È il colpo di coda del Caimano. In una mattinata di “ordinaria eversione”, Silvio Berlusconi è tornato in guerra con il mondo. Nell’ufficio di presidenza del Pdl, trasformato per l’occorrenza nella “quarta camera parlamentare” (la terza essendo com’è noto il salotto televisivo di Bruno Vespa) il presidente del Consiglio ha dato fondo al suo peggior repertorio, sparando ad alzo zero contro tutto e contro tutti: istituzioni e mass-media, avversari dell’opposizione e alleati della maggioranza. Sulla legge-bavaglio per le intercettazioni ha lanciato il suo anatema: il testo che va all’esame del Senato, “ostacolato da toghe e giornalisti”, è il punto di caduta finale per il centrodestra. Le modifiche apportate sono “definitive” (oltre che ancora una volta peggiorative), e alla Camera non saranno tollerati dissensi: dovrà approvarle così come sono. Strana visione non solo dei rapporti interni al suo partito (dove Fini pretende pari dignità e rispetto) ma anche del funzionamento del bicameralismo (dove il governo non può ipotecare ciò che farà ciascuno dei due rami del Parlamento sovrano).
Sul servizio pubblico radiotelevisivo ha lanciato la sua “fatwa azzurra”: a una Rai “così faziosa contro la maggioranza” non andrebbe rinnovato il contratto di servizio. Detto da un presidente del Consiglio non è male. Poi ci si stupisce, con falsa indignazione, se tanti italiani evadono il canone. Sugli scandali della Protezione Civile ha lanciato un consiglio: i tecnici non vadano più all’Aquila, dopo la “criminalizzazione” cui sono stati esposti dalle inchieste giudiziarie rischiano che “qualche mente fragile gli spari in testa”. Anche questa, in bocca a un capo di governo, non è male. Poi si contesta, con pelosa ipocrisia, chi usa le parole come pallottole. L’ultimo affondo del Cavaliere, in pieno delirio di autocratico-populista, riguarda come sempre le fondamenta della democrazia secondo la dottrina berlusconiana: in Italia (è il suo mantra) la sovranità non è del governo, non è del popolo, ma è “in mano a Magistratura democratica e alla Consulta”. Che dire? Non c’è più limite, né politico né psicologico, alla natura tecnicamente totalitaria e costituzionalmente rivoluzionaria di questo “potere”. Questo premier incarna ormai l’anti-Stato, non più lo Stato.
La Repubblica 08.06.10