Sarà un voto di fiducia, politico anziché sui contenuti della manovra. Fin qui nulla di nuovo. Ma questa volta i senatori voteranno ancora più al buio del solito. Dovranno davvero fidarsi dell´esecutivo: a poche ore dal voto dell´Aula non era infatti ancora disponibile la tabella che riassume e quantifica gli effetti delle variazioni apportate al testo originario del decreto nell´ultimo mese e mezzo. Come spesso accade, queste modifiche vengono introdotte all´ultimo momento dai sottosegretari e possono anche differenziarsi significativamente da quelle approvate in Commissione Bilancio.
La manovra è importante, ma piccola al cospetto degli altri paesi europei. Se da noi ci sono “lacrime e ue”, chissà cosa dovrebbero dire i cittadini francesi e belgi, che subiscono un aggiustamento fiscale tre volte superiore al nostro. Per non parlare dei cittadini di paesi nell´epicentro della crisi con aggiustamenti da cinque (Portogallo) a dieci (Irlanda) volte maggiori del nostro. Non possiamo che augurarci che non si rendano fra un anno necessari nuovi interventi correttivi, date dimensioni e crescita inarrestabile del nostro debito pubblico. Aumenta di 1.300 euro al secondo. Ci sono, peraltro, molte scommesse nel decreto, dal successo della lotta all´evasione, che conta per un terzo della manovra, al fatto che i tagli ai consumi intermedi dei Ministeri siano tagli veri e non semplici rinvii di spese ad esercizi futuri. Le misure draconiane inizialmente previste in caso di accertamento di somme dovute al fisco sono state fortemente depotenziate in Commissione Bilancio dopo le proteste di Confindustria e questo non potrà che avere effetti significativi sulle entrate.
Se il Governo aveva poco margine nel decidere l´entità dell´aggiustamento, posti i vincoli internazionali, e certamente non poteva fare una cura dimagrante ancora meno impegnativa, certamente aveva ampi margini nel decidere la composizione (fra maggiori entrate e minori spese), la qualità (gli effetti sulla crescita economica) e il profilo distributivo della manovra. È principalmente su questi aspetti che deve essere, dunque, giudicato il suo operato.
La composizione della manovra è molto diversa da quella inizialmente annunciata e da quanto previsto in altri paesi. Ben il 40 per cento dell´aggiustamento è legato a maggiori entrate, anziché a minori spese. Nel Regno Unito i tagli alle spese (soprattutto dei ministeri) contribuiscono fino all´80 per cento della manovra. Anche in Belgio, Germania, Irlanda e Spagna la parte preponderante della manovra avviene sul lato delle spese. I nostri tagli alle spese sono peraltro fortemente concentrati (al 60 per cento) sulle autonomie locali. È quanto avviene, in paesi come Germania e la Svizzera, dove in gran parte il federalismo c´è già e c´è un legame forte fra tasse e gestione della spesa a livello locale, che impone maggiore disciplina ai politici nella gestione dei bilanci decentrati. Da noi il rischio che questi tagli si trasformino in aumento del debito locale è molto più forte. I tagli all´amministrazione centrale dello Stato sono stati inoltre ulteriormente depotenziati dal passaggio parlamentare. Gli emendamenti agli articoli 6, 7, 8 e 9 della manovra sono tutto un fiorire di deroghe. Come dire, i tagli meglio farli fare agli altri.
La qualità della manovra non è certamente migliorata dopo gli emendamenti. Sono state accolte le richieste dei gruppi che avevano maggiore potere contrattuale. Stupisce, in questo quadro, lo scarso peso politico delle Regioni, che non sono riuscite minimamente a incidere sul testo. I commi sulla cosiddetta “premialità” sono una presa in giro. Come possono le Regioni mettersi d´accordo nel ripartire una quota (circa un ottavo) dei tagli? Chiunque subirà in questa redistribuzione tagli ancora più consistenti prevedibilmente si opporrà strenuamente a “premi” dati ad altre Regioni. Il fatto è che i nuovi Governatori della Lega hanno rotto il fronte, forse perché hanno portato a casa il rinvio del pagamento delle rate delle quote latte, un´operazione che costerà fino a 25 milioni di euro di multa al contribuente italiano. Si è, invece, evitato accuratamente di ricalibrare la manovra verso interventi a sostegno della crescita e dell´occupazione e riforme strutturali. Mentre altrove la manovra sostiene la ricerca, da noi i tagli più consistenti hanno sin qui riguardato proprio l´istruzione terziaria. Scelta quanto meno singolare.
