Contestazioni alla Sapienza. E contro i tagli esami “in notturna”
“Il 30% dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza nulla ha prodotto nell’ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni. Queste persone vanno cacciate dall’università. Molti rubano lo stipendio e non fanno nulla. Così siamo in parte corresponsabili delle decisioni dei governi”, tagli compresi quindi.
Parole di fuoco quelle del rettore della Sapienza Luigi Frati che dopo aver criticato il blocco degli esami attuato per protesta ha anche annunciato di aver fatto una contestazione disciplinare ad un professore ex ministro perché aveva accettato incarichi extradisciplinari. Teatro delle accuse ai “fannulloni”, una conferenza stampa dei presidi delle facoltà umanistiche dell’ateneo riuniti per dire no ai tagli previsti dalla riforma Gelmini e dalla manovra finanziaria.
Le sue parole, le accuse hanno provocato stupore e contestazioni aperte tra docenti e ricercatori che urlavano “vergogna” rivendicando la bontà delle azioni di lotta: esami a lume di candela o nei viali dell’ateneo a partire dal 13 luglio.
“Queste azioni sono l’unico modo per far capire che con i tagli corriamo il rischio di finire in strada, con una drastica riduzione dei docenti, un terzo in 5 anni, la chiusura di alcuni corsi e per alcune facoltà il numero programmato”, ha spiegato il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Franco Piperno, in prima fila assieme agli altri presidi de La Sapienza.
Come negli altri atenei italiani, si contesta la riforma che introduce il ricercatore a tempo determinato, relegando chi è già dentro l’università su una sorta di binario morto. Si accusa il governo che taglia i fondi per la formazione e la ricerca.
“In cinque anni La Sapienza perderà oltre un terzo dei docenti, circa 1.300 professori, con un blocco nel ricambio dei professori. Dal turno over arriveremo al gave over dell’università”, sbotta il preside della facoltà di Scienze umanistiche, Roberto Nicolai.
I docenti hanno annunciato che il 65% dei ricercatori di Lettere ha deciso che se non cambieranno le cose non assumerà incarichi didattici; molti corsi potrebbero quindi non partire.
E Roma è solo uno spicchio della realtà italiana. Un universo che conta oltre 25mila ricercatori (arrivano a 40mila con i borsisti, assegnisti di ricerca, specializzandi) che vive di stipendi lordi dai 16mila ai 21mila euro l’anno in un paese che per la ricerca spende già ora solo lo 0,9 del pil. Numeri lontani anni luce da altre realtà europee visto che Finlandia o la Danimarca spendono l’1,7 del prodotto interno lordo mentre nel mondo Canada e Stati Uniti arrivano ben al 2,9. Come dire, il nostro paese investe 5 miliardi di euro in meno rispetto alla media europea.
Con i nuovi tagli andrà ancora peggio. “Il governo deve trovare i soldi per le università altrimenti rischiamo di essere sempre meno competivi a livello mondiale, di uscire dal contesto europeo”. Il professor Enrico De Cleva, presidente della Conferenza dei rettori, spera ancora che il Senato a fine mese migliori il disegno di legge e recuperi risorse. “Con i catastrofismi e con la mannaia non si va da nessuna parte. Il problema non è cacciare gli indegni, i fannulloni – i dati milanesi parlano di un 5 per cento che non ha prodotto ricerche – ma rendersi conto che la riforma dell’università è l’unico tipo di risposta. Ci sono situazioni che non vanno, come ovunque, ma non serve intervenire con la scimitarra. Se il problema è valorizzare il merito, sono d’accordo con Frati, ma bisogna avere la risorse per farlo”. Sulla scarsa produttività dei ricercatori pensa che forse producono poco perché oberati di impegni tra esami e corsi da preparare, ma pur criticando i tagli non è d’accordo con lo sciopero degli esami come metodo di lotta. “Vorrei ricordare a ricercatori e docenti che nonostante le giuste rivendicazioni hanno dei doveri nei confronti degli studenti, del paese”.
