La fretta di tagliare tutto e ovunque, di bloccare turn over e concorsi da parte del governo sta producendo l’ennesima beffa per la scuola, la qualità dell’istruzione, il futuro del Paese. Suonano per il prossimo anno scolastico diversi allarmi. L’ultimo è quello legato alla scarsità di presidi. Molti se ne vanno in pensione o vengono trasferiti e non ci sono sostituti, vincitori di concorso da incaricare. Saranno più di mille le scuole che si troveranno al rintocco della campanella senza capo d’istituto. Senza strategia, senza cura anche in questo.
Non c’è pezza che tenga per un problema, tra l’altro, pronosticabile per tempo. Sono due le strade per correre ai ripari che verranno adottate, s’intenda entrambe non a vantaggio di una corretta ed efficiente gestione di una qualsiasi scuola: l’accorpamento di più istituti o la creazione di presidi reggenti. In quest’ultimo caso è come se l’allenatore della Juventus dovesse anche occuparsi di gestire il Cesena. Un aborto alle viste, una tegola certa per decine e decine di migliaia di famiglie che oltre al depauperamento formativo sancito dalla cosiddetta riforma Gelmini delle superiori si troveranno anche con scuole senza guida: il problema riguarda ogni ordine e grado.
Con la definizione degli organici sta scoppiando sottotraccia un altro enorme problema. Molti insegnanti di ruolo stanno scoprendo di non avere più le 18 ore della loro materia nella stessa scuola. Per più di un mese il ministero ha preso tempo, rendendosi conto i funzionari dell’ulteriore danno alla funzionalità scolastica derivante dalla drastica riduzione di ore insegnate decretata unicamente per motivi contabili dal governo. Ma non è finita qui. Avendo innalzato la media di alunni per classe (si può arrivare anche a trenta e oltre, una media inumana per garantire che tutti i ragazzi vengano realmente seguiti) sono scomparse, per il combinato disposto dei due fattori (meno ore, media più alta di alunni) moltissime classi. Ecco, dunque, esplodere il dramma dei soprannumerari, professori di ruolo che, nella migliore delle ipotesi, dovranno insegnare su due o tre scuole per raggiungere il completamento orario e, che, nella peggiore, dovranno riconvertirsi, fare corsi di aggiornamento abilitanti all’insegnamento di altre materie.
E non perché, come nel caso per esempio della stenografia e dattilografia, ci sia stata una evoluzione tecnologica che lo richieda. Al contrario, perché per legge è stata decretata una riduzione dell’offerta culturale contravvenendo, nel caso delle lingue straniere, a precise direttive europee. In definitiva nella scuola da settembre la macelleria sociale sarà un fatto: oltre 25mila precari definitivamente disoccupati, alcuni anche a cinquant’anni, migliaia di professori costretti a vagare, con costi personali elevati (economici e organizzativi) nella speranza di poter insegnare ancora con orario pieno. Cosa tutto ciò abbia a che vedere con l’efficienza, il merito, il rigore, la preparazione dei nostri ragazzi, il futuro del Paese, la ricchezza dell’istruzione pubblica come prevista dalla Costituzione ancora nessuno lo ha spiegato.
L’Unità 18.06.10