Una manovra come quella in discussione dovrebbe prevedere un prelievo sulla ricchezza da usare per ridurre l’indebitamento, così da combinare il rigore contabile con la crescita. La riforma del Patto di Stabilità europeo in discussione rende sempre più rilevante il parametro del debito pubblico. Anche in La principale chiave di lettura della manovra è proprio quella internazionale. Il tempo che il ministro Guido Carli aveva, con lungimiranza, conquistato per il nostro Paese, è scaduto. Il debito pubblico pesa come un macigno sui margini d’azione della politica economica italiana. Le previsioni sono molto chiare: nel 2009 il livello è stato pari al 115,8 per cento del Pil, salirà al 118,4 quest’anno, per raggiungere il 119,6 nel 2012 (stime Ruef).
Il faticoso percorso di riduzione, avviato nel 1994 e proseguito con alterne vicende fino ad oggi appare completamente vanificato. Magra consolazione: rispetto al1994,anchelamedia dell’area euro è cresciuta dal 60 al 78 per cento del 2009. In questo caso il mal comune non è mezzo gaudio, anzi si crea il rischio di un eccesso di offerta sul mercato dei titoli. Se le entrate non riescono a coprire tutte le spese, per la quota residua si ricorre all’indebitamento, cercando finanziatori. Lo Stato, la Regione e l’ente locale chiedono in prestito al mercato (cioè a famiglie, imprese, banche, fondi pensione…) ciò che manca per fronteggiare il fabbisogno, dato dalla quota di pagamenti (inclusi i titoli in scadenza da rimborsare) in eccesso rispetto agli incassi. Solo lo Stato centrale deve piazzare ogni anno ben 500 miliardi di titoli. Si produce debito pubblico per varie ragioni: perché i fini sopravanzano sempre i mezzi (strabismo del decisore); perché indebitarsi per realizzare investimenti è, entro certi limiti, auspicabile poiché questi produrranno maggiori redditi negli anni futuri; perché alcune voci di spesa tendono ad aumentare automaticamente per ragioni strutturali (pensioni, sanità). A queste si aggiungono sprechi ed evasione fiscale, in Italia particolarmente elevati. Si può evitare il rimborso del debito pubblico?
Nel Novecento è successo, come conseguenza delle guerre mondiali. È per questo che i tedeschi sono così attenti alla stabilità finanziaria, avendo visto per ben due volte, nell’arco di 50 anni, azzerare completamente il valore della propria moneta. In tempo di pace quasi nessuno sostiene la possibilità di evitare il rimborso del debito. Per 100 anni nessuno presterebbe più nulla allo Stato insolvente e la vita non sarebbe facile. Il mercato acquista i titoli di debito emessi dalle amministrazioni pubbliche, anche a lunga scadenza, con relativa facilità perché, oltre al premio, è sicuro che queste, immuni dal fallimento, restituiranno il dovuto. La crisi greca ha incrinato questa certezza. Dopo il fallimento di grandi banche davanti al risparmiatore si è affacciato anche lo spettro del fallimento degli Stati sovrani. È solo per cacciarlo che i ministri di tutta Europa sono accorsi al capezzale della Grecia. Oltre a riguadagnare la fiducia degli investitori, ridurre il debito servirebbe a risparmiare risorse da spendere altrove.
Se il nostro debito fosse la metà di quello esistente (come dovrebbe e come vuole l’Europa), avremmo ogni anno una somma dell’ordine di 35 miliardi di euro (10 in più della manovra appena varata) a disposizione per azioni di finanza pubblica. Una manovra finanziaria come questa, indotta dalla pressione internazionale e resa necessaria prevalentemente dall’eccessivo debito pubblico dell’Italia non considerare anche un prelievo sulla ricchezza? È inspiegabile e controproducente, perché la rende squilibrata ed iniqua. Ben diverso potrebbe essere, a parte il merito delle specifiche disposizioni, il giudizio complessivo di sindacati e opposizione se, a fianco dei capitoli di riduzione degli sprechi e del contrasto alla evasione, ci fosse la proposta già avanzata sul Fatto Quotidiano di una leggera imposta patrimoniale (3 per mille sulla ricchezza detenuta dal primo decile della popolazione non destinata ad attività produttive e ulteriore tassazione del 5 per cento sullo scudo fiscale). La manovra sarebbe più robusta, più equa e ci sarebbe spazio per agire sulla crescita, per dare al debito il colpo che ci viene richiesto dall’Europa.
*economista, presidente Centro studi regionale del Lazio
Il Fatto quotidiano 18.06.10
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Il primo emendamento del Pd. Una tassa per i “Berlusconi”, di Bertini Carlo
Due giorni fa, di fronte al quesito sul perché abbia scelto di servire come antipasto a Tremonti una lenzuolata di liberalizzazioni da 10 miliardi, Pierluigi Bersani rispondeva con un ghigno: «Ogni giorno ha la sua pena e sabato alla manifestazione di Roma, parlerò pure dei miliardari….». E in effetti, di ritorno dalla Cina, finito di leggere il decreto anti-crisi, uno dei primi commenti di Bersani fu «ma Berlusconi e quelli come lui non pagano neanche un euro?» E così da due settimane, la squadra di esperti del Pd guidata dal responsabile economico Stefano Fassina, lavora agli emendamenti alla manovra che oggi sarà depositato, sapendo che una delle proposte qualificanti , come si dice in gergo, deve essere proprio rivolta a quelli che il segretario chiama «i miliardari», Compito non semplice se si vuole evitare l’accusa di passare per i soliti tassatori; e quindi dopo una raffica di riunioni, alla fine si è trovata urna soluzione che non è per una patrimoniale di bertinottiana rmemoria.
«Noi siamo tra i paesi europei – spiega Fassina – che tassano meno i reddiiti da capitale, quindi la nostra proposta è uniformare la tassazione di questi proventi al 20%, lasciando fuori i titoli di stato, ma comprendendo i dividendi di azioni, obbligazioni, i capital gain da compravendite e una cedolare del 20% sui redditi immobiliari». E i miliardari alla Berlusconi come verrebbero toccati da questa misura? «Sicuramente hanno anche dei redditi da capitale la cui tassazione aumenterebbe dal 12,5 al 20%». Ma per far sostenere una buona parte dei sacrifici «anche ai ricchi», il Pd ha deciso di proporre pure «un prelievo una tantum aggiuntivo del 5% sui capitali regolarizzati dallo scudo . Facendo in modo che quei 250 mila italiani che hanno evaso le tasse, ai quali oggi è consentito di opporsi all’accertamento fiscale passato e futuro, non siano più al riparo dei controlli previsti dal redditometro».
Fatta salva la fantasia dei singoli deputati, il pacchetto di emendamenti ufficiali del Pd, comprende anche un alleggerimento del carico Irpef per le donne con figli a carico e più risorse per scuole e università. Con quali coperture finanziarie? Riorganizzare la pubblica amministrazione: meno prefetture, niente province nelle aree metropolitane e una fusione Inps-Inpdap; e mettere in gara le frequenze liberate dal digitale terrestre per rastrellare 5-6 miliardi di euro.
La Stampa 18.06.10
*** Tremonti l’iscale
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