Ponte san Giovanni e’ una frazione di Perugia. Frazione fino a un certo punto. Per chi ci viene in macchina, magari. I camminatori della pace, in viaggio stamattina dalla Perugia di Aldo Capitini alla Assisi di San Francesco fanno qui la loro prima tappa e invadono il minuscolo corso dopo un’ora e mezzo di marcia arcobaleno. La pioggia va e viene ma non cambia una virgola di questa giornata speciale. Ventiquattro chilometri tutti d’un fiato che si ripetono per la diciottesima volta. La prima fu oltre cinquantanni fa: Capitini, filosofo antifascista padre del liberalsocialismo, la organizzo’ coraggiosamente insiemea un gruppo di intellettuali tra cui Norberto Bobbio, Ernesto Rossi, Italo Calvino e Renato Guttuso.
Allora erano in trentamila e si sgolavano contro l’incubo nucleare agitato dalla guerra fredda e dallo scontro frontale tra blocchi contrapposti. Oggi i maratoneti della pace partiti dai giardini del Frontone di Perugia si fa fatica a contarli. Cosi’ come a seguirli. Riprendere la testa del corteo se si e’ partiti dalla coda e’ impossibile, ma la voce di Flavio Lotti, il coordinatore della Tavola per la pace, che anche quest’anno ha organizzato la marcia, arrivano forte dagli altoparlanti che spuntano dappertutto sulle mura del centro storico: “Per favore, alla fine di questa giornata, non raccontate di questa marcia come di una bella passeggiata in Umbria. Siamo qui per far camminare le parole, rimettere al centro della politica i diritti umani, la giustizia, la nonviolenza. E il diritto al lavoro, in un paese in cui ancora si muore per difenderlo, come e’ successo all’infermiera napoletana, pochi giorni fa”.
La testa del corteo parte: strada spianata da un simbolico caterpillar. Un esercito di scout pugliesi mescolati a liceali di Verona, giovani comunisti lombardi e militanti di Libera dalla Sicilia. Le bandiere gialle di Amnesty e i militanti della Cisl e della Cigl a volantinare insieme, i sindaci di provincia con il tricolore sulla pancia. Signore con la borsa e il foulard e ragazzi con la chitarra, ciclisti con le maglie fluorescenti e boy scout con i calzettoni tirati e il cappello di Indiana Jones. Bambini, dappertutto: canticchiano, scartano merendine sotto i berretti con la visiera e corrono tra i migranti nordafricani che vendono libri e magliette. I politici si confondono a testa bassa nella mischia, finalmente invisibili, assonnati e umani. Bersani arriva puntuale, in scarpe da trekking, pantaloni color sabbia, maglioncino blu e sigaro spento tra le labbra.
Sorride tra i ragazzi, non riesce a passare dall’altra parte perche’ servirebbe l’elicottero e ci rinuncia tranquillo, chiacchierando con i giovani e facendo foto tra nonni e nipoti. Nichi Vendola raccoglie firme per l’acqua pubblica insieme ai militanti del suo partito, quasi nascosto nel gazebo. La gente passa, scatta foto, indica col dito. Lui risponde con la mano, defilato e gentile. Tra le bandiere dei verdi sbuca Angelo Bonelli, in vestito elegante grigio scuro. Nessuno pontifica e se non fsse per i giornalisti che incalzano sarebbe domenica anche per le polemiche du Cosentino e Bertolaso, la casa di Scajola e gli affari di Anemone. Si mordono crackers, ogni tanto si canta, si chiama a casa per dire che la pioggia ha smesso e crampi ancora non se ne sentono. Nel frattempo si incontrano posti difficili da scovare anche sulle cartine.