la Repubblica del 6 luglio 2010
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“E al ministero una banca dati della produttività”, di Laura Montanari
Il dossier: da Genova a Milano, così gli atenei misurano il “valore” dei professori
A due velocità: alcuni hanno iniziato da tempo a classificare la produttività dei dipartimenti e dei docenti. Altri atenei sono in ritardo e cominciano ora, spinti dal fatto che il ministero ha annunciato un nuovo studio sulla valutazione della ricerca nelle università italiane. La banca dati è pronta, devono ancora essere inseriti i numeri. L´università di Genova già nel 2009 ha «agganciato» la distribuzione delle risorse per la ricerca, circa un milione di euro e il provvedimento sui professori da mandare in pensione, alla valutazione: «Chi è scientificamente improduttivo viene penalizzato – spiega il rettore Giacomo Deferrari – Il 14% dei nostri docenti (ordinari, associati e ricercatori) è risultato avere meno di due pubblicazioni negli ultimi cinque anni. Ma ci sono differenze notevoli a seconda dei dipartimenti, ce n´è uno dell´area medica con un tasso di improduttività che sfiora il 47%. É chiaro che bisogna analizzare la situazione caso per caso e intervenire. Ho appena scritto ai docenti». Genova proseguirà nell´indagine entrando nel merito: «Andremo a vedere dove i lavori scientifici sono stati pubblicati: c´è differenza fra Nature o Science e un bollettino qualsiasi».
Il tasso degli «inattivi» alla Statale di Milano si aggira fra il 4-5%, sotto la soglia del 4% al Politecnico: «Già da otto anni nel ripartire le risorse consideriamo quello che un dipartimento produce – spiega il rettore Giulio Ballio – ma teniamo conto di due fattori, la didattica (45%) e la ricerca (55%)». Il politecnico milanese si fa anche valutare da un gruppo di 80 studiosi stranieri. A Bologna dal rapporto del nucleo di valutazione, emerge che i docenti privi di pubblicazioni negli ultimi cinque anni sono fra il 5 e il 7%: «Un dato fisiologico – dice il prorettore Dario Braga – i numeri vanno interpretati. Non possiamo dimenticare che ai ricercatori da anni chiediamo di fare molta didattica oppure non considerare che tra i medici c´è chi fa assistenza clinica». Insomma attenzione a capire cosa c´è dietro alle tabelle. Se all´università di Siena – oberata dai debiti, tanto da vendere parte del patrimonio immobiliare – la valutazione è all´inizio (oggi un incontro col presidente del Agenzia nazionale di Valutazione), all´università di Torino quelli che non superano i parametri minimi si attestano intorno al 10%: «Bisogna considerare la complessità di ogni ateneo. Noi abbiamo 70mila studenti e 2.150 fra ordinari, associati e ricercatori e da anni siamo sottofinanziati. I nostri docenti hanno un´età media alta, al 40% è sopra i 60 anni. C´è chi non fa ricerca, ma svolge mansioni altrettanto importanti, fa parte di commissioni, fa più didattica, segue le tesi, amministra» frena il rettore Ezio Pellizzetti. Sotto il 2% gli «inattivi» al Politecnico di Bari, secondo il rettore Nicola Costantino: «Ma noi siamo un ateneo giovane – precisa – . Sono d´accordo che ci debba essere un sistema che premi chi produce meglio e di più, però non si può giudicare un docente con un numero e un cartellino». Sulla stessa linea il rettore Corrado Petrocelli dell´università di Bari: «Consideriamo anche le eccellenze, nell´ultima valutazione Civr la nostra Fisica è risultata al primo posto». Eppure nello stesso ateneo c´è una delle aree di Medicina, dove sono oltre il 15% i docenti che non hanno pubblicato lavori scientifici negli ultimi anni.
la Repubblica del 6 luglio 2010