È solo peggiorato in Parlamento il profilo distributivo della manovra. Sancito l´abbandono di ogni intervento di contrasto alla povertà, con l´esaurimento della carta acquisti, messo da parte ogni disegno di ampliamento della copertura degli ammortizzatori sociali, si è operato chirurgicamente per introdurre trasferimenti dai ricchi ai poveri. Il blocco degli automatismi stipendiali nella scuola e nell´università colpisce coloro che hanno le retribuzioni più basse, i più giovani, che subiscono perdite fino a un terzo del loro reddito netto, secondo le stime di Baldini e Caruso (www.lavoce.info), quando i docenti con maggiore anzianità vengono quasi del tutto risparmiati dai tagli. I politici, che dovevano dare l´esempio a tutti, sono stati ulteriormente messi al riparo: il passaggio parlamentare ha annullato il taglio degli stipendi dei consiglieri di amministrazione degli enti finanziati dallo stato e ha ripristinato le indennità dei consiglieri circoscrizionali nei Comuni più grandi. Dopo aver ascoltato per giorni i titoli di testa del Tg1 annunciare copiosi tagli dei costi della politica, ci siamo accorti un mese e mezzo fa che questi presunti tagli offrivano un contributo di meno di un milione ad una manovra di quasi 25 miliardi. Adesso anche quel meno di un milione sembra sparito nel nulla. Neanche il simbolo di un taglio alla politica ci hanno lasciato. Ma non lo verremo certo a sapere dal Tg delle 20.
La Repubblica 15.07.10
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Da Lavoce.info (citata nell’articolo di Tito Boeri)
LA GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA NON VA ALL’UNIVERSITÀ
di Massimo Baldini e Enza Caruso 14.07.2010
La manovra finanziaria prevede solo per il personale docente universitario il blocco degli automatismi stipendiali legati all’anzianità di servizio nel triennio 2011-2013. Ma un taglio lineare su una struttura retributiva che progredisce con l’anzianità produce effetti regressivi che ricadono sulle classi di stipendio più basse, determinando forti iniquità. E a parità di inquadramento in termini percentuali pagano di più i giovani. Se invece si recuperasse il valore della capacità contributiva si potrebbero ripartire le perdite secondo proporzionalità. Meglio ancora, secondo progressività.
La manovra sul pubblico impiego di cui all’articolo 9 del decreto legge 78 del 31 maggio 2010 vale in termini di miglioramento sul saldo del conto della pubblica amministrazione complessivamente 11,3 miliardi nel triennio 2011-2013.
AUTOMATISMI BLOCCATI
Al netto delle misure sul pensionamento, il miglioramento si riduce a 4,3 miliardi, di cui 274 milioni, il 6,4 per cento, riguardano il blocco degli automatismi stipendiali del personale non contrattualizzato di diritto pubblico – docenti universitari (professori e ricercatori), magistratura e dirigenti delle forze di polizia e delle forze armate – per i quali la retribuzione aumenta con l’età e le classi stipendiali sono di diritto annualmente ancorate all’incremento medio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici contrattualizzati, il che dovrebbe avvenire ogni anno entro il 30 aprile con Dpcm.
La manovra in sintesi dispone: 1) il blocco degli incrementi retributivi a titolo di adeguamento automatico per gli anni 2011-13 senza possibilità di recupero; 2) la non validità nel triennio 2011-13 degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio. Misura, questa, non prevista per i magistrati per i quali è stato indicato fin dall’inizio il semplice differimento al 2014 del valore economico maturato nel triennio senza dar luogo a competenze arretrate.
