Una storia fatta di insegnanti malpagati, ma anche di successi, come la media unificata o la nuova elementare. E poi di promesse di cambiamenti. Molto alla buona si potrebbe dividere la storia della scuola italiana, a partire dall´Unità, in due parti: nella prima, lunga più di cent´anni, i maestri picchiavano gli allievi, li castigavano nei modi più svariati, tenendoli in ginocchio per ore, o si sfogavano con verghe su teste e mani. Certi metodi non sarebbero mancati nemmeno nelle scuole dei gesuiti o in altri istituti religiosi, come le cronache hanno testimoniato in questi giorni. La seconda parte, ormai lunga mezzo secolo, è quella in cui le botte, vere o metaforiche, le hanno prese gli insegnanti: diciamo a partire dal Sessantotto o comunque dalla messa in stato di accusa della scuola tradizionale ad opera non solo del movimento studentesco, ma anche di personaggi come don Milani, che con la sua Lettera ad una professoressa (1967) diventava di fatto un capostipite rivoluzionario.
Questa scorciatoia un po´ paradossale, ma non troppo, mi è venuta in mente leggendo la monumentale Storia e storie della scuola italiana di Nicola D´Amico, (Zanichelli, pagg. 800, euro 59): un lavoro benemerito per la gran quantità di materiale pubblicato e opportunamente commentato, perché poi quando si parla di un´istituzione come quella scolastica si va avanti a forza di leggi, circolari, riforme e progetti di riforme. Dietro le quali, e D´Amico lo racconta bene, ci sono i problemi concreti, la carne dei poveri diavoli, maestri o bambini che siano.
L´Italia unita ha alle spalle le riforme di Maria Teresa d´Austria, già molto avanzate nel ritenere prioritaria una scuola pubblica e nel curare la dignità degli insegnanti e i curricula degli alunni. Ma con l´Unità, l´Italia deve fare i conti con l´analfabetismo ancora trionfante e con gli insegnanti tutti da inventare. Le classi erano anche di cento alunni e i maestri e le maestre avevano talvolta solo quattordici anni… Bisognerà arrivare al 1961 per vedere l´analfabetismo ridotto all´otto per cento.
La storia della scuola italiana è dunque in buona parte una storia di maestri malpagati e di bambini decimati dalle malattie e spesso tolti alla scuola dal lavoro minorile. Non per nulla Cuore coi suoi muratorini è lo specchio di un paese che fatica a diventare moderno. Solo nel 1879 una legge imporrà che i minori non possano superare le undici ore di lavoro al giorno. Dalla legge Casati alla legge Coppino (1876) comunque la scuola elementare si assesta e per i maestri sono previsti persino degli incentivi. Si cerca anche di superare l´insegnamento del catechismo a scuola, vecchia battaglia liberale sempre frustrata, prima per il fatto che i preti erano gli unici ad avere un´istruzione e poi, col fascismo, per via del Concordato. Cesare Lombroso si sorprende nel vedere che in Calabria – siamo in pieno Ottocento – i bambini giocano a fare il prete e non il soldato, ma ammette: era l´unica strada possibile di riscatto sociale.
Il primo ministro dell´istruzione dell´Italia unita è Francesco De Sanctis: un grande critico che ha pratica dell´insegnamento secondario. Vorrebbe scuole private, fedele al principio della libera iniziativa. Ma i tempi non sono maturi e solo l´intervento pubblico può colmare il vuoto enorme di istruzione. Cento anni dopo l´Unità si realizzerà il sogno che già era stato del ministro Broglio: la scuola media unica, varata dal ministro Luigi Gui, farà finalmente studiare tutti fino ai quattordici anni. Sarà un passo avanti di enorme portata, con scuole che nascono ovunque, anche nei paesini di montagna.
Stava però per arrivare il Sessantotto e la scuola entrava in crisi. Pasolini, che aveva insegnato a Ciampino nelle medie, scrisse, nel ´75, che la scuola e la tv andavano abolite. Era già cominciata la tela di Penelope delle riforme fatte e disfatte, come nel caso, tragicomico, degli esami di maturità. Solo la scuola elementare con la fine del maestro unico e onnisciente ha conosciuto negli scorsi anni un´epoca di ricchezza e di apertura, oggi in gran parte rinnegata… L´eroe della scuola resta comunque il maestro: non è un caso che la letteratura, da De Amicis a Mastronardi, soprattutto di maestri e maestre (da non trascurare la Clelia Trotti di Bassani) si sia occupata. Anche la Tv ebbe il suo maestro protagonista con Alberto Manzi che dallo schermo dichiarava all´Italia rurale: «Non è mai troppo tardi».
PS. È ormai un luogo comune celebrare la riforma Gentile del ´23, che era classista e misogina (cioè in linea con i tempi), ma culturalmente solida. La riforma Gelmini parte male, è cronaca di questi giorni. Si autodefinisce “epocale”: ma quanto dura, oggi, un´epoca?
La Repubblicca 18.06.10