Si continua a chiamarli delitti passionali. Perché il movente sarebbe l´amore. Quello che non tollera incertezze e faglie. Quello che è esclusivo ed unico. Quello che spinge l´assassino ad uccidere la moglie o la compagna proprio perché la ama. Come dice Don José nell´opera di Bizet prima di uccidere l´amante: «Sono io che ho ucciso la mia amata Carmen». Ma cosa resta dell´amore quando la vittima non è altro che un oggetto di possesso e di gelosia? Che ruolo occupa la donna all´interno di una relazione malata e ossessiva che la priva di ogni autonomia e libertà?
Per secoli, il “dispotismo domestico”, come lo chiamava nel XIX secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, è stato giustificato nel nome della superiorità maschile. Dotate di una natura irrazionale, “uterina”, e utili solo – o principalmente – alla procreazione e alla gestione della vita domestica, le donne dovevano accettare quello che gli uomini decidevano per loro (e per il loro bene) e sottomettersi al volere del pater familias. Sprovviste di autonomia morale, erano costrette ad incarnare tutta una serie di “virtù femminili” come l´obbedienza, il silenzio, la fedeltà. Caste e pure, dovevano preservarsi per il legittimo sposo. Fino alla rinuncia definitiva. Al disinteresse, in sostanza, per il proprio destino. A meno di non accettare la messa al bando dalla società. Essere considerate delle donne di malaffare. E, in casi estremi, subire la morte come punizione.
Le battaglie femministe del secolo scorso avrebbero dovuto far uscire le donne da questa terribile impasse e sbriciolare definitivamente la divisione tra “donne per bene” e “donne di malaffare”. In nome della parità uomo/donna, le donne hanno lottato duramente per rivendicare la possibilità di essere al tempo stesso mogli, madri e amanti. Come diceva uno slogan del 1968: “Non più puttane, non più madonne, ma solo donne!”. Ma i rapporti tra gli uomini e le donne sono veramente cambiati? Perché i delitti passionali continuano ad essere considerati dei “delitti a parte”? Come è possibile che le violenze contro le donne aumentino e siano ormai trasversali a tutti gli ambiti sociali?
Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all´uomo, tanto più l´uomo reagisce in modo violento. La paura di perdere anche solo alcune briciole di potere lo rende volgare, aggressivo, violento. Grazie ad alcune inchieste sociologiche, oggi sappiamo che la violenza contro le donne non è più solo l´unico modo in cui può esprimersi un pazzo, un mostro, un malato; un uomo che proviene necessariamente da un milieu sociale povero e incolto. L´uomo violento può essere di buona famiglia e avere un buon livello di istruzione. Poco importa il lavoro che fa o la posizione sociale che occupa. Si tratta di uomini che non accettano l´autonomia femminile e che, spesso per debolezza, vogliono controllare la donna e sottometterla al proprio volere. Talvolta sono insicuri e hanno poca fiducia in se stessi, ma, invece di cercare di capire cosa esattamente non vada bene nella propria vita, accusano le donne e le considerano responsabili dei propri fallimenti. Progressivamente, trasformano la vita della donna in un incubo. E, quando la donna cerca di rifarsi la vita con un altro, la cercano, la minacciano, la picchiano, talvolta l´uccidono.
Paradossalmente, molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del “declino dell´impero patriarcale”. Come se la violenza fosse l´unico modo per sventare la minaccia della perdita. Per continuare a mantenere un controllo sulla donna. Per ridurla a mero oggetto di possesso. Ma quando la persona che si ama non è altro che un oggetto, non solo il mondo relazionale diventa un inferno, ma anche l´amore si dissolve e sparisce. Certo, quando si ama, si dipende in parte dall´altra persona. Ma la dipendenza non esclude mai l´autonomia. Al contrario, talvolta è proprio quando si è consapevoli del valore che ha per se stessi un´altra persona che si può capire meglio chi si è e ciò che si vuole. Come scrive Hannah Arendt in una lettera al marito, l´amore permette di rendersi conto che, da soli, si è profondamente incompleti e che è solo quando si è accanto ad un´altra persona che si ha la forza di esplorare zone sconosciute del proprio essere. Ma, per amare, bisogna anche essere pronti a rinunciare a qualcosa. L´altro non è a nostra completa disposizione. L´altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice “cosa”. È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. E che pensano di salvaguardare la propria virilità negando all´altro la possibilità di esistere.
La Repubblica 14.07.10
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“Delitti e passioni, nove donne uccise in un mese”, di Paolo Berizzi
La criminologa Isabella Merzagora: nella coppia è l´uomo che non tollera l´abbandono.