Fatto sta che allo stato attuale di discussione in commissione bilancio al Senato, la seconda misura permane solo per il personale docente universitario. Per esso la manovra produce economie di spesa stimabili in 299 milioni nel triennio 2011-2013 e, cancellando tre anni dalla carriera dei ricercatori e dei professori, economie di spesa strutturali valutabili in 543 milioni nel triennio 2014-2016.
Detto in altri termini, ogni docente si troverà nel 2014 nella classe di stipendio in cui si trova oggi al 2010 come se tre anni non esistessero.
DISCRIMINAZIONI SENZA GIUSTIZIA
Un punto merita particolare attenzione: un taglio lineare su una struttura retributiva che progredisce con l’anzianità produce effetti regressivi che ricadono sulle classi di stipendio più basse e ciò è tanto più vero quanto maggiore è la curvatura della distribuzione dei redditi, determinando forti iniquità.
Ipotizzando che in assenza della manovra le retribuzioni lorde dei ricercatori e dei professori sarebbero cresciute a un tasso pari all’incremento medio degli ultimi tre anni, la figura 1 mostra le perdite percentuali sui redditi netti nel 2014 derivanti dalla combinazione delle due misure (blocco incrementi retributivi e blocco classi e scatti). È evidente che il prezzo più elevato viene pagato dai ricercatori non confermati, per i quali la manovra assume un peso che va dal 26 per cento al 34 per cento sul reddito netto. Per tutti gli altri, la manovra penalizza maggiormente chi ha da pochi anni ha ottenuto una promozione e ha poca anzianità nel ruolo.
La struttura dei tagli è quindi regressiva: a parità di inquadramento (ricercatore, associato o ordinario) pagano di più in termini percentuali i giovani, che hanno minore anzianità. Se tuttavia si escludesse dalla manovra il blocco degli scatti, si recupererebbe equità e le perdite si livellerebbero tra il 10 e il 13 per cento (figure 1, barre nere) per tutte le categorie dei docenti universitari.
Di fatto, invece, ferma restando la struttura delle retribuzioni a legislazione vigente 2010, il blocco degli scatti produce perdite nel triennio che, in percentuale della retribuzione, si riducono man mano che si procede nella carriera per anzianità.
RECUPERARE IL SENSO DELLA GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA
Se escludiamo le classi di anzianità più basse, le perdite per gli altri non sono molto lontane dalla proporzionalità. Ma è giusto togliere sia a un ricercatore che a un ordinario la stessa quota del reddito, considerato che il secondo ha un reddito molto più alto? In termini assoluti ci rimette di più proprio l’ordinario, ma l’imposta sul reddito che oggi abbiamo in Italia stabilisce che all’aumentare del reddito l’imposta debba crescere più che proporzionalmente. Per essere coerente con la logica dell’Irpef, quindi, la manovra sui redditi dei docenti universitari dovrebbe stabilire per ordinari e associati perdite percentualmente superiori rispetto a quelle imposte ai ricercatori, e a parità di inquadramento perdite maggiori per gli anziani rispetto ai docenti con pochi scatti già maturati.
Se anziché continuare a insistere su tagli lineari della spesa, soprattutto in tempi di crisi, si recuperasse il valore della capacità contributiva si potrebbero ripartire le perdite secondo proporzionalità (modificando quindi in profondità i tagli oggi previsti per i ricercatori non confermati) o meglio ancora secondo progressività.
La manovra è regressiva anche se consideriamo un orizzonte temporale più ampio. Di fronte a una struttura retributiva non lineare, che nei ruoli cresce dapprima con scatti biennali dell’8 per cento e successivamente (dalla settima classe) con scatti biennali del 6 per cento, il blocco lineare non rende equivalenti le posizioni nel tempo: i giovani sono più penalizzati anche in termini di valore attuale del reddito che percepiranno nell’intero ciclo di vita.
Non si tratta però solo di recuperare il senso della giustizia distributiva. Una maggiore equità nel riparto delle perdite avvantaggerebbe soprattutto le università dove è maggiore la presenza di ordinari anziani, oggi sofferenti nel contenere la spesa entro il limiti (e i tagli) del fondo di finanziamento ordinario (Ffo). Con la miopia dei tagli lineari, si sceglie invece la strada della regressività, facendo cadere il peso della manovra soprattutto sugli ultimi.