A Ferriera i volontari distribuiscono biscotti e ovetti di cioccolato e i ragazzi del posto vendono un pane e salame a offerta libera che va a ruba. A Ospedalicchio, tra i papaveri a bordostrada e una fabbrica di trattori arancioni giganti, i primi gruppi si arrendono e si consolano addentando tramezzini e bevendo vino. I cartelloni azzurri indicano finalmente Assisi. Mancano 9 chilometri, adesso, mentre dalle finestre delle case si sente odore di ragu’ e carne alla brace e un gruppo di ragazzi di Roma appoggia l’orecchio sulla radio e aspetta, marciando, la cronaca dagli stadi dell’ultima di campionato. Non c’e’ fretta, non c’e’ rabbia in eccesso, niente ansia di arrivare in orario. I dialetti si mescolano e la rocca di San Francesco si inizia a intravedere tra i sorrisi e le smorfie di stanchezza, in fondo alla valle.
Intanto, sulla strada per Basta Umbria, davanti al parcheggio di un grande ipermercato, seduto su una sedia di legno – una mela rossa in una mano, un fiore bianco nell’altra – prende fiato padre Alex Zanotelli. Immancabile, nella sua canotta colorata, i piedi grandi nei sandali di cuoio, un sorriso per tutti i ragazzi che lo abbracciano come se racchiudesse in sé tutto quello per cui si marcia, la vera notizia notizia sarebbe stata non vederlo da queste parti. E invece eccolo, a ripetere a tutti l’attualità del pacifismo e della nonviolenza attiva divulgati e predicati da Aldo Capitini. “Siamo in un paese che spende 24 miliardi di euro di bilancio difesa. È uno scandalo, se pensiamo che poi non si trovano i soldi per le politiche che servono, come quelle sulla sanità”. Padre Alex incalza: “Non avremo pace se non ripensiamo al nostro stile di vita, in Italia e nel mondo. Il 20% della popolazione divora l’80% delle risorse. È questo che determina la guerra tra i ricchi e i poveri. E in questo senso la battaglia per l’acqua pubblica è una battaglia per la pace. Essere arrivati a pensare di privatizzare l’acqua significa aver perso ogni forma di cultura e civiltà. Se l’acqua verrà privatizzata avremo 100 milioni di poveri che moriranno di sete. Ecco perché marciare per la pace quest’anno significa marciare per la vita”.
A Bastia Umbra riprende il diluvio. Davanti alla chiesa della piazza centrale i ragazzi dell’Arci vendono birra a basso costo e distribuiscono panini. La strada scende a sinistra, fino a un lungo viale alberato che sembra interminabile e che porta dritti alla basilica di Santa Maria degli Angeli. I manifestanti scompaiono sotto gli ombrelli e i keeway. Qualcuno prosegue scalzo, capelli bagnati e scarpe in mano. A Santa Maria degli Angeli la gente entra ed esce dalla grande basilica per una preghiera. Fuori, la street parade dei Giovani Comunisti è un’esplosione di suoni e braccia che si alzano senza paura della pioggia.
Parte il tratto più duro, l’ultimo, senza fiato. La salita verso il centro storico di Assisi è un tuffo tra spighe acerbe e ulivi bassi. I più anziani si fermano ai bordi, i ragazzi si tirano su l’un l’altro, in fila indiana, attaccati agli zaini. Le navette vanno e vengono, qualcuno si scansa e scivola sulle mattonelle rosse. Sotto i portici della basilica inferiore si scattano le ultime foto. Le signore si infilano nei negozi di souvenir. Un ragazzo con una parrucca da clown in testa gira con un cartello con su la scritta “abbracci gratis”, tradotta in cinque lingue. I frati del Sacro Convento Francescano, intanto, accolgono Bersani, Rosy Bindi e Vendola fino al parlatorio. Raccontano che il presidente della Regione Puglia si spinga fino alla tomba di San Francesco. Intanto qualcuno inizia a scendere verso i parcheggi, in cerca dei pullman verso casa. I più temerari, invece, trovano le energie per l’ultima scalata, fin sulla Rocca Maggiore, dove sul palco si parla di diritti umani violati, di lavoro che uccide e territori senza tregua come Palestina e Iran. Resta la musica, mentre scende la sera e si ripiegano le centomila bandiere. Fanno male le gambe, qualcuno zoppica, qualcuno mangia un gelato perché si sente svenire. Eppure si lascia Assisi con la speranza addosso. Di questi tempi, non è poco.
L’Unità 16.05.10