Si possono fare anche 800 chilometri se hai deciso di uccidere. Si può partire da un paesino in provincia di Piacenza e, con una Panda, di notte, andare fino a Bari: una spranga come compagna di viaggio. Hai in testa un progetto di morte, sai che lo porterai a termine: e allora la vendetta cieca, quella furiosa e insensata dell´«ex», quella che in Italia ha falciato 14 donne negli ultimi quattro mesi – 9 in meno di un mese – viaggia da una nazione all´altra. Dalla Croazia all´Italia, direzione Ceva, tra Piemonte e Liguria, ché c´è sempre un piccolo borgo che fa da scena a questi delitti. Una coltellata alla gola a lei (Katerina Marcovic, 24 anni, l´ultima vittima). Altre due al fidanzato (Salvatore Ciantia, 28): missione compiuta. Massacri di un´estate maledetta. Corpi squarciati, stesi sull´asfalto rovente, coperti dalla pietà di un lenzuolo. Una pagina di Facebook. Una frase in chat. Perché «era tutto già scritto». Gli ultimi atti della macelleria “omicidi passionali” si sono compiuti l´altra sera. Ore 22.50, Morfasso, tra i monti della Val d´Arda. Domenico Iania, 52 anni, calabrese, disoccupato, un tentato omicidio nel ‘93. Quando lo fermano vicino alla scuola abbandonata dove vive, si consegna in silenzio: ha viaggiato da Bari a Piacenza in treno, la Panda blu abbandonata in campagna, in mezzo ai trulli, in fondo alla trasferta pugliese marchiata col sangue. Lei si chiamava Chiara Brandonisio, aveva 34 anni e faceva l´operaia. Iania, che l´aveva conosciuta e la amava via Internet, l´ha massacrata a sprangate giovedì mattina a Carbonara, Bari. Doveva fargliela pagare: non voleva più stare con lui, forse aveva iniziato a frequentare un altro, si era spaventata quando lui, attraverso la webcam, le si era mostrato con una pistola puntata alla testa. E lo aveva raccontato alle amiche. Mentre arrestavano Iania, si scatenava un´altra furia omicida: a Ceva, vicino Cuneo. Zoran Yoksimovic, 28 anni, arriva dalla Croazia per uccidere la ex fidanzata, Katarina, e il suo nuovo compagno, Salvatore. Coltellate per tutti. Anche per sé, ultima sequenza della mattanza. La spirale di violenza che si è rovesciata in quest´inizio d´estate contro le donne fa impressione: in meno di un mese già 9 quelle ammazzate da mariti, ex fidanzati o semplici conoscenti. Una scia di sangue che ha spesso come anticamera episodi di stalking (1.200 arrestati dall´approvazione della nuova legge). E che si porta dietro un picco certificato dall´Eurispes: la violenza sulle donne è aumentata del 300% negli ultimi 9 anni. Il 31,9% delle italiane ha subìto una violenza almeno una volta nella vita. «C´è un cambiamento motivazionale – spiega Isabella Merzagora, criminologa – . Il delitto d´onore di un tempo è diventato il delitto del possesso e della dipendenza. Nella coppia è l´uomo che non tollera l´abbandono». Clara Lombardi, 42 anni, è in condizioni gravi. L´altra sera il marito, che aveva già provato a strangolarla, è tornato all´attacco: coltellate all´addome, per strada, nella centralissima via Depretis, a Napoli. Nel bollettino di morte sono già scritti i nomi delle ultime donne ammazzate: Eleonora Noventa, 16 anni appena, uccisa dall´ex fidanzato, poi suicida, a Mestre. A pochi chilometri da lì è finita anche la vita di Roberta Vanin, 43 anni, massacrata dall´ex convivente il 6 luglio. E poi Anna Maria Tarantino, la collaboratrice de “Il Tempo” strangolata da un amante respinto. «L´ultimo baluardo in cui ci si rifugia oggi è la coppia – aggiunge Merzagora – quando crolla anche questo, può scattare una violenza da frustrazione e si consuma la tragedia».
La Repubblica 14.07.10
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“Confessioni di uno stalker pentito”, di Grazia Maria Mottola
«Sentivo dentro queste parole: “Morta lei, starai bene”. Era un altro me stesso che mi diceva quello che dovevo fare». È la confessione di uno stalker che chiameremo Angelo: 60 anni, magazziniere a Milano. Avrebbe voluto uccidere Maria, l’ex fidanzata. Si è fermato in tempo, con l’aiuto degli psicologi dell’Osservatorio nazionale dello stalking.
