Domani la manovra arriverà finalmente in Parlamento. Domani il governatore Mario Draghi leggerà la sua relazione annuale alla Banca d´Italia. Domani, alla riapertura delle Borse, si vedrà se i mercati si saranno stabilizzati o lanceranno nuovi attacchi contro i fondi sovrani e contro l´euro.
Nel frattempo la manovra ha perso per strada alcuni pezzi. La soppressione delle Province è stata per ora abbandonata. I tagli e i congelamenti stipendiali di alcune categorie, tra le quali i magistrati, sono stati attenuati.
L´opposizione parlamentare, mai consultata durante l´iter del decreto, si è incattivita. La Cgil, anch´essa platealmente ignorata, ha preannunciato lo sciopero generale per il 25 giugno. Ma l´impianto e i saldi del decreto sono quelli approvati dal Consiglio dei ministri: 24 miliardi nel biennio 2011-2012 per riportare il deficit entro la soglia del 3 per cento fissata dalla Commissione europea e dal Consiglio dei ministri dell´Unione.
Si può dunque dare un giudizio sull´insieme di questi fatti, anche se non saranno pochi gli emendamenti che il decreto subirà nel corso del dibattito parlamentare. Ma affinché il giudizio sia adeguatamente documentato occorre articolarlo sui tre obiettivi che la manovra si propone: risanamento del bilancio, equità, crescita.
La Confindustria questo giudizio l´ha già dato: positivo per quanto riguarda il risanamento del bilancio, negativo per quanto riguarda la crescita. Analogo giudizio hanno dato la Cisl e la Uil.
La Cgil è stata negativa sia sulla crescita sia sull´equità. L´Europa ha plaudito sull´abbattimento della spesa pubblica ma ha raccomandato di far di più per la crescita; identica l´opinione del Fondo monetario e dell´Ocse. La Banca centrale europea teme una crescita troppo lenta. Timori analoghi ha manifestato Draghi parlando qualche giorno fa. Ascolteremo domani la sua relazione.
Intanto la speculazione attende con le armi al piede, incoraggiata dagli articoli dell´ «Economist» e del «Financial Times». Vedremo domani se sui mercati splenderà il sole o diluvierà.
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I 24 miliardi di aggiustamento erano e sono necessari. Semmai ci si può chiedere perché tanta urgenza. Potevano esser tagliati alla fine di giugno o addirittura in settembre e il governo avrebbe avuto più tempo per studiar meglio i provvedimenti e consultare l´opposizione e tutte le parti sociali.
Se la fretta ha avuto come motivazione la difesa dei titoli emessi dal Tesoro, a nostra opinione quella motivazione è sbagliata: la manovra di riduzione della spesa non incide sulle aste dei Bot e dei Btp, come non hanno inciso sull´andamento dei titoli spagnoli gli aggiustamenti di spesa approvati dal governo di Madrid.
Comunque, forse troppo in fretta, quell´aggiustamento Tremonti doveva farlo e l´ha fatto. Le vere ragioni della fretta derivano probabilmente dalla contrapposizione politica tra lui e Berlusconi che infatti – nonostante le smentite di rito – è arrivata ormai al calor bianco e non fa presagire nulla di buono. Ma questo è un altro discorso, che si sta svolgendo tutto in stretto gergo politichese e perciò di ardua traduzione.
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Metà della manovra pesa sui dipendenti dello Stato, l´altra metà sulle Regioni e sui Comuni. Dal punto di vista geografico il peso maggiore si scaricherà sul Mezzogiorno perché la cosiddetta fiscalità di vantaggio in favore degli investimenti nel Sud è aria fritta come è aria fritta l´intero capitolo dedicato all´aumento della produttività: quando la domanda langue, l´investimento non è stimolato in misura apprezzabile e l´edilizia privata e pubblica sono ferme, la produttività resta un´aspirazione consegnata ad un improbabile e comunque lontano futuro.
Nel frattempo ci sono 2 milioni di giovani tra i 20 e i 30 anni di età che sono scomparsi dalla scena, hanno interrotto gli studi, non hanno alcuna formazione professionale, non si sono neppure iscritti negli elenchi dei disoccupati. Due milioni di fantasmi, in buona parte concentrati nel Sud e in Veneto, ai quali nessuno pensa salvo i genitori che debbono mantenerli. Una situazione assurda e inaudita, un bacino potenziale per le organizzazioni criminali come unica contropartita all´inedia.
La logica dei tagli e dei congelamenti previsti per i dipendenti pubblici è formalmente corretta: hanno avuto negli anni scorsi incrementi retributivi decisamente maggiori di quelli dei dipendenti privati e quindi possono «star fermi per un giro» per riallinearsi con i loro colleghi del privato.
Questa «fermata» si effettua tuttavia su livelli stipendiali molto bassi, pari mediamente a 1.200-1.300 euro netti mensili. Il taglio complessivo supera mediamente il 20 per cento se vi si comprendono liquidazioni e altri compensi; cioè riduce la media in prossimità dei 1.000 euro. E´ vero che di altrettanto si riduce la spesa pubblica la quale, ricordiamolo, è cresciuta dal 2007 al ritmo di 2 punti di Pil all´anno. Ma l´incremento stipendiale degli statali rappresenta solo una parte dell´aumento di spesa e neppure la parte maggiore. Forse si sarebbe dovuto operare con più incisività sul resto.
Infine un´altra motivazione, in questo caso politica: gli «statali» votano in maggioranza a sinistra. Il loro scontento non peserà se non marginalmente sul consenso raccolto dal governo. «Abbasso gli statali» è uno slogan che viaggia in tandem con quello di «Roma ladrona»: piace alla Lega e questa è una ragione in più per spiegare le scelte che il governo ha compiuto.
