome è top secret, come si può capire, berlusconiani e leghisti non perdonano.
Secondo la Usi-Rdb, peraltro, i soldi per sanare il debito sarebbero già in cassa: perché l’istituto vanterebbe un credito con il ministero dell’Economia di 14 milioni di euro, mentre in un conto – per il momento blindato – stazionerebbero 22,5 milioni destinati ad adeguare le sedi ex-Icram. Basterebbe quindi uno sforzo per sbloccare queste risorse.
«La richiesta di assestamento del bilancio Ispra e la piena attuazione del Protocollo d’intesa sul precariato erano stati fin dal giugno scorso i punti centrali delle nostre rivendicazioni e avevano portato i lavoratori a mobilitarsi davanti al ministero dell’Ambiente – dice Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil – Siamo pronti a un autunno caldissimo per contrastare le scelte di un governo irresponsabile».
Il Manifesto 07.08.10