E’ stato Gianni Letta ad anticipare ieri agli italiani il «succo» della manovra che questa mattina il governo illustrerà ufficialmente. E già il fatto che Letta abbia parlato è una notizia. In oltre quindici anni di fedele servizio, le sue dichiarazioni pubbliche si contano sulle dita di una mano. E mai un commento, mai un’esternazione. A memoria, lo ricordiamo prendere la parola per il terremoto dell’Aquila: ma Letta è abruzzese, lì c’era un fatto personale e sentimentale.
Come mai dunque è stato proprio lui ad anticipare, come dicevamo, il succo della manovra? La prima risposta che viene istintiva è semplice: si tratta di un «succo» amarissimo per gli italiani. Letta ha annunciato «una serie di sacrifici molto pesanti, molto duri», che il governo è «costretto a prendere per salvare il nostro Paese dal rischio Grecia».
E lungi dall’annunciare una prossima e sicura uscita dal tunnel, ha definito «disperato» il tentativo di «scongiurare una crisi epocale». Riesce difficile pensare che, a 75 anni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio abbia deciso di intraprendere una nuova carriera da portavoce e di abbandonare il proprio ruolo di importante ma riservato tessitore della politica. Molto più facile immaginare che Silvio Berlusconi abbia deciso di affidare al suo fedele consigliere il compito di pronunciare parole che lui non pronuncerebbe mai. Avrebbe mai usato, Berlusconi, l’aggettivo «disperato»? Lui che ha sempre detto di non aver mai visto un pessimista combinare qualcosa di buono nella vita? Avrebbe mai definito «epocale» la crisi, lui che ha sempre accusato di catastrofismo chi parlava di recessione? Avrebbe mai voluto essere il premier che annuncia sacrifici agli italiani, lui che aveva promesso meno tasse per tutti?
Berlusconi è un leader di grande carisma, ma il suo è un carisma fondato sull’ottimismo, sull’iniezione di fiducia. Capita invece che a volte i grandi condottieri debbano usare linguaggi diversi, più sgradevoli. È celeberrimo il discorso che Winston Churchill pronunciò alla Camera dei Comuni il 13 maggio di settant’anni fa: «Ho ricevuto da Sua Maestà l’incarico di formare un nuovo governo… Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore… Abbiamo di fronte a noi molti, molti mesi di lotta e di sofferenza». Allora «la più terribile delle ordalie», come la definì Churchill, era la lotta contro il nazismo. Oggi lo spettro è «solo» un cambiamento di tenore vita per tutti noi: per molti, anche uno sprofondare nell’indigenza. Il contrario di quella prospettiva di benessere e successo che Berlusconi «garantiva» con l’esempio della propria vicenda personale.
È dunque probabilmente questo il motivo per cui il Grande Comunicatore dell’ottimismo e del successo ha voluto far vestire a Letta quei panni da Churchill che non sono nel suo guardaroba. Ieri sera un altro Letta, Enrico, ha detto che Berlusconi deve assumersi le proprie responsabilità e mettere la faccia accanto alla parola «sacrifici». Non sappiamo se lo farà. Che smentisca Letta in toto è molto difficile, se non impossibile. Più facile che ne attenui i toni, dicendo che sì, i «sacrifici» ci saranno, ma precisando che è l’Europa a chiederceli anzi a imporceli, e che se fosse solo per l’Italia la situazione non sarebbe quella che è. Facile anche prevedere che alla fine il premier aggiungerà che tutto andrà comunque per il meglio, e che ogni stretta alla cinghia sarà funzionale al coronamento del sogno, cioè all’abbassamento delle tasse. Se così sarà, vorrà dire che la scelta di mandare avanti Gianni Letta ha avuto anche lo scopo di riservarsi un’ultima parola che non lasci negli italiani la memoria di una promessa di lacrime e sangue.
La Stampa 25.05.10