La Repubblica 15.07.10
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“Manovra, resta la scure sulle Regioni dal 2015 tutti in pensione più tardi.Fiducia sul decreto. Epifani: iniquo. Tremonti: serve austerità”, di Roberto Petrini
Il presidente Napolitano: “Ridurre il debito è un impegno di tutti”
Ultimo schiaffo alle Regioni che dovranno rassegnarsi ai tagli, sì alla sospensione del pagamento delle multe per le quote latte voluta dalla Lega tra le proteste del ministro per l´Agricoltura Galan. La manovra d´estate compie il primo giro di boa al Senato, dopo una discussione durata circa un mese che le statistiche quantificano in 195 chilometri di carta tra emendamenti e documenti vari, e oggi riceverà la fiducia. Da domani transita alla Camera. Di soppiatto – formalizzata nel maxiemendamento – passa una rilevante riforma delle pensioni, con finestre a scorrimento (un anno in più) ed elevamento dell´età secondo le aspettative di vita. Dal 2015 scatta l´innalzamento dell´età: si andrà in «vecchiaia» a 66 anni e tre mesi, nel 2025 a 67 anni e 4 mesi, nel 2050 a 70 anni; dal 2015 finisce il meccanismo delle «quote»: in «anzianità» si andrà a 63 anni e 3 mesi. Resta salva la possibilità di uscita a 40 anni. Sale anche l´età delle impiegate statali a (a 65 anni dal 2012).
Soddisfatto Tremonti che ha tenuto duro di fronte alla protesta del paese: «L´austerità è una necessità», ha detto ieri durante l´assemblea della Confcooperative e ha sentito la necessità di lodare esplicitamente il leader della Cisl Bonanni definito «uomo di Stato». Mentre il presidente della Repubblica Napolitano, da Udine, fa sapere che «ridurre il debito è un impegno di tutti».
Il malcontento continua a bollire, a partire dalle Regioni che ieri si sono riunite e divise sulla risposta ai tagli. Il segretario della Cgil Epifani ha definito la manovra «iniqua». Per Anna Finocchiaro (Pd) il ricorso alla fiducia è «intollerabile». Ma anche dalle file della maggioranza piovono critiche soprattutto da parte del «finiano» Mario Baldassarri che ha denunciato il rischio della perdita di 10 mila posti di lavoro per effetto della manovra.
La manovra vale 24,9 miliardi per il biennio 2011-2012 ,di cui 15 di tagli e 10 di entrate (9 dovrebbero arrivare dalla lotta all´evasione fiscale, ma ieri il Cer ha parlato di «rischi concreti e significativi» sulla tenuta di questo gettito). Il peso maggiore cade sulle Regioni e sul pubblico impiego: marginali le variazioni durante il dibattito in Commissione e nel maximendamento. Il congelamento dei «cedolini» degli statali sarà depurato da situazioni contingenti come la maternità o le malattie. Anche lo scongelamento degli scatti per il personale della scuola è condizionato a decreti e trattative future con i sindacati. Ottiene 160 milioni il comparto della sicurezza per pagare gli straordinari e gli avanzamenti di carriera che erano stati chiusi a doppia mandata. I magistrati ottengono un ammorbidimento dei tagli sulle indennità e il sì all´assunzione di 250 nuovi giudici, mentre i diplomatici «salvano» la diaria all´estero. Restano i tagli del 20 per cento alle consulenze e agli incarichi della pubblica amministrazione, tranne che per la Direzione generale del Tesoro per «processi di privatizzazione e regolamentazione del settore finanziario». Marcia indietro, dopo molte proteste, per gli assegni di invalidità e per la composizione delle classi con alunni disabili (resta fermo il limite dei 20 alunni). Nuovi attacchi all´ambiente, denunciati ieri dal verde Bonelli, come il silenzio-assenso per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
La Repubblica 15.07.10