La Relazione sul federalismo è una positiva prova politica, offre un’importante documentazione contabile, contiene qualche proposta convincente come il passaggio alla finanza comunale delle imposte sui trasferimenti immobiliari. Inatteso e stupefacente il richiamo agli studi di settore, ma se ne potrà discutere. Sarebbe stata utile maggiore attenzione al rapporto tra norme e comportamenti, che è il punto debole della finanza pubblica italiana. Manca soprattutto ogni ipotesi su come rimediare alla irresponsabile abolizione dell’Ici sulla prima casa.
La Relazione sul federalismo fiscale approvata dal governo il 30 giugno dimostra innanzitutto che la riforma va avanti. Dopo l’importante devoluzione demaniale dei mesi scorsi, un evento che rafforza le capacità operative delle buone amministrazioni periferiche ben al di là dei 3,2 miliardi di euro che nella valutazione della Corte dei conti rappresenta il valore degli immobili devoluti, la Relazione zittisce chi dava il federalismo già defunto sotto il peso della manovra correttiva in discussione al Parlamento. Per quanto dura e ingiusta possa essere giudicata tale manovra, che ha ridotto Regioni ed enti locali a lottare per la sopravvivenza, l’idea di potersi sottrarre in futuro allo strangolamento centralistico grazie a una maggiore autonomia, non aggrava certo la situazione e semmai aiuta a sopportarla meglio.
I COSTI DEL FEDERALISMO
La Relazione è stata anche l’occasione giusta per ribadire che il federalismo fiscale, basato su costi standard, per definizione non può aumentare la spesa storica, che è inquinata da inefficienze e corruzioni . Ma sarebbe stato bene avvertire che ciò vale a due condizioni.
La prima è la parità di servizi erogati. In molte aree del Sud, lo spreco sul singolo servizio si accompagna a un’offerta complessiva di servizi essenziali molto carente. È quindi possibile in astratto che il riequilibrio dell’offerta, sia pure con maggiore efficienza, implichi più spesa; ma questo sarebbe un risultato molto positivo del federalismo, che sarebbe dunque riuscito a elevare la qualità della vita pubblica al Sud. L’avvertimento sarebbe servito anche a mitigare l’attesa, alimentata dalla Lega, di enormi e immediati risparmi in Meridione e quindi di ben maggiori risorse trattenute al Nord. Il fatto che negli enti periferici al Sud lo spreco si accompagni a una spesa complessiva non più elevata rispetto al Nord, fa capire che non c’è grasso che coli e che le inefficienze sono oggi pagate soprattutto dai cittadini del Sud sotto forma di minori servizi.
La seconda e ovvia condizione per non avere maggiore spesa è che si riesca a ridurre al centro il costo per le competenze passate alla periferia. Contro la duplicazione dei costi la legge delega contiene comandamenti ripetuti e solenni; ma altrettanto facevano precedenti norme, tranquillamente disattese, come insegna il decentramento di Bassanini del 1997-99.
IL CALCOLO DEI FABBISOGNI STANDARD
La Relazione regala poi al paese un quadro di finanza pubblica aggiornato e, per quanto possibile, affidabile, che sarà un riferimento importante per il dibattito politico e gli studi. Avere trovato in periferia una contabilità pubblica disastrata, con dati carenti e incomparabili, aumenta il merito della commissione Antonini, ma al contempo avverte che le tante norme di coordinamento contabile già vigenti e le obbligatorie verifiche dei revisori non sono bastate a liberare i conti dall’anarchia e dal mendacio.
Su questo tema centrale della finanza pubblica italiana – il rapporto tra norme e comportamenti – la Relazione poteva essere più attenta, sia nella ricostruzione del passato che nel disegno del futuro. Perché ciò che di solito caratterizza in peggio il quadro italiano nei confronti internazionali non è il contenuto della legge, ma la sua attuazione. In particolare, questa debolezza analitica si fa sentire quando il fallimento di precedenti tentativi di determinare il fabbisogno standard con formule semplici e calate dall’alto – caso più noto, il decreto legislativo 56/2000 sul federalismo sanitario – è assunto come ragione sufficiente per cambiare approccio: non si riesce a non evocare la storia del pittore che cambiava pennello quando era finito il colore. Attendiamo comunque di approfondire il nuovo approccio, arrivato come il classico coniglio dal cilindro, che punta a determinazioni analitiche e condivise, individuate con l’aiuto della Sose, la società pubblica che gestisce con elevata competenza gli studi di settore in campo fiscale (anche se prova non meno positiva aveva dato il disciolto Isae che nella finanza pubblica potrebbe vantare ben maggiori competenze).
LE ENTRATE COMUNALI
Un cenno, infine, alle entrate comunali. Molto positiva l’idea di passare alla finanza locale, creando un fondo perequativo, le imposte sui trasferimenti immobiliari. Piace meno l’idea di trasformare in cedolare secca locale l’attuale tassazione Irpef su edifici locati e seconde case: ne sarà indebolita la già debole funzione perequativa dell’imposta personale progressiva e ne sarà appesantita la gestione tributaria locale che dovrà misurarsi con problemi di accertamento del reddito effettivo, mentre è illusorio che per questa via si stanerà l’evasione (il comune è già fortemente incentivato a portare alla luce imponibile nascosto, senza grandi risultati). Ma non si tratta di un problema cruciale.
Ben maggiore è il vizio strutturale con cui è costretto a nascere il federalismo fiscale italiano dopo la soppressione dell’Ici sulla prima casa. Non si tratta tanto dei 3,3 miliardi di gettito in gioco, ma della dissociazione, per molti cittadini, tra beneficio della spesa e onere dell’imposta, la cui compresenza nella testa di ciascun elettore è il pilastro della cultura federalista. Ho recentemente riesumato una mia vecchia proposta al riguardo, riprendendo l’idea della tassa francese sull’abitazione che era stata recepita nel Libro bianco di Giulio Tremonti del 1994 e che a maggior ragione appare oggi valida. Ma sembra che occorrerà toccare con mano i guai della irresponsabile abolizione dell’Ici prima di provvedere.
RELAZIONE DEL MINISTRO TREMONTI SUL FEDERALISMO FISCALE
da www.lavoce.info