Milano ha riparato al torto premiando Silvio Berlusconi sul tetto di quel Duomo che solo sette mesi fa lo sciagurato Tartaglia, sciagurato come il manzoniano Egidio, gli aveva tirato in faccia. E’ stata una serata di gran gala, coronata da un concerto di Charles Aznavour, forse per ricordare che anche il premier aveva cominciato come chansonnier. C’era tanta Milano bene e c’erano i ministri La Russa, Gelmini e Brambilla; c’era il sindaco Moratti naturalmente, c’erano Feltri, Fede, Confalonieri e la Santanchè, c’era anche Lele Mora. Non c’era nessuno della Lega, forse anche perché la prima canzone di Aznavour in programma era “Les emigrants”.
L’occasione l’ha inventata il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, il quale ha ricordato che proprio 150 anni fa Massimo D’Azeglio proclamò il primo consiglio provinciale della storia di Milano. E così ha istituito il premio “Grande Milano”, assegnandolo a Berlusconi appunto e a don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele. E siccome era come detto il 150° anniversario della Provincia, e siccome don Verzé ha detto che i suoi scienziati stanno studiando come farci campare fino a 150 anni, e siccome Berlusconi ha detto che vuol vivere fino a 150 anni perché ha ancora bisogno di tempo per mettere a posto l’Italia, insomma alla fine i conti tornano.
Una “riparazione”, dicevamo. Forse per questo all’estensore della nota con cui si motiva il premio a Berlusconi è scappata un po’ la mano. “Con straordinaria lungimiranza e capacità…”, “grazie alle sue eccezionali qualità umane e imprenditoriali…”, “la sua vita è un mirabile esempio…”, “ha scelto di dare il proprio contributo, mettendosi, con impegno e coraggio, a servizio del Popolo italiano, perseguendo la sua missione di libertà”, “personalità dallo straordinario carisma, è amato da tanti italiani…“statista di rara capacità, conduce con responsabilità e lucida consapevolezza il Paese verso un futuro di donne e di uomini liberi, che compongano una società solidale, fondata sull’amore, la tolleranza e il rispetto per la vita”.
Guido Podestà, che di Berlusconi fu dipendente ai tempi dell’Edilnord (l’alba dell’impero) ha letto questa motivazione con emozione. Tanto che per tre volte ha post-datato sant’Ambrogio a “700 anni fa” invece di millesettecento. Il premier ha risposto che per ben cinque volte ha rifiutato questo premio perché “sono allergico ai premi”, ma poi ha ceduto all’insistenza. Ha speso parole di affettuoso elogio per l’altro premiato, don Verzè, che poco prima aveva spiegato di non voler presentarsi al cospetto del suo “Azionista di maggioranza senza aver prima sconfitto il cancro”. “Anche il mio governo – ha detto Berlusconi – ha messo nel proprio programma la battaglia contro il cancro”.
Sono giorni difficili per Berlusconi. Quando, proprio qua sotto il Duomo, lo avevano colpito, si era convinto a lanciare la campagna per il “partito dell’amore”. Uomo che non si accontenta di comandare ma vuole anche essere amato, deve registrare ancora una volta quanti nemici ha. Ne ha parlato, appena ricevuto il premio, con toni sofferenti. I duri attacchi degli oppositori sono per lui una ferita più umana che politica. Ha ricordato tutti i successi del suo governo – l’emergenza all’Aquila, i rifiuti di Napoli, gli arresti di mafiosi – e ha detto che mai come adesso “l’Italia gode di tanto prestigio all’estero”. Solo alla fine ha ritrovato un po’ di buon umore e ha rivestito gli antichi panni dell’intrattenitore, dell’uomo di spettacolo: ha annunciato Aznavour (“Non canto con lui perché dimostrerei che sono più bravo”), ha provato a far intonare “O mia bela Madunina” al sindaco, ha proposto a don Verzè di confessarlo lì in diretta e in pubblico, sul tetto del Duomo. Il sacerdote-manager ha risposto che Berlusconi è un uomo della Divina Provvidenza e non ha bisogno di confessarsi.
Poi, il grande Charles. Berlusconi lo ha presentato in francese e ha rinnovato la sua tentazione di cantare con lui. Ma Aznavour aveva già messo le mani avanti il giorno prima: “Abbiamo due repertori diversi, Berlusconi preferisce Trenet”. Quello di “Que reste-t-il de nos amours”. In un momento in cui molti vorrebbero sapere che costa resta veramente del vecchio amore fra Berlusconi e gli italiani. A giudicare da ieri sera, ne resta ancora molto, visto che dopo il discorso del premier il tetto del Duomo si è svuotato e il povero Aznavour si è ritrovato a cantare tra pochi intimi.
La Stampa 20.07.10