È una manovra che vuole fare cassa nel più breve tempo possibile, non preoccupandosi di ottenere risparmi duraturi e di pensare alla crescita. Vorrebbe rassicurare i mercati, ma rischia di dare un’immagine di un paese alla canna del gas.
Si procede a tagli indiscriminati nei trasferimenti agli enti locali e nel pubblico impiego, con misure draconiane, quelle che non possono reggere nel corso del tempo. Forse non entreranno mai in vigore. L´unico intervento davvero strutturale è quello trapelato in serata: l´abolizione di 9 province con meno di 220.000 abitanti. L´esecutivo non ha certo imparato l´arte del punta-tacco, tagliare le spese migliorando gli incentivi alla produttività, quindi stimolando la crescita. Rischiamo perciò di fare con una mano quello che si disfa con l´altra.
L´esempio più evidente di queste contraddizioni è quanto avviene sul versante delle entrate. Tornano in auge, pur temperate, molte misure di contrasto all´evasione fiscale introdotte da Vincenzo Visco nella passata legislatura, dalla riduzione del tetto alla tracciabilità del contante, alla fatturazione elettronica. Misure in gran parte vanificate dall´ennesimo condono. Servirà a regolarizzare cambiamenti catastali non notificati. Verrà affidato alle Regioni che avranno una compartecipazione alle entrate.
Quelle uscite dal Consiglio dei ministri sono norme «salvo successive intese per perfezionare il testo». In sostanza, la Finanziaria non è stata ancora approvata. Viene annunciato un congelamento dei salari nominali nel pubblico impiego: non cresceranno di un euro rispetto ai livelli del 2009, derogando ai contratti sottoscritti negli ultimi 18 mesi. È una misura senza precedenti. Probabile che alla fine si arrivi, invece, al solito rinvio dei contratti, durante il quale i dipendenti pubblici ottengono, come più volte avvenuto in questi anni, l´indennità di vacanza contrattuale (circa l´80 per cento dell´inflazione in due tappe). Se fosse questo l´esito, porterebbe solo a spostare spese più in là, senza risparmi strutturali. Addirittura con incrementi di spesa perché il recupero di questi rinvii è sempre molto oneroso. In ogni caso, si tratta di provvedimenti indiscriminati, che colpiscono tutti, per ripristinare le regole retributive in vigore prima della riforma Brunetta. L´impressione è che l´intera riforma sia stata commissariata. Vengono anche ritardati gli scatti di anzianità per insegnanti, docenti universitari e poliziotti. Si tratta di un taglio secco dei loro stipendi. In questo caso i risparmi sono strutturali. Ma non dovrebbero eccedere qualche centinaio di milioni.
I tagli ai trasferimenti alle Regioni e ai Comuni sono ingenti: arrivano ai 13 miliardi. Ma in che quadro avvengono? Ci sono revisioni del Patto di Stabilità Interno? Sono previsti tetti al debito degli enti locali? Nel testo sin qui approvato non c´è traccia di tutto ciò. Il rischio perciò è che si faccia cassa per lo Stato, trasferendo debito dal centro alla periferia.
I tagli ai ministeri colpiscono solo le spese intermedie. Sono tagli di carta in tutti i sensi. Bisognerà fare a meno di risme, penne e accessori. Sono le spese che tutti tagliano perché la cartoleria non protesta. Poi, non appena il blocco viene tolto, si recupera rapidamente il materiale perduto preparandosi magari alla prossima “carestia” di penne. È successo anche nel 2009 dove questa voce di spesa è schizzata verso l´alto.
Bene i tagli ai finanziamenti pubblici ai partiti. Anche quelli, se dati selettivamente, colpendo i partiti che a livello locale hanno sforato i vincoli di bilancio, avrebbero portato a risparmi ben più consistenti. Bene anche i tagli ai compensi dei parlamentari, che, a pioggia, colpiranno anche i magistrati. Uniti nella sventura. Ma c´è da scommettere che, non appena passata la buriana, recupereranno rapidamente quanto perso. Perché siano tagli veri bisognerebbe ridurre il numero di poltrone, ad esempio dimezzando il numero dei parlamentari, cosa che ci porterebbe in linea, in termini di rapporto fra seggi ed elettori, con democrazie più consolidate della nostra.
Si chiudono diverse finestre per andare in pensione. Non solo quelle per le anzianità, che avrebbero portato a risparmi esigui e non strutturali, ma anche quelle per le pensioni di vecchiaia, ritardate di sei mesi. E´ una misura, quest´ultima, che può ridurre marginalmente la spesa pensionistica, ma in modo permanente. Dissuaderà i governi futuri a introdurre, come sarebbe giusto, incrementi attuariali delle prestazioni sopra i 65 anni, per indurre le persone ad andare in pensione più tardi. Vanificherebbero questi risparmi.
Non c´è l´annunciata tassa sui bonus dei manager. I compensi dei dirigenti pubblici subiscono, invece, un taglio del 10 per cento. Anche in questo caso indiscriminato. Difficile pensare che questo provvedimento ad hoc sarà ancora in vigore fra tre anni. Se l´idea era quella di chiedere un contributo di solidarietà a tutti coloro che hanno redditi più alti, perché allora non riportare l´aliquota Irpef più alta al 45 per cento? Avrebbe anche posto al riparo dai probabili, interminabili, ricorsi.
