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"La fabbrica dei diplomi quei 26mila privatisti a caccia dell´esame facile", di Salvo Intravaia e Vera Schiavazzi

Ventiseimila ragazzi che non hanno frequentato neppure un giorno di scuola e che in queste ore si presentano alla maturità: sono i “fantasmi del diploma”, l´esercito dei privatisti, quelli che avendo perso uno, due o tre anni di scuola (o non essendoci andati del tutto) vengono comunque sospinti da mamme e papà ad afferrare quel “pezzo di carta” che consentirà loro di entrare all´università, partecipare ai concorsi pubblici, candidarsi a qualunque ricerca di personale. E se per ottenere il diploma studiando regolarmente in un liceo paritario (che per legge adotta gli stessi programmi e gli stessi orari di uno statale) si spendono mediamente 22.000 euro per cinque anni di retta, per candidarsi come privatisti le tariffe possono partire dai 4.000 euro che la Guardia di Finanza di Gela ha appena scoperto essere il prezzo fissato da dieci “diplomifici” chiusi in Sicilia e in Calabria, per arrivare ai 10.000 di un anno di preparazione “personalizzata” concluso con l´esame facile. Studiare in una scuola privata “seria”, come ne esistono centinaia in Italia, o presentarsi solo al momento dell´esame contribuendo così al business dei diplomifici sono due cose ben diverse. Non è un caso, del resto, se i privatisti cercano di scegliersi la scuola (e ci riescono in oltre il 90 per cento dei casi) dove affronteranno la maturità. Solo quattro studenti su 100 negli istituti statali si presenta da esterno, mentre nei privati la percentuale sale all´11 per cento sul totale dei candidati, con un aumento del 15 per cento rispetto al 2009.
Ma gli istituti privati sono tutti uguali? Come distinguere quelli che facilitano chi non ha voluto o potuto frequentare la scuola da quelli che si comportano in tutto e per tutto come una scuola pubblica? E com´è fatta la mappa dei diplomifici italiani?
Una mini-classifica si può tentare, partendo da quelli che, per presenza di studenti “esterni”, superano di oltre dieci punti la media nazionale. Quelli che accettano i privatisti, anzi li incoraggiano, e magari li preparano anche attraverso i propri canali paralleli, con tanto di tutor che durante l´anno aiutano gli sventurati giovani a fare la minor fatica possibile. Oltre al “Rousseau” di Viterbo, che vanta addirittura il 44 per cento di privatisti (89 esterni contro 112 interni), c´è “Il Nazareno” di Pescara (47 candidati esterni, pari al 24 per cento), l´Icos di Lecce (32 per cento di privatisti), il “Pascoli” di Palmi (in provincia di Reggio Calabria, col 31 per cento) il “Quasimodo” di Siracusa (27 per cento di esterni). Poi c´è chi non vuole sentirne parlare: «Privatisti non ne vogliamo, e del resto loro non vogliono noi», spiega senza giri di parole Antonello Famà, direttore del “Sociale”, il liceo dei Gesuiti torinesi. «Ci vuole più rigore contro intrallazzi e imbrogli negli esami dei candidati esterni, i diplomifici vanno contrastati e noi lo abbiamo sempre chiesto», aggiunge Francesco Macrì, presidente della Fidae, l´associazione che riunisce 3.000 scuole paritarie cattoliche.