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L´altra metà dell´aggiustamento grava su Regioni (8 miliardi), Comuni (3 miliardi), Province (0,6 miliardi). Lo Stato riduce per 11,6 miliardi i suoi trasferimenti. Gli Enti locali vedano loro dove tagliare, grasso ce n´è. Oppure aumentino le imposte di loro competenza. O infine taglino i servizi.
Credo che grasso da tagliare effettivamente ci sia e sarà un bene se verrà eliminato. Non vorrei che crescessero i debiti con le banche. Ma potranno anche affittare o vendere i beni demaniali in corso di trasferimento. Nel complesso questa parte della manovra non sembra pessima. Colpirà più i Comuni (che hanno però meno grasso) che le Regioni.
La Lega, una volta tanto, è divisa. Alcuni pensano che il centralismo di Tremonti faccia a pugni col federalismo; altri vedono nella manovra un colpo di frusta che affretterà il federalismo fiscale. La verità non sappiamo quale sia perché il federalismo è tuttora un oggetto misterioso. Una cosa peraltro è evidente: il federalismo avrà comunque un costo e un governo senza soldi non sarà in grado di affrontarlo fino a quando il fabbisogno non si sarà stabilizzato e il deficit non sarà rientrato nelle norme europee. Perciò se ne parlerà nel 2012 se tutto va bene. Aggiungo un´osservazione a proposito di federalismo: il passaggio all´autonomia fiscale e istituzionale, se sarà effettivo e non simulato, sarà un fatto rivoluzionario e accentuerà la disparità tra Regioni efficienti e Regioni – cicala, gran parte delle quali si trovano nel Sud.
Sull´inefficienza sudista sono state ormai scritte intere biblioteche e i numeri del resto stanno a dimostrare che non si tratta di opinioni ma di fatti. Pochi ricordano tuttavia che il livello di reddito disponibile per i meridionali è meno della metà del reddito del Nord. Dunque: gestione amministrativa inefficiente, livello delle risorse bassissimo.
Come sarà finanziato nel Sud il passaggio dall´inefficienza all´efficienza? Ci sarà una diminuzione di occupati, un taglio di consulenti, un taglio di pensioni di invalidità, insomma una compressione del potere d´acquisto dei meridionali. Questo è certo. E´ anche inevitabile e necessario. Perfino utile. Ma quella è gente che si è arrangiata per sopravvivere. Chi li deve aiutare per non crepare di stenti? O debbono arruolarsi nella camorra e nella ´ndrangheta? Le donne nella prostituzione e i maschi nella malavita?
Ci vorrà dunque un trasferimento dal Nord al Sud in quella fase; sarà cospicuo e durerà per molti anni. Impegnerà le finanze pubbliche che dovranno «metter le mani nelle tasche». Di chi? Di quali contribuenti? Ci avete pensato?
Aggiungo un´altra osservazione: il nostro Sud è qualcosa di simile alla Grecia rispetto all´Europa. La speculazione lo sa. Perciò concentrerà il tiro sull´Italia in corrispondenza all´attuazione del federalismo.
Finirà nel solo modo possibile: un federalismo al Nord e un´accentuazione di centralismo statale al Sud. Italia a due velocità. Sono prospettive raccapriccianti.
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Tutto ciò detto, credo che Tremonti abbia fatto quello doveva. Molti errori, molte lacune nel risanamento del bilancio, ma l´aggiustamento ci sarà. Non al cento per cento ma almeno al 51.
Questo risanamento vuol dire che i conti non erano sani. Ci si poteva pensare prima. Molti l´avevano previsto da un pezzo. Furono insultati e chiamati anti-italiani. Tutto ciò è arcinoto e Tremonti e Berlusconi lo sanno benissimo: il fatto che continuino a insultare la sinistra nel momento stesso in cui si dimostra che la sinistra non faceva che certificare la realtà, è semplicemente vergognoso.
Ora però è il momento di dare un giudizio sulla parte della manovra riguardante la crescita economica. Ebbene non c´è assolutamente niente da dire in proposito per la semplice ragione che provvedimenti per la crescita nel decreto non ci sono. Non ce n´è neanche l´ombra. Lo stesso ministro dell´Economia, nella conferenza stampa con cui ha presentato il decreto, ha detto che la ripresa sarà molto lenta.
Bisognerebbe stimolarla, ma ci vogliono soldi che non ci sono. Ne hanno dilapidati un bel po´ nei due anni di governo ma ora la cassa è vuota, l´avanzo netto delle spese correnti è sotto zero, lo stock del debito è risalito al 117 del Pil.
Stimolare la ripresa, incrementare l´aumento del Pil, si ottiene con uno sgravio fiscale sul ceto medio, sul lavoro dipendente, sul cuneo fiscale. Per finanziarlo bisogna colpire l´evasione e i patrimoni. Non con un prelievo «una tantum» ma con un´imposta sulle cose per tassare di meno i redditi e accrescere così la domanda.
Lotta all´evasione e spostamento dell´onere tributario dalle persone alle cose per portare l´incremento del Pil dall´1 per cento almeno al 2.
Questo bisognerebbe fare. Tremonti non l´ha neppure pensato, perciò su questa questione merita uno zero. E´ sperabile che il Parlamento lo obblighi a pensarci seguendo così le indicazioni dell´Ocse, del Fmi, della Commissione europea, della Bce, della Confindustria, della Cgil, dell´opposizione parlamentare. Del Capo dello Stato. E anche dell´odiato Mario Draghi.
La Repubblica 30.05.10