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«Strappo finale delle Regioni», di Roberto Giovannini

Il governo spacca il fronte degli Enti Locali: sulla manovra trova l’accordo con i Comuni e le Province, mentre arriva alla rottura totale con le Regioni, che ora vogliono restituire allo Stato le deleghe che non sono più in grado di sostenere dopo i tagli di 8,5 miliardi decisi nel decretone. Ma anche le Regioni si dividono: i due leghisti, Roberto Cota (Piemonte) e Luca Zaia (Veneto), si sfilano dalla battaglia condotta dai due presidenti di Emilia-Romagna, Vasco Errani, e Lombardia, Roberto Formigoni. A Palazzo Chigi si sono presentati prima i presidenti delle Regioni, poi a ruota i sindaci dell’Anci e i presidenti di provincia. Era evidente che Tremonti non aveva nessuna intenzione di fare concessioni alle Regioni, che chiedevano di riproporzionare i tagli tra Stato centrale ed enti locali. In realtà, introducendo Berlusconi ha aperto all’idea di un gruppo di lavoro per «prendersi quattro giorni» e valutare possibili aggiustamenti. Ma è stato subito stoppato da Tremonti, che ha chiarito che intervenire sulla manovra a questo punto avrebbe conseguenze catastrofiche, con possibili bastonate da parte della speculazione internazionale.

«Se rivedessimo i tempi che il Parlamento ha deciso – ha minacciato il titolare dell’Economia – se si desse l’impressione che non agiamo con determinazione…». Uniche aperture, rivedere in sede di Finanziaria a settembre i tagli al trasporto pubblico locale, e l’avvio di una commissione mista per dare la caccia agli sprechi. A quel punto non è rimasto che sancire la rottura. «È stato un incontro molto negativo, siamo molto preoccupati – ha detto al termine l’emiliano Vasco Errani, presidente della conferenza Stato-Regioni – tutte le nostre proposte sono state respinte, e la manovra è totalmente squilibrata. Ribadiamo con maggior convinzione la richiesta di mettere all’ordine del giorno della conferenza Stato-Regioni la riconsegne delle nostre deleghe che non possiamo più esercitare, e spiegheremo al paese le conseguenze di questi tagli». Errani e Formigoni negano «ragionamenti di schieramento», spiega che tutti governatori – leghisti compresi, già andati via – sono compatti, che il federalismo fiscale è morto. Sulla stessa linea anche Renata Polverini, che intanto sembra essere riuscita a ottenere più tempo per i piani di rientro dal deficit sanitario, evitando così l’aumento delle tasse. I due governatori del Carroccio, Cota e Zaia, sono su un’altra linea. Fonti vicine al presidente del Piemonte fanno sapere che la loro assenza non era casuale: Cota e Zaia ce l’hanno soprattutto con Roberto Formigoni, che «si è impuntato contro il governo e non è riuscito a portare a casa niente». I due leghisti fanno osservare che loro i tagli li accettano con senso di responsabilità, purché si possa decidere dove tagliare. E sulla restituzione delle deleghe fanno capire di non essere d’accordo. Tutt’altra musica nell’incontro con Comuni e Province. Il sindaco torinese Sergio Chiamparino parla seduto accanto a Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, e spiega che anche se la manovra si doveva fare diversamente, il governo ha accettato alcune proposte: entro fine luglio sarà varata la delega sul federalismo fiscale municipale (a settembre per le province), si allenterà un poco il patto di stabilità interno, si trasferirà il Catasto ai Comuni. «È l’avvio di un lavoro comune», dice Chiamparino.

Tremonti esalta l’atteggiamento «costruttivo» di Comuni e Province, mentre giura che i pendolari non avranno problemi, e prende in giro le Regioni: «Se intanto ci ridanno la delega per i controlli sulle pensioni d’invalidità, siamo assolutamente d’accordo…». Ma come notano quelli della Fish (Federazione per il superamento dell’handicap) questa delega Tremonti ce l’ha già.

da www.lastampa.it

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«Manovra, Tremonti chiude Porta in faccia alle Regioni», di Laura Matteucci

«È tardi, tardissimo, non c’è più tempo». È un Tremonti novello Cappellaio matto quello che si è presentato ieri al vertice con le Regioni, negando qualsiasi modifica alla manovra, mettendo a tacere lo stesso Berlusconi che ha ipotizzato l’apertura di un tavolo di confronto (negato perché, appunto, «non c’è più tempo»), e mettendo i governatori con le spalle al muro. Loro hanno già chiesto la convocazione della Conferenza Stato-Regioni, sede istituzionale per rimettere le deleghe al governo: con tagli per 10 miliardi, su trasporto pubblico, viabilità, politiche sociali, per le famiglie, fondo per le imprese, se la dovranno vedere ministri e sottosegretari. «Incontro molto negativo – dice il presidente della Conferenza e presidente dell’Emilia-Romagna Vasco Errani – Stiamo parlando di tagli che non colpiscono gli sprechi, ma i servizi ai cittadini». Una posizione unitaria, concordata con tutte le Regioni, che ha portato ad un’unica «concessione» da parte del governo: l’istituzione in tempi rapidi di una commissione «per andare a vedere dove sono gli sprechi, tra amministrazioni centrale e locali. E allora ci divertiremo», dice Errani. Resta negativo il giudizio sulla manovra anche da parte dell’Anci (i comuni), che ha incontrato premier e ministro dopo le Regioni, ma con alcuni distinguo e la firma di un accordo che funge da limitazione del danno: «C’è l’impegno – spiega il presidente e sindaco di Torino Sergio Chiamparino – perché entro il 31 luglio venga portato in Parlamento il decreto sul trasferimento delle imposte relative a comuni e province». Si accelera, insomma, sul federalismo municipale, e i tagli vengono rimodulati in modo da non pesare quest’anno in modo eccessivo. Ai Comuni, come richiesto, vengono anche attribuite le funzioni catastali. Al secondo punto dell’accordo, «l’avvio di un tavolo di monitoraggio entro ottobre, per il problema dello sfoltimento dei residui passivi, oltre all’intenzione di rimodulare il patto di stabilità». Soddisfatto Tremonti: «Questo è il modo di lavorare insieme». Evidente la frecciatina nei confronti delle Regioni riottose.