Il problema è che questo governo si dichiara ideologicamente contrario ad alzare le tasse. E allora introduce una serie infinita di blocchi, prelievi e nuovi balzelli che possono, a un elettore disattento, apparire come semplicemente adeguamenti nei prezzi dei servizi pubblici. Come i pedaggi sulle connessioni alle reti autostradali, che fanno nuovamente capolino.
Il redditometro e la tracciabilità dei compensi sono provvedimenti utili. Ma la soglia è troppo alta. Come dimostrato da recenti vicende, pagamenti illegali potranno essere fatte raddoppiando il numero di transazioni che sino ad oggi venivano utilizzate per … comprare la casa a qualcun altro. Meglio sarebbe stato portare la tracciabilità ai livelli di tante prestazioni di liberi professionisti, a partire dalle visite mediche privatistiche, vale a dire 150 euro. Vedremo quanto il Governo si propone di ottenere da queste norme di contrasto dell´evasione. Data la difficoltà nello stimarne gli effetti, meglio sarebbe non considerarle coperture. Per poi sperare in piacevoli sorprese da trasferire prontamente ai contribuenti onesti, con una riduzione delle aliquote.
Ci sono, infine, le solite deroghe. Come i finanziamenti alle scuole private. Dal blocco delle assunzioni verranno esonerati 200 esperti di federalismo per il Ministro delle Finanze. Strano perché al Ministero non mancheranno energie nuove e qualificate ora che il personale dell´Isae verrà trasferito d´imperio in via XX Settembre. Bene chiarire al più presto in base a quale criterio sono stati aboliti Isae, Ice e Isfol, istituti con cui alcuni ministri avevano in passato aspramente polemizzato. Non vorremmo che si trattasse di vendette, volte a sottomettere chi è chiamato a dare informazioni sulla politica economica in Italia. I risparmi di questi interventi sono esigui. Quasi il 90 per cento delle spese di questi istituti consiste in personale che rimarrà, come un esercito sconfitto, in carico ai contribuenti. E´ una storia che abbiamo già visto con lo pseudo scioglimento di interi ministeri. La differenza è che, in questo caso, gli accampamenti non saranno a Palazzo Chigi, ma per lo più in via XX Settembre, ormai divenuta la vera e propria sede del Governo provvisorio che ha varato una Finanziaria ancora tutta da definire.
La Repubblica 26.05.10
******
Sono tagli insostenibili. Anche i governatori del Pdl attaccano l´esecutivo. Errani: “Ci tolgono 10 miliardi”, di Luisa Grion
Il conto, dicono, è «insostenibile», la manovra, contestano «è punitiva» e gli enti locali non potranno sopportarla se non con un taglio dei servizi sociali «dagli effetti dirompenti» sul livello di vita dei cittadini. Senza contare che il federalismo fiscale rischia di essere soffocato sul nascere. La manovra messa in campo dal governo Berlusconi per sanare i conti pubblici impone un tributo pesantissimo alle regioni, chiamate a mettere sul piatto, nei prossimi due anni, oltre 10 miliardi di euro (5 più 5). Province e comuni ne verseranno altri 3, ma per le prime è previsto anche un taglio «fisico»: a partire dalla prossima legislatura scompariranno quelle sotto i 220 mila abitanti (regioni a statuto speciale e città di confine a parte).
Che le cose, per loro, si stessero mettendo male, gli enti locali lo avevano capito già in mattinata quando, convocati dal ministro Tremonti, i presidenti di regioni ed enti si erano sentiti dire che questa «non è una Finanziaria qualsiasi». Ma ciò che non accettano non è tanto l´entità totale della manovra (24 miliardi), quanto la parte loro spettante. «Se applicassimo a tutti la stessa percentuale di tagli a noi richiesta – commenta Romano Colozzi, coordinatore degli assessori al bilancio regionali – questa sarebbe una manovra da 140 miliardi. Per quanto ci riguarda la consideriamo una scelta punitiva, serve maggiore equità». Nei fatti , spiega, tagliare 10 miliardi in due anni vuol dire incidere su «scuola, asili nido, trasporti, viabilità, incentivi alle imprese, ambiente. Un bilancio che colpisce soprattutto le regioni che meglio sono intervenute sulla spesa sociale: per le altre vorrà dire che la pubblica amministrazione continuerà a non esserci». Alla Lombardia, per esempio, è chiesto un contributo in tagli di 1,8 miliardi su una spesa attuale (sanità a parte) di 5.
A protestare sono tutti i presidenti di regione. «È una manovra insostenibile sia per la ricaduta sui servizi, sia per le risposte che dobbiamo dare ai cittadini» dice senza troppi giri di parole Vasco Errani, presidente dell´Emilia Romagna e della Conferenza delle regioni. Stessa linea per Claudio Burlando, Liguria: «La crisi va guardata in faccia, vero, ma qui stiamo soffocando lo sviluppo e a pagarne le conseguenze saranno soprattutto i ceti popolari». Più pacati – ma non meno preoccupati, i presidenti espressi dalla maggioranza. A parte Zaia, Veneto, («è una dieta che facciamo volentieri» ha detto), Scopelliti, governatore della Calabria parla di «situazione difficile» e «molto preoccupato» si confessa anche il presidente del Molise Iorio perché la manovra «pesa per il 50 per cento sulle regioni». Il fatto è che al di là della «macelleria sociale» come l´ha definita Niki Vendola, governatore Pd della Puglia, la manovra rischia di soffocare anche il federalismo fiscale. Colozzi fa i conti: «La legge delega dovrebbe finanziare le competenze regionali per 5 miliardi, guarda caso l´entità dei tagli prevista per il 2010».
La Repubblica 26.05.10