Se due indizi fanno una prova, due refusi finiscono per dare corpo a una strategia. Al ministro Saconi i diritti d’autore sul “refuso” entrato nel gergo della politica
ROMA – Un refuso tira l’altro. Prima quello sulle pensioni, poi quello sulle tredicesime di poliziotti, professori e magistrati. Così se due indizi fanno una prova, due refusi finiscono per dare corpo a una strategia: la strategia dei refusi, appunto. Coltivata dal governo, assecondata, nel segreto dell’emendamento, da alcuni parlamentari della maggioranza. A nobilitarla è stato – pare senza una vera strategia di marketing – il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Perché sono tutti suoi i diritti d’autore sul “refuso” entrato prepotentemente nel gergo della politica all’insegna del “pop”.
È stato lui il primo a parlarne. Ma se nuovo è il termine, vecchio, e largamente sperimentato, è lo schema di gioco: il governo – vale per la giustizia come per quasi tutti i provvedimenti di politica economica – non scopre per intero le sue carte e affida ai parlamentari prescelti le proposte più hard (tutti i condoni fiscali ed edilizi sono passati così), poi aspetta di “vedere di nascosto l’effetto che fa”, come canterebbe Enzo Jannacci. Quando si scatena la tempesta, l’esecutivo fa fare marcia indietro ai parlamentari, altrimenti va in gol. Su pensioni e tredicesime, per ora, gli è andata male. E motu proprio ha già fatto dietrofront sulla stretta alle invalidità e sul blocco degli scatti di anzianità nella scuola.
La strategia impone la figura del parlamentare del refuso. Per la manovra da 25 miliardi, è stato prescelto il presidente della Commissione Bilancio del Senato, Antonio Azzollini (classe 1953), che è anche sindaco di Molfetta e che non è nuovo a interpretare il ruolo. Da anni è iscritto al “partito dei condonisti”, avendoli fatti passare tutti dallo scranno di presidente della Commissione e giustificandoli tutti in vista della grande riforma del fisco che, però, è ancora da venire. “Scegliendo Azzollini hanno un po’ esagerato – commenta il democratico Enrico Morando che dal ’94 fa parte della Bilancio – perché è nello stesso tempo presidente della Commissione e relatore del provvedimento. Davvero c’è il rischio di far diventare il Parlamento un passacarte delle decisioni governative”.
Ma, sia chiaro, Azzollini, berlusconiano doc e acerrimo nemico del conterraneo Raffaele Fitto, è solo, per quanto nient’affatto ingenuo, un portatore d’acqua, anche se i maligni osservano come la carica di presidente della commissione parlamentare abbia probabilmente favorito la crescita industriale della sua Molfetta. Gli emendamenti, anche quello sul blocco dei pensionamenti nonostante i 40 di contributi, sono stati pensati e scritti dai tecnici del governo, Ragioneria in testa.
C’è chi dice che per quello sulle pensioni abbia contribuito anche il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, fedelissimo del governo ma soprattutto, oltreché del sottosegretario Gianni Letta, del titolare del Lavoro Sacconi. Che, vista la buriana, l’ha sconfessato. Ma non era propriamente un refuso. Dice Pier Paolo Baretta, capogruppo del Pd alla Commissione Bilancio di Montecitorio: “La norma che a partire dal 2016 aggancia l’età del pensionamento alle aspettative di vita non prevede alcuna deroga. Quindi, dal 2016, i 40 anni di contributi non saranno più sufficienti per andare in pensione indipendentemente dall’età. I 40 anni sono già saltati. Altro che refuso!”.
Anche sull’arbitrato sul lavoro, con l’aggiramento dell’articolo 18 sui licenziamenti, Sacconi ha affidato buona parte della strategia al senatore Maurizio Castro, con il quale ha da anni un rapporto strettissimo, tanto più che quella era una delega affidata al governo. Il riesame imposto dal Capo dello Stato ha fatto in parte modificare le norme.
