Dal 2016 non si potrà andare in pensione neanche con 40 anni di contributi. Bisognerà attendere un po’ di più, quanto stabilirà l’Istat sulla base degli adeguamenti alle speranze di vita. La novità è contenuta in un emendamento del relatore, Antonio Azzollini, alla manovra. L’emendamento del relatore modifica la legge dello scorso anno che prevedeva, a partire dal 2015, adeguamenti automatici triennali dei requisiti per il pensionamento alle aspettative di vita.
La proposta di Azzollini, in sostanza, proroga di un anno, al 2016, l’avvio della riforma ma inserisce nell’aumento anche il requisito dei 40 anni di contributi, che prima era intoccabile e che permetteva di andare in pensione indipendentemente dall’età. L’adeguamento, spiega la relazione tecnica, è fissato dall’Istat sulla base dell’allungamento della vita registrato nei tre anni precedenti. Dal primo gennaio 2016 si stima un incremento dell’età di tre mesi. Come previsto dalla legge dello scorso anno, l’adeguamento del requisito dell’età anagrafica riguarda sia le pensioni di anzianità che quelle di vecchiaia dei 65 anni. Incorrono nell’adeguamento anche le pensioni sociali. I risparmi indicati nella relazione tecnica sono pari a 7,8 miliardi fino al 2020. Con lo stesso emendamento si prevede l’innalzamento a 65 anni, dal 2012, dell’età per la pensione di vecchiaia delle donne del pubblico impiego, così come chiesto dalla Corte di Giustizia europea. Quest’anno l’età sale a 61 anni dai precedenti 60, nel 2011 si passa a 62 anni e dal 2012 a 65 anni.
Inoltre, secondo la norma contenuta nell’emendamento del relatore Azzollini alla manovra, presentato in Commissione bilancio al Senato, aumenta l’età anche per accedere alle pensioni sociali, il trattamento che viene concesso ai cittadini privi di altri redditi o comunque di redditi minimi per vivere. Oggi l’assegno viene percepito a 65 anni, ma dal 2016 anche le pensioni sociali incorrono nell’adeguamento alle speranza di vita sulla base di quanto accertato dall’Istat. Quindi l’età aumenterà di 3-4 mesi ogni tre anni.
Nel pomeriggio il ministro del lavoro Sacconi cerca di tranquillizzare le anime e afferma che la norma che innalza il requisito dei 40 anni per l’accesso alla pensione ”è stata un refuso” che verrà corretto. ”Ne ho parlato con Azzollini – ha detto – e abbiamo convenuto che assolutamente si è trattato di un refuso che non corrisponde alle intenzioni del governo. Come già accade per la legge Maroni e Damiano, coloro che hanno accumulato 40 anni di contributi sono sottratti al sistema delle quote e all’innalzamento dell’età anagrafica”. Sarà quindi cancellato l’aggancio all’aspettativa di vita per coloro che maturano 40 anni di contributi.
Ma la cgil non si tranquillizza e la vice segretaria generale Susanna Camusso spiega che l’aumento dell’età contributiva prevista dagli emendamenti alla manovra ”annunciati come transitori saranno in realtà strutturali e questo significa che nel pubblico impiego le donne andranno in pensione a 66 anni e non a 65, mentre l’età contributiva passa a 41 anni e non più a 40”.
Camusso spiega che l’esecutivo ”sta facendo un’operazione di cambiamento strutturale senza dichiararlo e rendendo tutto il sistema più iniquo”. Senza contare – spiega – che ”tutto questo prolungamento non vale ai fini del valore della pensione”.
Per la vice segretaria della Cgil, quindi, ”c’è un’accelerazione rapidissima che darà risultati terribili, anche perché un anno in più “sarà poi strutturale e dal 2015 si andrà avanti”. Per Camusso c’è poi da considerare un altro aspetto riguardante i ”risparmi” provenienti da questa operazione che – a detta della sindacalista – ”saranno dirottati sulla spesa e, quindi, sottratti ai lavoratori. Quindi, al contrario di quanto ci hanno detto, le mani nelle tasche degli italiani ce le mettono eccome”.
