“Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico. Non si può tollerare il ricatto di un primo ministro che minaccia quando vede programmi che non lo elogiano. In RAI bisogna azzerare il CDA, serve un amministratore”. Lo scrive Pier Luigi Bersani in una lettera al Corriere della Sera
Caro direttore,
non ci stiamo. Non si può più assistere al degrado della Rai. Non si può avallare una gestione irresponsabile che squalifica il servizio pubblico. Non si può tollerare il ricatto di un primo ministro che minaccia quando vede programmi che non lo elogiano. E dimentica che questa Rai, questo direttore generale, la maggioranza del consiglio di amministrazione dell’azienda, sono quelli che lui ha voluto e imposto. È arrivato davvero il momento di cambiare. Questa gestione governativa della Rai porta al crollo di quella che è stata una grande azienda. La spinge verso posizioni marginali del mercato, succube di Mediaset e Sky su due settori strategici, quello della raccolta pubblicitaria, e quello della concorrenza sulle nuove piattaforme.
Il tutto mentre il governo si appresta a regalare nuove frequenze senza che lo stato ne tragga alcun beneficio, mentre nel resto d’Europa si svolgono aste miliardarie. Per correggere questa distorsione presenteremo opportuni emendamenti alla manovra. Non è accettabile che Berlusconi, principale azionista di Mediaset, primo concorrente della Rai, resti sulla poltrona di ministro dello Sviluppo economico, insensibile al conflitto di interessi che grava su di lui. E che da quella poltrona minacci di non firmare il contratto di servizio, tagliando i fondi alla Rai perché non ottiene quello che vuole: l’allontanamento di questo o quel giornalista, di questo o quel dirigente. O si cambia la governance della Rai o l’azienda andrà verso il baratro della decadenza. Ci sono due emergenze plateali: una democratica, una economico-industriale, con un bilancio in forte perdita, una prospettiva di piano industriale fatto di tagli, di sacrifici, senza alcun ripensamento complessivo della missione aziendale del servizio pubblico. Parte non piccola delle responsabilità è di questo consiglio e di questo management, che non ha saputo affrontare la sfida né mostrare la necessaria autonomia dalla politica.
Lo spettacolo di quello che dovrebbe essere un organo di gestione trasformato in una sorta di parlamentino riunito per gestire e assecondare le aggressive ossessioni della maggioranza è davvero sconcertante. In attesa di una riforma più articolata e importante del servizio pubblico nell’era della svolta digitale, della rivoluzione del sistema radiotelevisivo con la presenza di molte piattaforme tecnologiche, e soprattutto in vista dell’arrivo della banda larga (che fine hanno fatto gli investimenti promessi dal governo? Dove sono finite le risorse che erano state accantonate dal centrosinistra?) facciamo una proposta seria, semplice e chiara: un amministratore delegato con poteri pieni, sia pure indicato dall’azionista Tesoro, scelto dai due terzi di un nuovo consiglio di amministrazione; un consiglio di amministrazione espresso anche da Regioni e Comuni oltre che dalla Vigilanza. Vogliamo una Rai che non dipenda più dalle segreterie dei partiti, vogliamo un’azienda che sia gestita il più possibile con le regole del codice civile.
La nostra proposta non costa un euro. Se ci fosse in parlamento una maggioranza che sentisse, come noi sentiamo, la responsabilità di ridare credibilità al servizio pubblico, questa piccola grande legge potrebbe passare in pochissimo tempo. E se ci fosse un azionista che davvero ha a cuore il destino della Rai, non sarebbe certo impossibile intervenire rapidamente. E il nuovo amministratore delegato scelto per le sue competenze ed esperienze manageriali avrebbe — secondo la nostra proposta—180 giorni per presentare un piano di riorganizzazione da sottoporre al parlamento. Nel tempo che viviamo, in cui la comunicazione spesso detta l’agenda alla politica, è irrinunciabile per una democrazia poter contare su un servizio pubblico gestito in maniera autonoma e indipendente, precondizione per offrire un terreno di gioco neutro a tutte le forze in campo. La nostra è una proposta di buon senso. Non si può non vedere il crescente disagio e distacco che matura nell’opinione pubblica verso un’azienda che in passato è stata una fucina di idee, e un importante fattore di coesione nazionale. E che nel futuro potrebbe essere una vera palestra di autonomia, di creatività e libertà espressiva, di innovazione. Al di fuori di questi obiettivi non ci può essere infatti un senso riconoscibile per un servizio pubblico.
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