La Commissione di Bruxelles chiede chiarimenti al governo Berlusconi. Nel mirino il ministro dell’Economia per la Finanziaria che si dimostra contraria alle norme europee sull’integrazione.
Nuovo sganassone dell’Unione europea al governo italiano. Dopo la fitta corrispondenza che ha portato il ministro Maroni a una clamorosa marcia indietro sul “pacchetto sicurezza”, a Palazzo Chigi e al Viminale, dove debbono aver creato speciali uffici postali per smaltire le lettere con “richieste di chiarimenti” inviate dalla Commissione, è arrivata un’altra pioggia di letterine pepate. Stavolta non è solo il ministro dell’Interno al centro dell’attenzione: ci sono anche il suo collega all’economia Tremonti, il consiglio dei ministri nella sua interezza e il garrulo titolare del dicastero dei rapporti con l’Unione europea, che non si capisce perché prenda ancora lo stipendio visto che praticamente ormai da Roma non arriva a Bruxelles provvedimento che non sia contrario alle norme dell’Unione.
Nel mirino del commissario alla Giustizia Barrot, che pure in passato ha fatto di tutto (forse anche troppo) per non litigare con il governo italiano è finita la legge 133 del 6 agosto, la manovra finanziaria che, per intenderci, ha decretato pure i tagli su scuola e università. Barrot ha fatto sapere al Parlamento europeo, rispondendo a una interrogazione della deputata Donata Gottardi (Pd-Pse), di aver “sollecitato le autorità italiane” a fornire spiegazioni su ben quattro articoli della legge (11, 20, 81 e 83) che appaiono oggettivamente discriminatòri verso gli stranieri e perciò contrari al diritto comunitario.
L’art. 11, che riguarda il cosiddetto “piano casa”, stabilisce che soggetti destinatari degli interventi possano essere solo “gli immigrati…residenti da almeno 10 anni nel territorio nazionale ovvero da almeno 5 anni nella medesima regione”. La limitazione – fanno notare gli uffici di Barrot – è contraria al principio dell’eguaglianza che il diritto comunitario garantisce a tutti gli “ospiti” di lunga durata nei paesi della Ue. Anche l’art. 20 (disposizioni in materia contributiva) prevede la stessa, illecita, discriminazione nei confronti di chi è in Italia da meno di 10 anni. L’art. 81 (settori petrolifero e del gas) esclude invece tutti gli stranieri da una “carta acquisti” riservata espressamente ai “residenti di cittadinanza italiana” (insomma, una specie di jus sanguinis al distributore) e l’art.83, prevedendo un programma di controllo fiscale ai residenti da meno di cinque anni, insuffla il dubbio, offensivo e soprattutto sbagliato, che gli immigrati evadano le tasse più degli italiani. Bocciato anche questo.
Che cosa succederà, ora? Sulle misure in materia di “sicurezza” Maroni ha potuto far marcia indietro, a suon di bugìe espresse e di bugìe per omissione, perché si trattava di disposizioni governative o di decreti attuativi di direttive comunitarie. Ma la 133 è una legge e modificarla alla chetichella non è possibile neppure nel paese delle facce di bronzo. L’ipotesi più probabile è che il governo Berlusconi faccia finta di nulla e rischi il procedimento di infrazione e la condanna da parte della Corte di Giustizia europea. L’Italia con il suo razzismo strisciante e l’insofferenza verso il diritto continuerà ad allontanarsi da Bruxelles.
L’Unità, 8 Novembre 2008