Un’operazione, quindi – aggiunge la dirigente sindacale – ”che carica costi sulle spalle degli italiani perché c’è un chiaro ridimensionamento dei diritti esistenti nel sistema”.
da Paneacqua
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«Per la pensione non basterà avere 40 anni di contributi», di BdG
La riforma dal 2016. Lo prevede un emendamento alla manovra. Sacconi: è un refuso Tasse e pedaggi Stangata sui terremotati d’Abruzzo. Colpiti anche gli invalidi
Ancora sacrifici ai lavoratori, ma stavolta la mossa non è riuscita in pieno. Almeno per ora. Un emendamento alla manovra firmato dal relatore Antonio Azzollini propone che dal 2016 per andare in pensione non basteranno più 40 anni di contributi. Una vera bomba, lanciata a freddo sui sindacati, che già lanciano segnali di guerra. Ma il ministro del welfare Maurizio Sacconi arriva trafelato in Senato, incontra Azzollini, e poi smorza tutto. «La norma sui 40 anni è stata un refuso. La cancelleremo ». Refusi sempre un po’ «di parte », visto che finiscono sempre per sfavorire i lavoratori. I quali sono già sufficientemente tartassati dalla manovra proprio sul fronte previdenziale. Vera Lamonica della segreteria confederale della Cgil spiega infatti che «l’emendamento peggiora la situazione perché un lavoratore con 40 anni di contributi incappanon solo nella finestra mobile, che significa l’allungamento di un anno, ma anche nell’ applicazione dei coefficienti sull’ attesa di vita». Un altolà è arrivato anche da Raffaele Bonanni. «basta penalizzazioni – ha detto il leader Cisl – A chi ha lavorato per 40 ani è già stato chiesto di restare un anno in più». Poi lo stop del ministro. Che per ora è solo a parole: andrà verificato in aula se davve ro il governo intende fare marcia indietro. Ma l’emendamento Azzollini introduce anche altre novità: fa partire l’adeguamento all’aspettativa di vita dal 2016 (e non dal 15 come previsto oggi) e lo estende alle pensioni minime. Strada facendo si arriva a un adeguamento «cumulato » nel 2050 è pari a 3,5 anni. Cioè nel 2050 si dovrà stare al lavoro fino a 68,5 anni. INIQUITÀ L’operazione sulle pensioni è una vera tenaglia. Ma restano in piedi anche tutte le altre iniquità della manovra. A iniziare dalle invalidità. Solo il 10% degli attuali invalidi si salva dalla scure con l’emendamento Azzollini. Il 90% resta senza aiuti. Per non parlare poi delle tasse che gli abruzzesi da ieri tornano a pagare. L’emendamento del relatore ha l’unico effetto di rateizzare il rimborso in cinque anni. Ma l’esenzionenonc’è: soltanto le piccole imprese (con fatturato fino a 200.000 euro) potranno rinviare il prelievo fino a dicembre. Gli altri tornano a pagare da subito e a restituire dall’anno prossimo. Terremotati di serie B. Nei casi precedenti, infatti, si ottenne una sospensione più lunga, un recupero in 10 anni e soltanto del40%del dovuto. Per gli abruzzesi, poi, c’è la doppia beffa delle tasse e dei pedaggi autostradali. Per la A24 Roma-Pescara il prelievo Anas sommato all’aumento della società Autostrada dei parchi si trasforma in un salasso. Un’auto normale che da Pescara va a Roma e ritorno pagherà 5 euro di più, mentre i mezzi pesanti arriveranno a 10-12 euro. «Se si va a Fiumicino è ancora peggio – denuncia il senatore abruzzese Giovanni Legnini – perché bisogna aggiungere altri due euro». Gli effetti sull’economia dell’intera regione saranno pesantissimi. Anche se sui rincari per le tratte del Grande raccordo di Roma già si stanno elevando barricate bipartisan. Renata Polverini e il sindaco Gianni Alemanno si sono coalizzati anche con gli esponenti del centrosinistra, per chiedere modifiche alla manovra. Procede intanto l’esame del testo in commissione. In arrivo oggi altre modifiche del relatore. Le votazioni vanno a rilento, tanto che il varo per l’aula potrebbe slittare a domani o a lunedì. Tra i nuovi emendamenti del relatore, probabilmente le annunciate correzioni sui magistrati e, dopo la marcia indietro di ieri, anche la correzione sull’emendamento del relatore sulle pensioni che rendeva non sufficienti, a partire dal 2016, i 40 anni di contributi per andare in pensione. Possibile un lavoro non-stop a partire da oggi fino all’approvazione finale.
da Unità