FALSI DIPLOMI E TRUCCHI PER GLI ESAMI
Inchieste e processi per ora si concentrano soprattutto al Sud. A Palermo, nel 2006, un´indagine della Procura ha portato alla chiusura di 7 istituti e all´arresto di 11 persone. La Guardia di Finanza ha scoperto irregolarità di ogni genere: diplomi autentici consegnati in bianco dal Ministero e assegnati a studenti bocciati, altri del tutto “taroccati”, destinati a chi non poteva pagare troppo. Quattrocento i titoli sicuramente falsi venduti agli studenti impreparati e alle loro famiglie. E in molti casi, all´arrivo della Guardia di Finanza, gli ex bocciati avevano già trovato lavoro proprio grazie al diploma fasullo. Introvabili anche i registri di “carico e scarico” sui quali gli istituti parificati coinvolti nell´inchiesta avrebbero dovuto annotare i diplomi bianchi giunti da Roma e quelli consegnati ai promossi. Per evitare questo genere di frode, da quest´anno, il Miur ha avviato la produzione di nuove pergamene in carta filigranata, più difficili da falsificare. Più difficili se non impossibili da prevenire i trucchi a esame in corso, come racconta A. R., ispettore di un Ufficio scolastico regionale: «Nel corso dell´anno, si inizia a far comparire come presenti alunni che sono assenti. La valutazione dipende anche dalla frequenza scolastica e un ragazzo con troppe assenze, perché magari lavora, non potrebbe avere i voti che si ritrova a fine anno. Poi, ci sono i compiti in classe fatti da qualche insegnante compiacente (fino a 25 crediti scolastici su 100). E i panini con le soluzioni dentro: la mattina degli scritti alcuni gruppi si organizzano a casa di qualcuno e aspettano le tracce. Ormai si sa che le tracce dopo qualche ora sono disponibili, il compito risolto altrove entra col panino di metà mattinata, specialmente negli istituti dove la prova dura 8 ore».
UNA MATURITÀ FATTA SU MISURA
Il “diploma facile”, però, parte da lontano. All´inizio dell´anno scolastico, e comunque entro novembre, gli aspiranti privatisti devono presentare domanda all´Ufficio scolastico provinciale esprimendo fino a tre opzioni sugli istituti dove vorrebbe sostenere l´esame. In pratica, il candidato cerca di scegliersi se non una commissione “amica” quanto meno una non troppo severa. Prendiamo il caso di Torino, una città dove – fino ad ora – non sono stati scoperti illeciti in questo campo ma dove cresce di anno in anno la quota di famiglie che preferisce proteggere i figli nella costosa cornice di un liceo privato. «Da noi – spiegano gli uffici – si cerca nei limiti del possibile di accogliere la prima scelta del candidato. Se poi ci sono troppi studenti che chiedono la stessa scuola, li si chiama e li si informa che i posti disponibili verranno sorteggiati». Nel caso del liceo classico (un tipo di diploma poco richiesto dai privatisti) tutti i candidati finiscono nella stessa scuola, il paritario “Giusti”. Nessuno si sogna di chiedere altri istituti, anche privati, con fama di severità: «Da noi non capita da almeno dieci anni – dice ancora Antonello Famà, direttore del “Sociale” – Non giudico chi non conosco, ma certo qui non regaliamo nulla e i nostri piani didattici non sono dettati da criteri economici». Insomma, il vecchio slogan “esami in sede” – per anni al centro della pubblicità dei privati – funziona ancora. È possibile cambiare città pur di ottenere il diploma? E alla fine la promozione arriva davvero? Che differenza c´è tra pubblico, privato e diplomifici?
L´ITALIA DELL´ESAME FACILE
Viterbo quest´anno vanta il primato assoluto, col 27,8 per cento di candidati esterni che si presentano alla maturità, seguita da Livorno e Pescara, che superano il 24, Chieti e Lecce, oltre il 22, Reggio Calabria e Siracusa (prima delle indagini che hanno portato alla chiusura di parecchie scuola) viaggiavano sul 22 per cento, mentre Latina, Firenze, Teramo, Agrigento e Vibo Valentia si collocano intorno al 20. Dopo essersi visto assegnare la scuola desiderata, il candidato sostiene in maggio un “pre-esame” con i soli docenti dell´istituto privato dove poi darà la maturità: naturalmente il servizio ha un costo (le famose “tasse”) e del resto non è particolarmente selettivo. Lo scopo – oltre a rispettare formalmente la legge – è quello di riferire alla commissione di maturità “vera”, e in parte composta dagli stessi docenti, se il candidato conosce i programmi dei cinque anni precedenti. Poi arriva l´esame, come per tutti gli altri. Che fine fanno i privatisti? Quelli delle statali vengono decimati (27 bocciati su 100 nel 2008), nelle paritarie se ne salvano parecchi di più: solo 14 bocciati su cento. E, quando nel 2004 il ministro Letizia Moratti cambiò la commissione della maturità (con tutti commissari interni e il solo presidente esterno) le cose andarono a gonfie vele per le paritarie: i 1.242 esterni del 2002 diventarono 12 mila nel 2005, quasi tutti promossi (appena 5 bocciati su 100), nelle statali ne vennero fermati addirittura 22 su 100.
