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«Documento donne», di Alessia Ripani

Cristina Comencini nel video che presenta lo spettacolo ‘Libere’

La ricerca della dignità. Il documento della donna libera italiana ai tempi di Silvio Berlusconi, il manifesto dell’anti-velina, il vademecum di chi non si riconosce nell’escort-pensiero e si attrezza per sconfiggerlo. Modernità alle prese con missioni in sospeso e palesi sconfitte, perché “se oggi una ragazza di trent’anni maledice il femminismo e invidia sua nonna vuol dire che c’è ancora tanto da fare”. Lo ha messo a punto un gruppo di donne – battezzato Di Nuovo e formato da intellettuali e precarie, scrittrici e giornaliste, poetesse e casalinghe, ‘madri e mogli ma non solo’ – scioccate dalla cronaca dell’estate godereccia della politica che anticipò quella giudiziaria, preoccupate dei movimenti ‘tettonici’ in tv ma anche e soprattutto delle opportunità negate; dall’immagine del femminile che, spacciata per spregiudicata e libera, offende i principi del rispetto e del buon gusto, nascondendo crescita professionale, civile, culturale.

IL DOCUMENTO

“In Italia c’è il tasso di lavoro femminile più basso d’Europa. Le donne vengono pagate a parità di mansioni e preparazione meno degli uomini. La televisione pubblica italiana espone il corpo delle donne come non accade in nessun altro Paese europeo. Le donne non hanno nessun aiuto per scegliere di avere un bambino. Nessun governo italiano ha mai fatto una politica per le donne”. Lo sguardo di Cristina Comencini fissa la telecamera nello spot che promuove il suo ultimo lavoro teatrale ‘Libere’, con Isabella Ragonese e Lunetta Savino impegnate in una discussione sul femminismo. Due generazioni si interrogano, anche per capire cos’è che non ha funzionato. Lo spettacolo verrà presentato il 2 luglio all’Accademia della danza di Roma. L’occasione servirà a far conoscere il documento e lanciare la campagna di adesioni su scala nazionale. “Non per fondare un partito delle donne – precisa la Comencini – ma un movimento capace di influenzare le scelte dei partiti”. Con lei ci sono, tra i nomi più conosciuti, Maria Serena Sapegno, Licia Conte, Iaia Caputo, Sara Ventroni, Anna Maria Mori, Francesca Izzo, Anna Maria Riviello e la protagonista della pièce, Savino.

“La nostra voce fatica a farsi sentire – spiega Francesca Izzo, 60 anni, femminista della prima ora, un tempo coordinatrice donne Ds – perché siamo tante, ma non siamo organizzate. Esistono associazioni e realtà sparse, forze e intelligenze, che non riescono ad affermarsi come punto vista autorevole proprio perché frammentate. Per questo vogliamo metterle in Rete e creare una grande associazione, un movimento riconoscibile in grado di incidere nelle scelte, contare. Per parlare alle donne useremo anche il teatro che. come il documentario o la letteratura, arriva al grande pubblico e alle coscienze. Poi ci saranno gli incontri, nelle università speriamo, nelle scuole, nei quartieri”. Raccogliere il pulviscolo di indignazione e trasformarlo in vento di rinnovamento della cultura e della società contro i miasmi del “ciarpame senza pudore”, per dirla alla Veronica Lario. Anche se la lady, pure, non convince. “Non ci pare appropriato – si legge nelle sette pagine preparate per cambiare l’Italia – il curioso trionfalismo di una parte del femminismo che nelle sortite di Veronica Lario e di Patrizia D’Addario scopre i segni dell’indelebile iscrizione della libertà femminile nella storia, le eleva ad eroine del cosiddetto post-patriarcato e nelle vicende che le riguardano scorge solo la miseria maschile”.

Insomma, ce n’è per tutti. Per la politica, certo, ma anche per la classe dirigente ed economica del Paese. “Vogliamo parlare – domanda Izzo – del lavoro? Delle istituzioni? Delle donne al comando? Degli stipendi? O anche, semplicemente, della maternità? E se le giovani ragazze ci appaiono disposte a tutto non inganniamoci. Sono vittime anche loro”. “La libertà di cui certamente godiamo più delle generazioni che ci hanno precedute ci ha reso veramente libere?”, chiede la Comencini al suo pubblico. “Pensavo che dopo aver fatto la femminista potessi dedicarmi all’insegnamento senza pensare alle istanze di un tempo – ammette la professoressa Izzo, oggi docente all’università di Napoli – invece no. Abbiamo fallito. Non è certo questo che sognavamo”.

da www.repubblica.it

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