Il presidente Obama dice che negli Stati Uniti per ogni posto di lavoro disponibile ci sono cinque disoccupati in coda. Nonostante i segnali di risveglio dell’economia americana, ben più sostenuti di quelli europei e italiani, il dato diffuso dalla Casa Bianca testimonia che è ben fondato il timore di quanti prevedono una ripresa senza occupazione. A maggior ragione questa preoccupazione dovrebbe investire governo e imprese del nostro Paese perchè è evidente che l’autunno non ci porterà la fine della crisi che ormai dura dal 2008, ma un periodo di nuove difficoltà soprattutto sul fronte sociale. Le recenti valutazioni del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, e le stesse stime di Confindustria condividono la prospettiva che per l’occupazione il peggio deve ancora venire, anche se il Pil mostra finalmente un segno positivo. La disoccupazione reale è attorno al 10%, forse di più, giovani e donne sono i più colpiti, non ci sono segni che possano far immaginare una netta inversione di tendenza. La creazione di nuovi posti di lavoro ha bisogno di una forte ripresa dell’economia e non sarà sufficiente l’1 per cento, più o meno, che riusciremo a conquistare. In più oggi bisogna considerare l’impatto della manovra correttiva dei conti pubblici. per la quale è atteso il voto di fiducia della Camera, che potrebbe non garantire il raggiungimento degli auspicati obiettivi sul bilancio dello Stato con la conseguente necessità di un’altra stangata, e potrebbe frenare o pregiudicare i segnali di ripresa. Ecco perchè i prossimi mesi, dopo l’estate, saranno di grande incertezza per la nostra economia e di forte difficoltà per la tenuta del tessuto sociale, già indebolito dalla lunga crisi. L’autunno si presenterà agli italiani con un’economia ancora debole, una pressione fiscale da record perchè Berlusconi ha aumentato le tasse, servizi locali tagliati dalla manovra e redditi ancora in caduta con una conseguente stagnazione dei consumi. Oggi, inoltre, al di là della congiuntura economica, è necessario aggiungere una valutazione sul comportamento di grandi gruppi e di nomi prestigiosi dell’industria che stanno maturando scelte che potrebbero avere conseguenze gravi sull’occupazione. Telecomunicazioni, siderurgia, auto, elettrodomestici, chimica, tessile, i settori principali della nostra industria sono coinvolti in piani di ristrutturazione e di riorganizzazione che lasciano a casa migliaia di lavoratori. Il processo è iniziato da molti mesi, ha accompagnato l’evoluzione della crisi, e proprio in questo periodo si sta accentuando quasi si volesse posticipare ancora la fine dell’emergenza. C’è da chiedersi, almeno, se tutti questi sacrifici sul fronte occupazionale siano davvero necessari per superare la crisi e rilanciare l’industria, o se, invece, il semplice taglio dei dipendenti, magari accompagnato da chiusure di fabbriche e da delocalizzazioni produttive, non sia una scorciatoia per recuperare margini di profitto. Davanti a ogni crisi il capitalismo ne esce con profonde ristrutturazioni e con tagli occupazionali, ma anche in questo momento ci sarebbe spazio per un intervento pubblico, una regia del governo in grado di orientare le scelte industriali, gli investimenti, per verificare se davvero chiusure e licenziamenti non abbiano alternative. Sarebbe necessaria, insomma, una coerente politica industriale,come fanno altri paesi europei, ad esempio Germania e Francia. Da noi, invece, Berlusconi e Sacconi si limitano a fare il tifo per la Fiat a Pomigliano e guai a chi non ci sta. A proposito di auto e diritti…. La storica fabbrica Volkswagen di Wolfsburg, dove gli operai guadagnano quasi il doppio di quelli italiani, ha prodotto oltre 700mila vetture nel 2009. Nessuno ha chiesto agli operai di rinunciare a tutele e diritti.