FIDUCIA E CORAGGIO
E la manovra va verso la fiducia, imposta da Berlusconi come l’ennesimo ricatto nei confronti dei finiani e dei malpancisti a vario titolo interni alla maggioranza («o si approva o tutti a casa»), anche se ovviamente si sprecano le dichiarazioni di compattezza del Pdl. Dice Pierluigi Bersani, leader Pd: «La fiducia significa avere paura, non coraggio – Non reggeranno tre anni, ma le loro azioni potrebbero essere pericolose». La discussione generale sulla manovra alla Camera slitta dal 23 al 26 luglio. Ritirato, intanto, l’emendamento Alfano: «Una vittoria dell’opposizione», come dice il senatore Pd Giovanni Legnini. L’emendamento del governo introduceva la figura dell’ausiliario del giudice, e di fatto rinviava i processi di sei mesi per l’espletamento del procedimento di mediazione. Una norma che sembrava inserita ad hoc per sospendere il processo Fininvest-Cir.

da www.unita.it

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«Da Brancher alle regioni, al governo serve più sintesi politica», di Stefano Folli

L’incontro tra Berlusconi e i governatori delle regioni ha lasciato ognuno sulle posizioni di partenza. Ci si attendeva tale esito e non poteva essere altrimenti. La manovra economica ormai appare rigida nella sua architettura e nelle sue cifre. Così è stata «venduta» all’Europa e ai mercati finanziari: rimetterci mano per modificarla in modo radicale, come avrebbero voluto le regioni, equivarrebbe a compromettere l’operazione e ad attirare sull’Italia l’attenzione degli speculatori.

Nessun governo, di destra o di sinistra, potrebbe intraprendere una simile marcia indietro, pena la sua credibilità. Del resto, giusto alla vigilia dell’incontro, il presidente del Consiglio ha annunciato che sulla manovra il governo pone la questione di fiducia in Parlamento. Il che ha chiuso la porta a qualsiasi correzione: il colloquio con le regioni, anche sotto questo aspetto, è arrivato fuori tempo massimo.
Nel merito, è chiaro che non tutte le ragioni sono da una parte e non tutti i torti dall’altra. È vero che i provvedimenti del governo tagliano la spesa più in periferia che nell’amministrazione centrale. Ed è vero peraltro che le regioni, prima di ridurre i servizi ai cittadini, sono in grado di risparmiare, ossia di diventare più virtuose. Alcune lo sono già, altre hanno parecchia strada da fare.
In ogni caso, la strettoia della manovra non era aggirabile. Per cui la proposta, venuta dal presidente Errani, di una commissione destinata a studiare la mappa degli sprechi, e quindi dei possibili risparmi, dimostra che gli stessi governatori si rendono conto di non poter dire solo no. Il punto è che nessuna commissione è in grado di fermare in questa fase la volontà del governo centrale. Sul piano tecnico la semplice verità è che la manovra andrà in porto nel più breve tempo possibile. Sul piano politico, invece, la polemica Stato-regioni è tutt’altro che conclusa e insegna qualcosa.
Le lacune nella gestione politica del rapporto con i governatori sono evidenti. E oggi se ne pagano le conseguenze. Nell’incontro di ieri Berlusconi è apparso sulle spine nella parte che meno gli si addice: quella di chi non ha margini di mediazione e deve rassegnarsi alla rottura. O almeno a una lunga fase di incomprensione con le regioni proprio ora che le amministrazioni di centrodestra sono fiorite numerose come mai in passato.

Forse una maggiore accortezza politica nelle scorse settimane avrebbe evitato questo esito. Ma non è andata così. E oggi, mentre Tremonti ha vinto la sua battaglia sul rigore dei conti pubblici, il premier si trova tra le mani il rapporto incrinato con i governatori. Quella sintesi «nazionale» di cui il presidente del Consiglio è e resta il naturale interprete, in quanto è il cardine della sua funzione, diventa più complessa.

A ben vedere, qualcosa di simile, in scala minore, è avvenuto con il caso Brancher. Anche qui abbiamo avuto una vicenda gestita male dall’inizio fino all’epilogo delle brusche dimissioni. Forse in altri tempi, e con maggiore lucidità politica, il caso non si sarebbe nemmeno aperto. Nessuno avrebbe pensato di gestire in modo così infantile il «legittimo impedimento». E ora che la storia è chiusa resta una sensazione di disagio. Nulla danneggia di più l’immagine di un governo quanto le contraddizioni dovute a scarsa lungimiranza. Trasmettere un senso d’incertezza politica è di solito il più grave errore.

da www.ilsole24ore.it