Mi unisco alla ministra Gelmini nel caldeggiare la laurea honoris causa a Umberto Bossi in scienza della comunicazione. Il rettore dell’Università dell’Insubria, cui si deve la brillante iniziativa, non ha certo bisogno di aiuto per redigere le motivazioni del meritato riconoscimento, ma vorrei comunque ricordare il contributo del dottor Bossi alla comunicazione politica in un Paese come il nostro, stremato dal linguaggio ipnotico dei democristiani e da quello inaccessibile di Spadolini, che riusciva a pronunciare anche sette congiuntivi di seguito senza sbagliarne uno.
Dopo una fase pionieristica, nella quale il dottor Bossi ha saputo sapientemente alternare il registro scurrile (è l’età del celodurismo e del tricolore carta igienica) con la metafora guerriera a sfondo erotico (i kalashnikov e lo spadone di Alberto da Giussano piantabile in luoghi ogni volta piacevolmente diversi), negli ultimi tempi l’accademico ha imboccato una strada davvero innovativa: l’abolizione delle parole, retaggio ingannevole del passato, sostituite da ombrelli, diti medi e mani aperte a casseruola. Questa è, al momento, la punta più avanzata della ricerca. Ma confidiamo negli studi del dottor Fabrizio Corona.
La Stampa 07.08.10
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“Bossi, il dito medio con la laurea”, di Francesco Merlo
Non vuole premiare Umberto Bossi con il dito medio d´argento, ma vuole che l´università lo laurei honoris causa. La ministra Gelmini, definitivamente rivelandosi come la principessa del Parnaso, propone all´Accademia italiana di dare il tocco e la toga all´efficacia della volgarità nel linguaggio politico, di maritare il Sapere con l´indecenza grammaticale, di adottare l´insulto come forma di comunicazione colta.
E mette le mani avanti. Prima ancora di spiegare si difende: «Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di mettere in dubbio il buon diritto di Umberto Bossi, che è parte della storia di questo paese, a ricevere una laurea honoris causa». Caso classico di excusatio non petita («scusa non richiesta» lo traduciamo per Bossi e la Gelmini) questa dichiarazione è un evidente segno di cattiva coscienza.
La Gelmini ha infatti tutto il diritto di sventolare Bossi come bandiera ideale, di esaltarlo come padre della patria padana, di rimanere incantata dinanzi alle sue ruvidezze. Ma per queste ragioni potrebbe al massimo certificargli il celodurismo assegnandoli il “priapo di cera” o magari insignirlo di uno speciale “premio Omero” come inventore di nuovi miti, vate del dio Po e dell´ampolla. Le è invece venuta di l´idea di fargli conferire dal Senato accademico di Varese (ci vuole l´unanimità) una laurea che se davvero gli fosse assegnata confermerebbe la fenomenale levitazione dell´asino che diventa aquila ma intanto immensamente illumina l´aureola sapienziale di questa nostra Minerva.
Ricordo che nello studio di Quintino Cataudella, già vecchio e malato, un´intera parete era tappezzata dai titoli che le università di ogni parte del mondo gli avevano conferito e non si capiva se erano quelle ad onorarlo o se era lui ad onorare quelle. È vero che oggi una laurea non si nega a nessuno ed è probabilmente giusto che questo genere di “onore” abbia perso la sacralità di una volta. Ma Bossi dottore non è neppure uno sproposito, è una caricatura, un bel copione per Corrado Guzzanti. E basti pensare alla lectio magistralis che dovrebbe tenere nell´aula magna e all´anello che gli verrebbe donato per sposarlo con la Scienza. Chissà, potrebbe partire da lì il movimento delle “dislauree” ad honorem, dottori che vengono sdottorati per non meritare quel che ha meritato Bossi…
Eppure questa notizia spiritosissima è proprio vera: la signora che amministra e governa la cultura italiana sta seriamente cercando di celebrare il suo ispiratore politico, il suo capo, il suo leader con quello che di meglio si ritrova tra le mani, non un titolo nobiliare ma accademico, non un marchesato ma una laurea. Al fondo c´è l´arrogante certezza che il sapere non sia fatica di libri, che la cultura non sia un traguardo da raggiungere ma un omaggio che si ottiene per raccomandazione. E, come tutti capiscono, non c´è migliore raccomandazione di quella del ministro. È insomma della Gelmini che parla la proposta di laurea molto più che di Bossi: asinus asinum fricat (e questa non la traduciamo per non fargliela capire).
Ma ascoltiamola ancora e, per un attimo, prendiamola pure sul serio: «Se c´è uno che la merita è lui». È evidente che, trattandosi di Scienza della Comunicazione, la Gelmini non può riferirsi ai programmi di Bossi, al federalismo o alla secessione, alla rivolta contro Roma, al rifiuto di pagare le tasse, alla difesa dell´etnia padana contro gli stranieri, i meridionali, i neri, gli omosessuali e i mussulmani. La Gelmini non può insomma proporre di laureare honoris causa un progetto politico. Sono invece gli strumenti, le forme, gli slogan, la parlata, il codice, il gergo e lo slang che, secondo la Gelmini, meritano l´alloro.
Di sicuro a molti altri italiani Bossi è apparso autentico, simpatico e sanguigno, ma la Gelmini vuole dargli la laurea perché prometteva «pallottole», definiva i rivali degli altri partiti «lumache bavose», con la bandiera «si puliva il culo», proponeva di «impiccare» gli avversari politici, mettere «l´anello la naso dei meridionali» , schedare gli extracomunitari «con le impronte dei piedi», «buttare nel cesso il tricolore» e intanto propalava corbellerie storiche su Federico Barbarossa, Alberto da Giussano, Cattaneo… Bossi è un repertorio infinito di parole rozze, di slogan violenti, di trivialità strampalate. Di sicuro ci si può laureare in Scienza della Comunicazione studiando Bossi ma non si può laureare Bossi in Scienza della Comunicazione. Ci si può laureare studiando il potere e il valore della pernacchia e dell´esibizione del dito medio, ma non si possono laureare la pernacchia e il dito medio. A meno che la Gelmini, nota latinorumista di Brescia, vedendo Bossi all´opera non sia si ricordata che in medio stat virtus.
La Repubblica 07.08.10