L’Unità 20.07.10
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“Da Piombino alla Natuzzi la crisi italiana non finisce”, di Giuseppe Vespo
Venduti per 1,54 euro, i 2.200 operai delle Acciaierie di Piombino del gruppo Severstal ex Lucchini aspettano di sapere qualcosa del loro futuro. Venti giorni fa la multinazionale russa Severstal li ha ceduti, (50,8% delle azioni) insieme a 700 milioni di euro di debiti, ad una finanziaria cipriota controllata da uno dei suoi patron, il magnate Alexey Mordashov. Un’operazione realizzata per non gravare sulla casa madre e prendere tempo, nella speranza di trovare – magari – un acquirente. Giovedì si riunirà il vertice del gruppo mentre i lavoratori di Piombino saranno in sciopero, in strada con una grande manifestazione. Il29sono attesi invece al ministero senza ministro dello Sviluppo economico, dove incontreranno il sottosegretario Stefano Saglia con il quale sperano di parlare di un piano industriale. Molti chilometri più giù, a Bari e a Matera l’incertezza sul futuro del lavoro per molti si è trasformata in rassegnazione: un mese fa i 2.950 dipendenti della Natuzzi, azienda simbolo del sofà di qualità, si sono visti prorogare la cig in deroga fino al 15ottobre: si lavora a rotazione per qualche giorno al mese, seguendo un valzer che va avanti dal 15 giugno del 2005. Ad ottobre i sindacati sono attesi al ministero dello Sviluppo per mettere a punto un accordo di programma. Da queste parti dal Duemila, secondo quanto ricostruisce il segretario generale Fillea-Cgil Saverio Fraccalvieri sono andati perduti migliaia di posti di lavoro. Colpa dell’euro troppo forte sul dollaro e della crisi dei mercati, l’indotto del divano oggi conta cinque o sei mila addetti contro i 14mila di dieci anni fa. Così sono almeno settemila gli ex lavoratori che tirano a campare con la «mobilità in deroga » concessa dalla regione Puglia. L’indotto, il lato oscuro dell’industria in crisi si sta sgretolando anche da altre parti. Nel mondo degli elettrodomestici e del cosiddetto bianco, per esempio. In questo settore la madre di tutte le vertenze si chiama Antonio Merloni. I dipendenti marchigiani, umbri ed emiliani del gruppo di Fabriano sono tremila. Settemila con l’indotto. Da ottobre 2008 sono fermi, in cig straordinaria quasi a zero ore, in attesa di essere venduti a pezzi. Cosa che forse, annunciaA nna Trovò segretaria nazionale Fim-Cisl, avverrà per le produzioni di bombole a gas e cucine. Da qualche giorno anche i cugini della Indesit di Brembate, Bergamo e Refrontolo, Treviso, vivono nell’incertezza: il nuovo piano prevede la chisura dei due siti che occupano più di 500 persone. Che siano lavatrici, automobili, telefonia o chimica, poco cambia. Esuberi e cassa integrazione sono il presente di 600mila lavoratori. E il ridimensionamento sembra il destino di pezzi grossi dell’industria. Nel settore chimico Vinyls e Lyondell- Basell cercano acquirenti, Eurallumina è ferma da un anno. I circa seimila addetti ai call center di Phonemedia oggi manifestano a Torino, Bari e Catanzaro, per ottenere un tavolo che faccia il punto sul futuro di questo asset del gruppo Omega. Lo stesso a cui è stata ceduta Agile, la costola di information technology di Eutelia che occupava duemila persone. Nel frattempo Telecom annuncia altri 3.700 esuberi e Fiat chiude Termini Imerese con quasi duemila operai e la Cnh di Imola con 280 dipendenti. Sono alcune tra le vertenze più conosciute. Circa duecento quelle che occupano i funzionari dello Sviluppo economico, anche loro privi di ministro. L’ultimo – ma non per via della crisi – è rimasto senza lavoro.
L’Unità 20.07.10
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