Il sogno: “Meno tasse per tutti”. La realtà: nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4% cento del Pil, nel 2009, alla fine del “decennio berlusconiano”, questa percentuale è salita al 47,2%, il valore più alto mai raggiunto. In termini assoluti, nello stesso periodo le entrate sono cresciute del 33%, un valore superiore di ben 12 punti percentuali rispetto alla crescita dei prezzi, ferma al 20,6%.
Degli slogan elettorali di Berlusconi quello sulle tasse che diminuiscono, liberando risorse per famiglie e imprese, è certamente il più riuscito. Non c’è dubbio: nell’immaginario collettivo di moltissimi italiani i suoi governi si sono caratterizzati come quelli che non hanno “messo le mani nelle tasche della gente”. Al contrario, gli stessi slogan del centrodestra e dei media di Berlusconi (tv e giornali) hanno accreditato i governi di centro sinistra come quelli che hanno sempre puntato ad alzare le tasse. Al punto che negli ultimi giorni della campagna elettorale del 2006 Prodi perse terreno sulla base della martellante campagna mediatica di Berlusconi. Con il risultato che quella che fino a poche settimane prima sembrava per il centro sinistra una marcia trionfale si trasformò invece in una risicata vittoria, per non dire una mezza deblacle, come si vide meglio un anno e mezzo dopo.
Chi ha creduto a quest’abile costruzione propagandistica di Berlusconi potrà trovare sorprendenti i dati contenuti nelle relazioni annuali della Banca d’Italia. Dati che smentiscono in toto le roboanti affermazioni che il nostro premier ci ha regalato in tutti questi anni.
In estrema sintesi, i numeri evidenziano con chiarezza due circostanze: 1) le entrate dello Stato nel “decennio berlusconiano” non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura aumentate, in relazione sia all’inflazione, sia al prodotto interno lordo. Non soltanto non c’è quindi stata la promessa riduzione delle tasse, ma al contrario è aumentata la voracità dello Stato. 2) L’incremento delle entrate dello Stato non è stato però causato da un incremento omogeneo delle principali fonti di gettito, ossia imposte dirette (quelle sul reddito), imposte indirette (Iva e accise) e contributi previdenziali (essenzialmente Inps e Inpdap).
In effetti, analizzando le principali componenti delle entrate dello Stato, vediamo che le imposte dirette sono cresciute tra il 2000 ed il 2009 del 33 per cento, una percentuale più alta di quasi 12 punti percentuali rispetto al 20,6 dell’inflazione, ma in relazione alla crescita del Pil sono rimaste sostanzialmente immutate (soltanto 0,2 punti percentuali in più nello stesso periodo).
È quindi corretto ammettere che il gettito delle imposte che si pagano con la busta paga (lavoratori dipendenti) o con la dichiarazione dei redditi (autonomi) non è aumentato, ma questo risultato può dipendere anche dal diverso livello di evasione fiscale. Infatti, confrontando le aliquote Irpef per gli anni 2000, 2005 e 2009, non si riscontra una palese riduzione delle stesse, che anzi tendono ad aumentare per i redditi più bassi, sebbene tale incremento possa risultare neutralizzato da maggiori detrazioni. In conclusione, le imposte dirette non sono aumentate, ma neppure diminuite, ed in ogni caso non vi sono state “meno tasse per tutti”.
È invece leggermente diminuito il gettito delle imposte indirette, ossia Iva e accise, se lo si rapporta all’andamento dell’inflazione (meno 2,3 per cento nel periodo considerato), ed in particolare, se lo si confronta con il Pil: da un 14,7 per cento del 2000 si è scesi ad un 13,6 del 2009. In particolare, c’è da notare che la riduzione più accentuata è avvenuta negli ultimi due anni, e cioè nel 2008 e nel 2009 (nel 2007 era ancora uguale a quella del 2000).
Questo spostamento dal prelievo indiretto a quello diretto viene in genere considerato nei testi di Scienza delle Finanze come un fatto equitativo: infatti con le imposte dirette si paga in maniera progressiva a seconda del reddito (più è alto più si versa al fisco). In altre parole, i più “poveri” pagano meno tasse in proporzione al proprio reddito. Al contrario, sempre nella dottrina classica, il minore peso delle imposte indirette può essere considerato un fatto positivo dal punto di vista sociale, in quanto le imposte indirette non hanno natura progressiva, e quindi rappresentano un fardello evidentemente più pesante per i percettori di redditi più bassi.
Calando questi argomenti nella situazione italiana, caratterizzata da un’evasione fiscale impressionante (si stimano ormai 120 miliardi di euro di imposte non pagate), la riduzione del gettito delle imposte indirette che si è verificato, ad aliquote Iva e importi delle accise invariati, potrebbe segnalare una maggiore evasione, che si realizza essenzialmente con le attività in nero e con il meccanismo delle cartiere, ossia delle società create per emettere fatture false.
Quindi, non ci sono state complessivamente meno tasse per tutti. Anzi sono cresciute le imposte dirette – che colpiscono particolarmente coloro che, come i dipendenti (ma anche molti autonomi) non possono evadere – e questo non è in Italia e nelle attuali circostanze un fatto positivo: dice soltanto che si accresciuto l’obolo che lo Stato pretende sui redditi effettivamente dichiarati. Ovvero, come ha detto di recente il Governatore della Banca d’Italia, sostanzialmente sulle stesse persone. Mentre non ci sono stati nel decennio berlusconiano segnali di un recupero dell’evasione, altrimenti si sarebbe visto anche un aumento delle imposte indirette.
Va comunque detto che il calo delle imposte indirette negli ultimi due anni è certamente da mettere in relazione anche con la crisi economica. Da notare, tuttavia, che nel decennio considerato l’anno in cui il gettito delle imposte indirette è stato più alto in assoluto è il 2007, al tempo del secondo governo Prodi: 227 miliardi, poi scesi 216 nel 2008 e a 207 nel 2009. Insomma, comunque la si voglia vedere, di certo i governi di Berlusconi non si sono caratterizzati per una lotta all’ultimo sangue contro l’evasione e l’elusione. Anzi.
Un altro dato molto interessante viene dalla voce contributi sociali, che è in assoluto la componente della pressione fiscale cresciuta di più (+46,6% in 9 anni), sia rispetto all’aumento del costo della vita (+26 punti), sia in relazione al Pil (dal 12,4% del 2000 al 14,1% del 2009). In altre parole è aumentata di molto la pressione fiscale sul fattore lavoro, in particolare su quello dipendente.
La Repubblica 19.07.10