I condoni sono il terreno prediletto per applicare la strategia del refuso. “Sono tutti passati così, da quelli nell’edilizia a quello fiscale tombale del 2003”, ricorda Morando. E la mossa del condono – questa volta – l’aveva provata il quarantaseienne abruzzese Paolo Tancredi per tutti, ormai, “il senatore dei condoni”. Ma forse, insieme ai colleghi Cosimo Latronico e Gilberto Picchetto Fratin, ha esagerato: un condono edilizio esteso alle aree protette sommato a un condono fiscale tombale. È stato travolto dalle critiche, provenienti anche da Palazzo Chigi. Alla fine, a proposito dell’emendamento, ha detto: “È stato un errore firmarlo. Ma ne abbiamo firmati a centinaia, assediati dalle associazioni di categoria e anche dai colleghi deputati”.
Va da sé che per evitare tutti questi refusi non basterebbe nemmeno un correttore di bozze vecchio stile.
da la Repubblica
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«Tredicesime, governo in retromarcia il premier: “Non saranno toccate”», di Valentina Conte
«Nella manovra non ci sarà alcuna riduzione della tredicesima per nessuno». Non ci sarà per i poliziotti, ma neanche per giudici, docenti universitari, vigili del fuoco. Arriva in serata, nel corso di una telefonata al Tg4, la piena ufficialità alla retromarcia del governo sull´emendamento taglia-tredicesime. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo scandisce in tv, provando a rassicurare anche sulla crisi: «È aumentata la velocità della ripresa e Confindustria ha detto che la recessione è finita».
Una giornata “calda”, quella di ieri, e non solo a causa del meteo. Iniziata con Federico Bricolo, presidente della Lega in Senato, che si mette subito di traverso: «Non siamo disposti a tagliare le tredicesime». E infatti la Padania di oggi si intesta il successo, titolando “Abbiamo salvato le tredicesime”. Ma il primo dietrofront ufficiale è del ministro della Difesa Ignazio La Russa che a mezzogiorno annuncia: «Ho parlato con Tremonti mi ha detto che eliminerà anche la semplice facoltà di taglio delle tredicesime per il comparto sicurezza. Anche Maroni è d´accordo». Il Viminale conferma. Poi è il turno del presidente del Senato Schifani: «Ho telefonato ad Antonio Azzollini, che ha presentato l´emendamento, e l´ho invitato a ritirarlo». E lui: «Quando e se il governo lo chiederà lo ritireremo. Era un´opzione. Se non ci sarà, non ci sarà». Ma si parla solo del “comparto sicurezza”.
Intanto si scatena l´inferno. Protestano tutti: poliziotti, prefetti, diplomatici, magistrati, guardia di finanza, polizia penitenziaria. I più arrabbiati sono i sindacati di polizia, anche quelli di destra (Ugl e Sap), che confermano «azioni eclatanti» nei prossimi giorni e annunciano un´alleanza inedita con prefetti e vigili del fuoco, chiedendo l´intervento «urgente» di Napolitano e Berlusconi. «La nostra azione sarà durissima», minaccia Nicola Tanzi, segretario Sap. «La manovra resta iniqua e ci colpisce umiliando figli e mogli dei poliziotti», rincarano il Siap e l´Anfp.
Un coro di proteste, nonostante il ritiro dell´emendamento, e un attacco durissimo a Maroni, accusato di lontananza e disinteresse. Rimangono i tagli (1,7 miliardi in meno solo nel 2011 per il comparto sicurezza e difesa), le retribuzioni ferme al 2010, le promozioni senza adeguamento di stipendio, notturni, straordinari, festivi non pagati. «È una manfrina tra governo e commissione Bilancio», dice Claudio Giardullo, segretario Silp-Cgil. «Abbiamo incontrato Maroni a fine giugno ma non ci ha detto nulla delle tredicesime. Sui tagli il ministro è stato disattento», accusa Felice Romano, segretario Siulp. Maroni risponde a metà giornata. Si dice «sorpreso e amareggiato per le accuse dei sindacati». E precisa che «i tagli previsti dalla manovra non incideranno sulla sicurezza», in parte «compensati dalle risorse che ogni giorno vengono sottratte alla criminalità organizzata». «Ma quante sono le risorse effettivamente disponibili ed esigibili di quel fondo? Basteranno a coprire i tagli?», si chiede Giuseppe Tiani, segretario generale Siap.
da la Repubblica
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«Pensioni e federalismo, il Tesoro blinda la manovra», di M. Sen.
