Prima comincio a costruire la fabbrica e dopo – soltanto dopo – lo Stato, la Regione o il Comune potrà controllare se la mia attività è in contrasto con qualche disposizione di legge. Questo, a quanto pare, il succo della proposta di modifica dell´articolo 41 della Costituzione che il Consiglio dei ministri ha oggi in programma di approvare e inviare al Parlamento.
Il principio al quale sembra ispirarsi questa proposta è quello del riconoscimento a priori della buona fede di chi assume un´iniziativa economica e lo strumento che viene offerto al riguardo è quello della semplice autocertificazione.
Questa rievocazione del «laissez faire» di settecentesca memoria rappresenta senz´altro un bel colpo di teatro da parte del già colbertiano Giulio Tremonti. Ma si stenta a capire il senso pratico di un simile tentativo di riforma della Costituzione. Le ambizioni scenografiche sono evidenti: un governo in chiara difficoltà su fronti caldi come la manovra e le intercettazioni cerca di distrarre l´attenzione dell´opinione pubblica con misure palesemente illusionistiche. È un metodo di governo consolidato da anni, per Berlusconi. Ma al di là di questo aspetto formale, c´è anche un problema di sostanza, da tutti riconosciuto: in Italia avviare un´iniziativa economica è impresa defatigante per la quantità di ostacoli burocratici che una pletorica legislazione ordinaria ha sedimentato nel tempo sia a livello statale sia a livello degli enti locali. Che cosa c´entri la Costituzione con tutto questo resta perciò un mistero.
L´idea che per disboscare un apparato talora vessatorio di regole e di leggi fuori del tempo si debba partire da una modifica della Carta costituzionale alimenta con forza un dubbio di strumentalità politica contingente da parte dell´attuale maggioranza di governo.
Leggi e regolamenti obsoleti possono essere abrogati o modificati con procedure assai più semplici e rapide di quelle previste per ogni intervento sulla Costituzione. Perché i predicatori della libertà d´impresa hanno scelto di scartare la strada più logica ed elementare?
La risposta può essere una sola: con questa iniziativa non si mira tanto o soltanto a rendere più facile e spedita l´attività d´impresa, ma si punta ad aprire una breccia nel muro politico che da più parti è stato alzato a difesa della Costituzione attuale dagli attacchi sempre più agitati e scomposti che il premier Berlusconi non si stanca di portare contro la Carta. A ben vedere, c´è un filo ideologico comune che lega insieme la proposta di sciogliere da lacci e laccioli l´iniziativa economica privata e la continua e insistente richiesta di mani libere da qualunque autorità di controllo che il presidente del Consiglio avanza ormai ogni giorno demonizzando la magistratura, la Corte costituzionale e perfino il Quirinale.
Forse non è proprio un caso che la proposta di modifica dell´articolo 41 si apra con le seguenti parole: «La Repubblica promuove il valore della responsabilità personale in materia di attività economica». Questi sono termini che evocano una concezione aziendalista della gestione dei pubblici poteri e che sembrano riflettere con piena coerenza quella visione della funzione statale che il presidente del Consiglio ha più volte sintetizzato in un inquietante «ghe pensi mi».
Naturalmente, il governo ha a sua disposizione il modo e il tempo necessario per spazzare via ogni dubbio sugli effettivi scopi della sua iniziativa. Poiché il percorso delle riforme costituzionali non è breve – doppio voto di Camera e Senato a distanza di almeno tre mesi l´uno dall´altro e necessità di una maggioranza qualificata per evitare il rinvio a un eventuale referendum – resta aperto un ampio spazio per lavorare al richiamato disboscamento di tutte le norme, statali e locali, che queste sì ingombrano il cammino delle iniziative economiche.
Sarebbe questo anche il modo più serio per dare attuazione a quel tacitiano principio – «l´iniziativa economica privata è libera» – che sta già scritto nella Costituzione e non sente il bisogno di alcuna aggiunta o specificazione ulteriori. Con le quali, oltre tutto, si rischia di ottenere l´opposto di quel che si dice di volere: non maggiore libertà ma più contenziosi. Ex-post s´intende, ma pur sempre ingombrante e paralizzante contenzioso con tanto lavoro in più per i tribunali amministrativi e per la Corte costituzionale.
La Repubblica 18.06.10