E’ vero. L’Europa ha deciso una concertata azione di tutti gli Stati contro l’espansione del debito pubblico per difendere non solo l’euro, ma la credibilità del progetto di unione politica ed economica del nostro continente. Ma il governo ha colto questa opportunità per varare un primo test sugli effetti, in Italia, dell’applicazione del federalismo.
Con una categoria esplicitamente e anche duramente messa nel mirino: i dipendenti pubblici. E con una istituzione messa alla prova: le Regioni.
La conferenza stampa della coppia Berlusconi-Tremonti aveva il dichiarato e obbligato scopo di smentire l’esistenza di contrasti tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia. Il tono di ostentata deferenza con il quale Tremonti si rivolgeva al premier, però, non è riuscito a mascherare la realtà. L’impronta della manovra corrisponde perfettamente alle visioni di politica economica e sociale caratteristiche dell’asse forte sul quale, oggi, si regge il quarto governo Berlusconi, quello formato dal ministro dell’Economia e dalla Lega.
Le dimensioni quantitative dei «tagli», o meglio, come pudicamente li ha battezzati Tremonti, dei «risparmi di spesa», non sono clamorose. Sia rispetto a quello che hanno fatto i governi dell’Europa, sia rispetto ai sacrifici che, in un passato abbastanza recente, prima Amato e poi Prodi hanno chiesto agli italiani per salvare lo Stato dal dissesto e per entrare subito nella moneta unica. A questo proposito, è significativo come, anche da parte di ambienti favorevoli alla maggioranza, siano state espresse preoccupazioni sulla sufficienza di questi provvedimenti per convincere i mercati e la speculazione finanziaria. Timori che lo stesso ministro dell’Economia ha cercato di fugare esibendo, con molta enfasi, i pareri favorevoli espressi ieri dalla Commissione europea, dal Fondo monetario e da alcune agenzie di rating.
Quello che caratterizza questa manovra è, invece, il preciso indirizzo sociale e politico, concentrato su una riduzione di spesa della pubblica amministrazione. La «filosofia» dalla quale nascono i provvedimenti parte da due scommesse. La prima presuppone che il costo dell’intervento sia accettabile per una categoria per la quale, finora, la crisi economica non ha avuto sensibili conseguenze. Perché garantita da un posto sicuro e da un salario che ha perlomeno conservato lo stesso potere d’acquisto, visto il basso livello dell’inflazione. La seconda scommessa vuole verificare le conseguenze di un trasferimento di responsabilità alle Regioni, che saranno costrette, se non riusciranno a tagliare i cosiddetti «sprechi», o a ridurre i servizi o ad aumentare le tasse.
Queste prove di federalismo fiscale, però, scontano differenze territoriali enormi che, simbolicamente, si potrebbero riassumere anche con la distribuzione geografica delle Province a rischio, secondo i criteri stabiliti dal governo: quasi tutta concentrata nel Centro-Sud. Nel nostro Mezzogiorno, ma non solo, è molto labile il confine tra l’erogazione di un servizio da parte dell’amministrazione pubblica e l’assistenza, il sostegno contro la disoccupazione, il disagio economico, la precarietà del lavoro. Forme di welfare improprio, certamente, ma che hanno consentito una pace sociale difficile da garantire altrimenti. Anche perché c’è una evidente sfasatura temporale tra gli effetti, immediati, dei tagli alle spese pubbliche e quelli, possibili ma non assicurati, dei provvedimenti previsti per attirare investimenti nel Sud.
Ecco perché le due sfide mettono a repentaglio un consenso elettorale che non tocca la costituente d’interessi di Tremonti e di Bossi. Il ministro dell’Economia, almeno per ora, deve occuparsi principalmente di offrire garanzie sui nostri conti, sia nei confronti dei partner europei, sia nei confronti dei risparmiatori che devono acquistare i nostri titoli di Stato. Impiegati pubblici e territori del Centro-Sud non sono, notoriamente, aree di particolare attenzione da parte della Lega.
Diversa è la condizione di Berlusconi. Al di fuori degli insegnanti e dei magistrati, i pubblici dipendenti costituiscono un bacino elettorale che assicura al Pdl una notevole messe di voti. Così come lo spostamento dei suffragi, dallo schieramento di centrosinistra a quello di centrodestra, è stato determinante per le sorti della competizione nazionale negli ultimi tempi. Non è un caso infatti che, proprio in questi giorni, il presidente del Consiglio stia tentando di riallacciare buoni rapporti sia con Casini sia con Fini, altrettanto interessati alle sorti di quella categoria e di quell’area geografica. L’equilibrio dei governi, come quello degli uomini, non sopporta che una gamba sia troppo più forte dell’altra.
La Stampa 27.05.10