Diventerà legge l’adeguamento automatico dell’età pensionabile. Il contropiede sui governatori
Articolo 12-ter. La nuova gamba spuntata alla manovra per la correzione del deficit sta lì dentro. In quell’emendamento presentato dal relatore del decreto, Antonio Azzollini, dopo averlo concordato con il ministero dell’Economia. L’adeguamento automatico dell’età di pensione alle speranze di vita. Fatto per legge e non più affidato ad un semplice Regolamento, che pure il governo si era premurato di approvare il giorno dopo il varo della manovra per dare ancor più sostanza agli impegni del governo sul risanamento. Meglio andare sul sicuro, deve aver pensato Giulio Tremonti. Un Regolamento, benché attuativo di una legge precedente, si può sempre cancellare, sostituire, modificare, contestare. Il Consiglio di Stato, ad esempio, lo stava soppesando da qualche giorno. Così, per non correre il minimo rischio, è arrivato il blitz.
Mentre tutti si scagliavano sull’articolo 12-bis contenuto nello stesso emendamento, secondo il quale dal 2016 non sarebbero stati più sufficienti i 40 anni di contributi per la pensione, poi declassato a «refuso » e ritirato dal relatore, l’articolo 12-ter è sfilato via senza problemi e clamori. Una volta che il decreto sarà approvato dal Senato, e subito dopo dalla Camera, l’adeguamento dell’età di pensione alle speranze di vita, da verificare ogni tre anni, sarà scritto nero su bianco in una legge. Per la felicità dell’Unione Europea, dei mercati, e forse anche dei politici che verranno dopo, perché secondo il ministro dell’Economia, già convinto che l’Italia avesse la miglior legge d’Europa sulle pensioni, il sistema previdenziale è blindato a vita. Oltre ai tagli alla spesa degli enti locali e a quelli della pubblica amministrazione con il blocco del rinovo contrattuale del pubblico impiego, si aggiunge un altro puntello alla manovra anti-crisi, che il ministro dell’Economia è convinto di portare a casa intatta.
Dei 2.500 emendamenti presentati dalla maggioranza e dall’opposizione, finora, in Commissione, non ne è passato neanche uno. Il margine per le modifiche, ha ripetuto il ministro dell’Economia nei due incontri avuti con la maggioranza in Senato, è ridotto al minimo. Per essere sicuro di incassare il risultato, a Tremonti servono però ancora un paio di verifiche. Con la maggioranza di centro-destra e soprattutto con il Presidente del Consiglio. Silvio Berlusconi ha annunciato che da domani prenderà lui in mano la situazione, anche la manovra per la correzione dei conti. Il ministro dell’Economia sembra tranquillo. Finora, nelle occasioni pubbliche, il premier ha difeso senza troppe esitazioni la sua linea. Tuttavia il clima, durante l’assenza di Berlusconi, si è scaldato. I governatori delle Regioni continuano a protestare per i tagli, e Tremonti li attacca a testa bassa sugli sprechi. Loro lamentano il taglio dei trasferimenti che cancellano il federalismo fiscale e lui, con un altro emendamento passato sotto silenzio, sposta i tagli dai «trasferimenti» alle «risorse a qualunque titolo spettanti alle Regioni». Che ora meditano di rivolgersi a Gianfranco Fini, l’ultima porta rimasta a cui bussare. Una partita durissima, senza esclusione di colpi. Da domani nelle mani di Silvio Berlusconi.
da www.corriere.it