E’ l´attesa la pena a cui viene costretto, suo malgrado, l´italiano sul punto di andare in pensione. E da gennaio 2011, questa penadiventerà ancora più grave.
Fino a oggi si trattava di qualche mese. Dall´anno prossimo, con le norme inserite nella manovra economica, il “ritardo”, una volta raggiunti i requisiti, arriverà a un anno per i dipendenti e a 18 mesi per autonomi e parasubordinati. Senza alcuna ricompensa. Neppure modesta. Nel limbo ci sono tutti. Dipendenti e collaboratori. Del pubblico e del privato. Donne e uomini.
Chi andrà più tardi. Un dipendente che ha raggiunto i 65 anni e che riceverà una pensione legata agli ultimi stipendi (sistema retributivo), dopo il primo gennaio del 2011 non potrà andare di fatto in pensione, ma dovrà aspettare i 66 anni. Così come chi matura il diritto con 40 anni di contributi. Con la beffa che l´anno in più non avrà effetti sulla pensione. Verrà conteggiata la stessa quota dell´anno precedente: l´80 per cento della retribuzione. Simile beffa subirà chi andrà in pensione con il sistema contributivo, cioè quelli con un assegno proporzionato a quanto versato. Si lavorerà un anno in più e il parametro di calcolo legato all´attesa di vita sarà lo stesso dell´anno prima.
Non solo. Anche gli iscritti alla gestione separata, che con la legge 243/2004 potevano usare la “finestra” dei dipendenti, dovranno attendere 18 mesi. Stesso tempo anche per i dipendenti passati da ì diversi istituti previdenziali. Prima non aspettavano neppure un giorno. Con l´emendamento del 10 giugno 2010, poi, l´età pensionabile delle dipendenti pubbliche salirà a 65 anni dal gennaio 2012. Senza alcuna gradualità: le nate nel 1950 vanno in pensione nel 2011, chi è nata nel 1951 aspetterà il 2016. L´assenza di incentivi. Il problema non sembra essere tanto quello dell´elevamento dell´età. ì Quanto gli strumenti e i modi usati. «In linea di principio nessuno vuole andare presto in pensione» spiega Luigina De Santis, componente del collegio di presidenza del patronato Inca Cgil «però per alzare l´età pensionabile si deve pensare un sistema di premiazione per chi rimane. Si resta al lavoro se si ha un incentivo».
Evitate le distorsioni. Difende la bontà delle norme il presidente dell´Inps Antonio Mastropasqua. «La norma che andrà in vigore dal primo gennaio 2011 restituisce più equità al sistema delle finestre. Prima si rischiava di essere penalizzati a seconda del momento in cui si maturava il diritto». In effetti, quando c´erano ancora le quattro finestre, se, ad esempio, si compivano gli anni il primo aprile, si aspettavano quattro mesi, mentre se nati il primo giugno, si aspettava meno. «Ora» spiega Mastropasqua «tutti i lavoratori dipendenti aspettano lo stesso tempo. C´è una finestra che scorre per ognuno in modo uguale. Tutti hanno le stesse modalità di pensionamento».
La disparità di trattamento. Ma non è solo una questione di attesa. La manovra penalizza il trattamento pensionistico di dipendenti pubblici e lavoratori della scuola. Il blocco dei contratti dei dipendenti nei prossimi tre anni e dello scalone, lo scatto pluriennale, fanno sì che un insegnante di 61 anni avrà davanti a sé tre anni di retribuzione congelata con effetti negativi sulla pensione. Al contrario, la riduzione retributiva per il contributo di solidarietà per la dirigenza pubblica con più di 90mila euro “non opera ai fini previdenziali”. Ma quali rischiano di essere gli effetti? «Le pensioni di anzianità nel 2009 erano in caduta ì vertiginosa» dice Luigina De Santis. «Mi aspetto che molte persone che pensavano di restare, di fronte al timore di perdere un diritto, ì anticipino ora il pensionamento».
L´attesa di vita è la vera sfida. Altro cambierà ancora. Con la legge
102/2009, a partire dal 2015, l´età pensionabile sarà adeguata all´incremento della speranza di vita. I regolamenti attuativi dovranno essere emanati entro il 2014. Per Mastropasqua «in questo modo si immette nel sistema italiano un principio, innovativo e lungimirante, che non ha uguali nel resto d´Europa.
L´età del pensionamento non può che essere correlata all´aspettativa di vita». Ce lo chiede pure l´Unione europea. Ma interne al dibattito si muovono, nascoste, altre variabili. E altre domande a cui la classe politica dovrebbe rispondere prima di ogni cosa: «Il governo» dice Luciano Gallino, sociologo e osservatore attento delle trasformazioni nel mondo del lavoro «sembra ignorare che siamo nel mezzo di una ì crisi economica mondiale che durerà molti anni e che produce tassi di disoccupazione molto elevati. Le imprese ristrutturano, per aumentare la produttività cercano di assumere soprattutto giovani cercando di
liberarsi, ed evitando di assumere, non solo i sessantenni, ma anche i
quarantacinquenni e i cinquantenni. Quando si parla di prolungamento di età pensionabile si devono fare i conti con il vuoto sempre più grande tra la domanda delle imprese e l´ipotesi che le persone vadano in pensione più tardi.
Questo rischia di diventare un problema molto serio. Come si colma questo vuoto di venti anni nella vita di un uomo? è su questo che deve ragionare la politica».
La Repubblica 28.06.10