Gli ultimi dati sull’università statale pubblicati dal Miur sembrano proprio la “cronaca di un disastro annunciato”. Iscritti e new entry in calo, ripetenti e fuori corso in aumento e boom di corsi con almeno un iscritto. Ma non solo, ogni provincia italiana ha la sua piccola sede universitaria che, in alcuni casi, funziona per pochissimi studenti. Per contro, gli atenei non statali sembrano vivere un’autentica primavera: iscritti e immatricolati in crescita e studenti più produttivi. In queste ore, è in corso la discussione al Senato (in commissione Cultura) il cosiddetto disegno di legge Gelmini e non passa giorno che in qualche città italiana, in alcuni casi in contemporanea, non si svolga un’assemblea di ricercatori, studenti e prof per illustrarne le linee generali della Riforma e, magari, tracciarne i tanti aspetti negativi.
Riuscirà, con questa riforma, il governo a risollevare le sorti di uno dei settori più importanti del Paese? Oggi, si sono svolte assemblee e occupazioni simboliche 1 in diversi atenei italiani: da Bologna a Palermo, passando per Roma e Messina. Sta di fatto che, stando ai numeri dell’anno accademico in corso, non c’è da stare troppo allegri. Gli atenei statali, in appena due anni hanno perso quasi il 2 per cento di iscritti: circa 28 mila studenti. E anche i nuovi ingressi sono in netto calo: meno 5 per cento, in appena due anni. Effetto del calo demografico e delle tante riforme sugli esami di maturità, che hanno contribuito ad aumentare non ammissioni e bocciature? Ma c’è un altro dato che non lascia troppo spazio a speculazioni di sorta.
Dal 2007/2008 al 2009/2010, cioè in appena 24 mesi, negli atenei pubblici il numero di studenti regolari è sceso inesorabilmente. Segno che la riforma del 1999, che ha introdotto il percorso 3+2, dopo un primo periodo di entusiasmo sta mostrando di non essere all’altezza. Rispetto al totale degli iscritti, infatti, ripetenti (coloro che preferiscono riscriversi allo stesso anno) e i fuori corso hanno in pratica raggiunto quelli in regola con materie e crediti: pari soltanto al 51,6 per cento.
Le difficoltà maggiori vengono incontrate nei primi due anni, dove la cosiddetta dispersione raggiunge valori preoccupanti. Tanto che oggi 35 studenti su 100 preferiscono ripetere l’iscrizione al primo anno di corso. Un paio di anni fa le cose non andavano benissimo, ma certamente meglio: ripetevano l’iscrizione al primo anno in 30 su 100. E a nulla sembra servire l’ampliamento esponenziale dei corsi di ogni genere, organizzati dalle università per accaparrarsi iscritti. Nonostante gli oltre 11 mila corsi svolti quest’anno, più 40 per cento rispetto a due anni fa, le performance dei ragazzi sono peggiorate.
Anche avvicinare le sedi universitarie agli studenti non sembra produrre risultati di rilievo. Oggi, i comuni italiani con almeno una sede universitaria sono 273. Ma alcuni di questi restano in piedi per pochissimi ragazzi: il 20 per cento, ospita meno di 100 studenti e il 39 per cento meno di 200. Addirittura 5 sedi, in piccolissimi comuni, risultato con un solo iscritto. Negli stessi 24 mesi, gli atenei privati hanno visto crescere le iscrizioni del 10 per cento, con un leggero aumento anche degli immatricolati e un tasso di regolarità che si è assestato al 67 per cento: 15 punti percentuali in più rispetto agli iscritti nelle università statali.
La Repubblica 19.05.10