Io continuerò a scrivere, dice Roberto Saviano al pubblico che affolla piazza del Duomo, perché è il vero modo di amare il proprio Paese. E, alla fine di un lungo dialogo con Mario Vargas Llosa, risponde ai suoi critici più recenti, dal calciatore Marco Borriello al senatore GaEteano Quagliariello, senza dimenticarE le accuse che gli sono venute da sinistra. «Mi ha molto spaventato essere confuso con quello che racconto; perché questo significa confondere me con quel che scrivo», ed è un modo per nascondere, ignorare, occultare la realtà di Gomorra, dell’illegalità. «Ma la legalità non è né di destra né di sinistra, non è ideologica. Ci sono persone per bene che votano a sinistra, e persone per bene che votano a destra. E naturalmente esiste anche il contrario. Io voglio parlare a tutti, non agli elettori Di questo o di quello; non si tratta di dividere il Paese, ma di parlare a tutte le persone per bene».
La lunga serata di Saviano in dialogo con il grande autore peruviano sui temi della letteratura e dell’impegno si conclude, dopo un sorta di excursus sui classici e il valore di testimonianza della grande letteratura, con una serie di risposte anche molto nette su temi che la polemica politica e culturale ha agitato con particolare virulenza. A Saviano interessano meno i «centravanti del calcio che all’improvviso si scoprono… qualcos’altro», o quelli che gli rimproverano di andare «contro l’interesse nazionale», gli preme ribadire che chi dà l’allarme per l’incendio non può essere scambiato con l’incendiario, e che, al fondo, queste accuse gli vengono gettate in faccia in nome dell’omertà, cioè «del non voler sapere, del non voler conoscere».
Certo, sottolinea con amarezza e sarcasmo, quando su giornali si leggono accuse simile a quella «dei camorristi», allora è dura. «Però, se fossi libero di muovermi come voglio, farei come i Testimoni di Geova: andrei porta dopo porta a parlare con tutti, a bussare da tutti». È un fiume in piena, mentre il pubblico, cinquemila persone, sottolinea le sue frasi con lunghi applausi. «Tutti i caduti dell’antimafia sono stati a un certo punto accusati di diffamare il proprio Paese». Ma, aggiunge, non si può far altro, o almeno lui non può far altro che continuare a raccontare. «Raccontare va oltre il mondo. Persino oltre quello che ti può accadere. Al di là di queste accuse, e dei silenzi che vogliono imporci, continuerò a scrivere pensando che sia il solo modo di agire possibile». Prima, sempre discutendo con Vargas Llosa, cui aveva dedicato un sorridente ricordo (quando seppe che lo aveva recensito sul quotidiano spagnolo El País fu, dice, come se uno dei suoi autori più amati fosse uscito dalla libreria e si fosse messo a parlare di lui), aveva evocato nomi molto importanti per la sua formazione, come Varlam Shalamov, il narratore del Gulag siberiano, o Reinaldo Arenas, incarcerato a Cuba perché omosessuale, o molto vicini alla sua esperienza, uno per tutto Anna Politkovskaja , la giornalista e scrittrice russa uccisa per i suoi reportage e i suoi libri sulla Cecenia.
Se l’autore peruviano aveva insistito sul fatto che la letteratura, la grande letteratura, è sempre stata invisa ai poteri autoritari, siano essi religiosi, economici o ideologici, Saviano si è chiesto: ma che paura poteva fare Shalamov al potere sovietico, o la Politkovskaja a quello russo? La risposta, già data altre volte e qui ribadita, è che le loro storie erano diventate storie di tutti, e non si potevano più fermare. La serata di ieri, però, meritava un corollario: questi «giusti» (nel senso dato alla parola dagli ebrei) più che «eroi» (eroe è un termine che piace a Saviano, implica qualcosa di eccezionale, isolato, in fondo lontano) avevano in mente, come obiettivo, come modello, come scopo la democrazia nel senso in cui la intendiamo noi, e di cui erano privi. «Se pensi a loro, capisci quanto sia sacra la libertà d’espressione, e che dobbiamo difenderla a tutti i costi».
Il pubblico capisce a sua volta il contesto in cui inserire la frase, applaude a lungo. E Saviano chiude imperioso sul senso ultimo delle sue risposte, sulla conclusione ovvia della sua idea di impegno civile, che vale oggi, qui, nel nostro mondo: «Non è pensabile che la democrazia si lasci lentamente compromettere».
La Stampa 13.06.10