Con la legge sulle intercettazioni sta passando in Italia una aggressione senza precedenti a due pilastri dello stato di diritto: l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la libertà di informazione e di opinione. La legge varata dal Senato tura le orecchie della giustizia.
E tura gli occhi dei cittadini davanti alle prove della criminalità più influente e pericolosa, quella del potere politico. Si scioglie il vincolo che lega il diritto e lo Stato: come ha scritto lo storico Wolfgang Reinhard nella sua Storia dello Stato moderno (Il Mulino, 2010), in origine il diritto e lo Stato non avevano lo stretto legame che oggi li unisce: per il diritto contava la giustizia, per lo stato contava il potere. Il legame si scioglie quando l´uso brutale o astuto del potere fa del diritto uno strumento unilaterale di dominio e ne cancella la componente “dal basso”, cioè le convinzioni morali e le consuetudini diffuse nella società.
Oggi l´Italia mostra al mondo come si fa a dissolvere lo Stato di diritto senza ricorrere alla violenza, senza bisogno di quel “rumore di sciabole” che abbiamo tante volte creduto di sentire nel cinquantennio passato. L´argomento del potere è il mandato popolare a governare, ricevuto in sede elettorale e confermato dai sondaggi. La domanda da porsi è dunque una sola: poiché viviamo in un sistema formalmente democratico e non ci sono carri armati per le strade, che cosa impedisce una reazione da parte dell´opinione pubblica? È evidente infatti che senza un movimento forte e diffuso gli argini opposti dalla Carta costituzionale sono fragile difesa. Non per niente la mossa successiva già annunciata dal presidente del Consiglio è la modifica della Costituzione. Il che mostra quanto sia semplice e prevedibile il canovaccio a cui obbedisce lo scenario che stiamo vivendo.
La sovranità popolare affermata dalla Costituzione è una finzione giuridica: il popolo sovrano resta anche in Italia un principe senza scettro, come scrisse a suo tempo Lelio Basso. Basta una situazione di emergenza perché il potere politico faccia straccio della Costituzione, abolendola formalmente oppure logorandola e diffamandola ogni giorno (come oggi accade) tanto da farla morire nelle coscienze prima di sovvertirla formalmente. La situazione di emergenza in Italia c´è. La crisi finanziaria ha prodotto disoccupazione, tagli unilaterali dei servizi sociali, pressione sulle fasce più deboli (giovani, donne, lavoratori dipendenti). L´unità stessa del paese è sempre più una finzione, insidiata com´è dal progettato federalismo fiscale e prima ancora da un´ondata di egoismo locale che ha visto trionfare sotto etichette diverse il modello della Lega. Il consenso generale che premiò l´adesione dell´Italia all´euro esprimeva una speranza oggi languente: che al di là delle deficienze di legalità e di moralità del Paese si potesse investire nella costruzione di una grande realtà politica dotata di quella salda coscienza di sé e di quella più alta tradizione statale e giuridica che faceva difetto all´Italia.
Oggi l´ideale europeistico è offuscato. Da noi il vincolo di identificazione del cittadino col Paese, tradizionalmente debole, è intaccato da un´assidua picconatura del principio stesso di legalità: condoni, sanatorie, “scudi” per evasori, libertinismo e corruzione come metodo e sostanza del governare. Questo ci dà la risposta alla domanda iniziale: la coscienza civile del paese è oggi ridotta allo stremo, esposta – come in un celebre racconto di Mark Twain – a subìre il colpo di grazia. Dopo di che gli autori del delitto potranno governare nella definitiva sicurezza dell´impunità. Ci sono speranze che questo non accada? Le leggi fondamentali di un Paese vivono finché è desto e vigile lo spirito che le ha create. In Germania, paese che ha fatto tragica esperienza di quanto fragile fosse l´argine della Costituzione di Weimar, la Legge fondamentale del secondo dopoguerra ha previsto il diritto dei cittadini alla resistenza in difesa della costituzione (art.20, c. IV). Ma non ci facciamo illusioni: anche in questo caso si tratta di un muro di carta. La resistenza ha da essere un movimento di massa consapevole e ben guidato. E potrebbe guidarla oggi solo una opposizione che, cancellando le divisioni e i conflitti di gruppi dirigenti, si mostrasse finalmente capace di parlare al cuore del paese, risvegliando una coscienza civile che, per essere stata anestetizzata, corrotta, e addormentata, non è ancor morta.
La Repubblica 14.06.10