«”Morta lei, starai bene”: le parole che sentivo nel sonno, come un altro me stesso che mi diceva quello che dovevo fare». E seguendo quella voce da incubo Angelo (nome di fantasia), 60 anni, magazziniere di Milano, si trova con un coltello in mano, lungo la strada diretta a casa dell’ex fidanzata, deciso a eliminare lei, amata-odiata, «unica fonte del mio dolore». «Mi fermarono i carabinieri, fu come svegliarmi da un brutto sogno, al momento non mi spiegai come avessi fatto ad arrivare fin lì». Ma oggi Angelo lo sa. Dopo un percorso di anni (ancora non è finito), con l’aiuto dell’Osservatorio nazionale sullo stalking (www.stalking.it), l’uomo ha ricostruito le tappe di un’ossessione assurda che poteva sfociare in tragedia. «Conobbi Maria (nome di fantasia) in azienda, aveva qualcosa di speciale, anche lei era molto attratta da me». Una storia di pochi mesi: lui sposato con un figlio; lei, quasi trent’anni di meno, con qualche problema di salute. Per questo Maria si trasferisce al Sud, nel paese natale. Angelo la sostiene, e la relazione continua al telefono: «Ero sicuro di lei, mi chiamava in continuazione, l’aiutai a comprare una macchina ». È Angelo a consegnarle l’auto in paese: «Fu l’occasione per stare tre giorni insieme, ma alla stazione successe l’inverosimile». Maria, senza spiegazioni, come spesso accade, lascia intendere che la liaison non avrà seguito: «Ci sentiamo a Natale, non prima». Angelo incassa, poi si sente male. «Era come se mi fosse crollato il mondo addosso, finii all’ospedale, la cercai al telefono, lei non rispose». Quella frase alla stazione fa scattare il delirio. «Da quel giorno non fui più lo stesso, stavo male, sentivo un bisogno irresistibile di chiamarla». Così Angelo da innamorato si trasforma in instancabile persecutore: «Lei aveva tirato su un muro, ma ogni volta che trovavo il telefono spento, mi saliva la rabbia e una forza incontenibile mi spingeva a cercarla con ogni mezzo. Ero diventato uno stalker». Quaranta telefonate al giorno con quattro cellulari diversi, centinai di messaggini, fax: per farle sapere che non intende sparire. Non solo: «Verrò da te per vedere il tuo nome scritto sulla tomba»; poi: «Stai attenta a quando attraversi la strada»; e ancora: «Non vedo l’ora di sapere che sei morta», «La tua vita non vale nulla, ogni giorno che passa è un giorno in meno che vivrai». Le frasi più ricorrenti. Con uno scopo: «Volevo farle capire quanto male mi aveva fatto e quanto io volevo fargliene».
Ma il conflitto non manca: «A volte rileggevo quelle parole, emi vergognavo di me stesso, allora le inviavo nuovi messaggi: “Scusami cucciola, sei la cosa più importante della mia vita». Angelo si pente, ma dura poco. Dopo quattro mesi, Maria lo querela per molestie (non esisteva la legge sullo stalking). I carabinieri di Milano convocano Angelo, gli spiegano che è meglio lasciar perdere. Ma la denuncia ha l’effetto contrario: «Per me fu come una sfida, presi un treno la sera stessa». Inizia così un pendolarismo settimanale che dura quasi due anni: «Sentivo il bisogno di vederla, la seguivo a 40 metri di distanza, mi accontentavo che sapesse che c’ero». Placare l’ansia, ridurre la sofferenza, provare soddisfazione nel farla soffrire: Angelo vive per questo, per farle sapere che lei, con la sua querela, non è riuscito ad allontanarlo. Intanto iniziano i problemi fisici: l’uomo perde 30 chili, non regge più la tensione. Decide così di trasferirsi nel paese di Maria. «Desideravo respirare la sua aria, solo così mi sentivo tranquillo». Ma gli incubi continuano, di notte «la voce» gli parla di progetti di morte. «Cercai di farla finita più di una volta, per smettere di soffrire. Ma confidavo anche nella sua morte». «Via lei, via il dolore»: l’ossessione prosegue, Angelo sta per toccare il fondo. Ma in qualche modo cerca aiuto e parla con il padre della ex fidanzata: «Ebbi da lui il nome di Massimo Lattanzi, presidente dell’Osservatorio sullo stalking, così è iniziata la mia ripresa». Angelo inizia una sorta di terapia: di fatto quando vuole vedere Maria, chiama Lattanzi e ne parlano insieme. «Se non lo avessi incontrato, sarebbe finita male, e solo in un modo». La morte di Maria e forse anche la sua: «Dico solo che quando si fanno certe cose, si è costretti ad agire così, è un impulso irresistibile. Io ci sono caduto dentro e conosco il meccanismo, per fortuna sono stato fermato in tempo». E Maria?: «Grazie alla mediazione dello psicologo siamo in rapporti civili, a volte ci sentiamo. Se un’altra donna mi abbandonasse? Non rifarei le stesse cose: nessuna sarà mai importante come Maria, lei era l’altra metà della luna, l’unico grande amore. Ancora oggi penso a lei».
Il Corriere della Sera 14.07.10
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