Quando ha pronunciato le parole «macelleria sociale» si è capito che anche Mario Draghi sa unire la passione alla freddezza dell´analisi, come era avvenuto con Carli, Baffi e Ciampi. L´espressione di origine sindacale, per la quale si adontò Lamberto Dini quando da ministro del Tesoro varò la prima riforma pensionistica, a saper leggere, non è neanche la più forte nel congelatore del lessico draghiano. Ieri per ventidue volte, salvo errore, il governatore ha scandito la parola «crisi» e, come in un crescendo linguistico inedito nei consessi internazionali che abitualmente calca, «collasso», «esplosivo», «catastrofe», «insopportabile», «azzardo morale», «stress», «brutale», «relazioni corruttive», «criminalità».
Crisi e azzardo morale, forse la coniugazione di un richiamo non dichiarato, nel deserto di citazioni, al faro governatoriale di Luigi Einaudi che della crisi degli anni Trenta sottolineava per l´appunto l´aspetto morale: «Come si può pretendere che la crisi sia un incanto e che col manovrare qualche commutatore cartaceo l´incanto svanisca, quando tuttodì si è testimoni della verità del contrario?». Per cui il rituale di Palazzo Koch quest´anno più che nelle Considerazioni finali è rituale nei commenti, che piegano le parole alle esigenze di chi le legge. «Riconosciuta la bontà dell´azione di governo», chiosa il premier stretto nella morsa di una manovra che terremota come mai la sua maggioranza, con il Fedele Confalonieri che vi legge addirittura una benefica pioggia di «fiducia» nell´esecutivo e il ministro Sacconi dà tutti per «promossi», mentre Emma Marcegaglia dichiara di essere con Draghi sulla stessa linea, quella che non più di quattro giorni fa fece infuriare il Cavaliere all´Auditorium della Musica con una serie infinita di «non basta» confindustriali e con il plateale rifiuto della presidente e dell´assemblea di una poltrona ministeriale.
Sì, la manovra di Tremonti, causa di uno psicodramma politico manicomiale tuttora in corso, era inevitabile, bisognava agire. Ma fin qui la «limitazione del danno» della crisi, stimabile in due punti di Pil, è dovuta per metà alla politica monetaria, per un quarto agli stabilizzatori automatici inclusi nel bilancio pubblico e soltanto per mezzo punto alle decisioni del governo. Due punti di Pil equivalgono più o meno ai 30 miliardi di Iva evasa ogni anno, che fa degli evasori fiscali gli autori della «macelleria sociale», «espressione rozza, ma efficace», si giustifica il governatore. Se quei miliardi fossero pagati avremmo il rapporto debito-Pil tra i più bassi d´Europa, ma i nostri «macellai» – si può ragionevolmente ricavare dalle parole del governatore – li ricompensiamo con uno scudo fiscale di generosità che non ha l´eguale al mondo.
I costi dell´evasione fiscale, insieme a quelli della corruzione, sono «insopportabili» e rendono difficile il rilancio della crescita, il mantra che pervade le parole del governatore, insieme a quello delle riforme strutturali, di cui non si vede traccia, mentre le restrizioni di bilancio «incidono sulle prospettive a breve di ripresa dell´economia italiana». E´ il tempo di un´«ardua sfida collettiva» sul piano delle riforme strutturali, come quella affrontata quando l´Italia appena unita entrò nel consesso europeo con il 75 per cento di analfabeti, avverte Draghi con un evidente riferimento alla Lega di Bossi, che contesta le celebrazioni unitarie, cui chiede di non affossare la solidarietà nazionale.
Ma è ancora a braccio, con un po´ di passione che rende meno «criptico» il testo istituzionale, che il governatore stoppa la Lega sulla strategia di conquista delle Fondazioni bancarie attraverso gli enti locali che ne sono azionisti, annunciata da Bossi, dai suoi nuovi governatori e – presumibilmente – avallata dal ministro dell´Economia. Con il quale sono note le incomprensioni di Bankitalia già emerse – oltre che su molto altro – sull´istituzione della Banca del Mezzogiorno. Sarebbe come un ritorno agli anni Settanta e Ottanta, quando gli amministratori delle banche venivano nominati nelle segreterie della Dc e del Psi da funzionari dei rispettivi partiti. «Non credo sia nell´interesse di nessuno, nemmeno delle Fondazioni – dice il governatore a braccio per sciogliere la sua stessa cripticità – tornare a quando la maggioranza di turno nominava gli amministratori e indicava anche i clienti di riguardo». Altro che «promozione», come la chiama Sacconi, di un paese «pig», che contribuisce a impiombare la candidatura di Draghi al vertice della Bce. Cultore di Einaudi, il governatore, pur con tutto l´ottimismo possibile della ragione, avrebbe potuto, nel solco citatorio dei suoi predecessori, ripetere una frase einaudiana che conosce benissimo: «Gran fracasso di rovine attorno a chi fece in grande furia di debiti».
La Repubblica 01.06.10