DA DOVE ARRIVA L´AIUTINO?
Il modo nel quale si può influire sui commissari nominati dal ministero, lo si comincia a scoprire parlando con i giovani insegnanti precari che lavorano negli istituti privati. Molti si sfogano su appositi blog, gli stessi sui quali si lamentano gli studenti “truffati” (c´è anche chi “compra” l´esame ma poi non ottiene il diploma…). «L´ultima volta che ho fatto questo lavoro – racconta Andrea Pappalettera, segretario della Cisl scuola di Torino – sono stato l´unico della mia commissione a non subire pressioni. C´era chi veniva chiamato a casa, chi raggiunto direttamente sul portone da un collega o da un papà facoltoso… A me non capitò perché ero noto come sindacalista». Daniela N., 38 anni, da dieci insegnante di inglese in un linguistico privato, è più esplicita: «Appena arrivata qui mi hanno fatto passare la fantasia dicendomi che non dovevo “disturbare” i ragazzi. I compiti in classe si fanno col libro aperto davanti, le interrogazioni su un tema a piacere. Spesso i privatisti sono studenti che già conosciamo e che non hanno frequentato regolarmente. Il pre-esame è una burla. Quanto ai commissari esterni, non so e non voglio sapere come vengono incoraggiati a promuovere chi non se lo merita, certo la scuola non fa mancare loro nulla…». Perché non si denuncia? «Perché ho bisogno dei 1.000 euro che mi danno ogni mese, anche se ci trattano come schiavi e, di fatto, ci ricattano per non farci fare il nostro lavoro». È questo il business delle scuole private? Può sopravvivere chi esercita la stessa severità? Che diploma cerca chi non ha studiato?
PRIVATISTI NO GRAZIE
«Le nostre scuole non hanno fini di lucro, altre evidentemente sì», chiarisce ancora Macrì a nome della Fidae. «Per questo, se si guarda ai numeri dal 2002 ad oggi, si registra una lieve ma costante flessione degli istituti cattolici: in quell´anno, i finanziamenti pubblici che il nostro settore riceveva oscillavano intorno ai 565 milioni di euro, da allora sono costantemente calati». Le sole rette non sono sufficienti a restare sul mercato, chi non è sostenuto da robuste convinzioni etiche non può che orientarsi a sfornare diplomi. E da Macrì arriva anche un´altra ammissione: «Solo il ministro Berlinguer fece qualcosa per arginare il numero dei privatisti fissando dei tetti. Ovunque si verificano scorrettezze e anomalie lo Stato dovrebbe intervenire con estremo rigore, lo abbiamo detto a tutti i ministri ma non siamo stati ascoltati. A noi i privatisti creano problemi, li accettiamo solo se ce lo impongono».
LA VIA PIÙ BREVE
«I privatisti ritengono che il diploma da dirigente di comunità sia il più facile da ottenere. Inutile spiegare loro che non dovrebbe essere così». Wilma Marchino, a lungo dirigente in un istituto scolastico torinese, oggi sindacalista Cisl, spiega così il numero record di esterni che affollano l´esame per questa maturità “amichevole”. «Arrivano da scuole non parificate, e intasano i pochi istituti statali – spiega Marchino – Negli anni scorsi si sono verificate situazioni esplosive, da Mantova a Forlì a Roma, puntualmente denunciate al Ministero, che ha introdotto la clausola dell´obbligo di residenza. Il risultato? I candidati si sono suddivisi un po´ in tutta Italia, ma hanno continuato a aumentare, quest´anno solo a Torino ne avremo oltre 300. Oltre il 40 per cento ha una preparazione insufficiente, si tratta perlopiù di dipendenti di amministrazioni locali, di ospedali e della Polizia, che hanno bisogno del titolo per poter accedere ai concorsi. Alcune materie, in particolare quelle scientifiche vengono saltate a piedi pari nella preparazione fornita da molte scuole private, altrettanto spesso i candidati si presentano senza aver fatto neppure un giorno di tirocinio, che invece sarebbe obbligatorio». Nessuna vocazione a lavorare nel welfare, dunque, ma la convinzione che tra le molte scorciatoie sia questa la più facile di tutte.

La Repubblica 25.06.10