Il problema, dunque, non è solo la Grecia. La crisi non è riconducibile esclusivamente ai conti fuori controllo dei greci ai quali i giornali tedeschi suggeriscono di vendere l’Acropoli per rispettare i sacri parametri di Maastricht. Nel giro di tre giorni l’Europa è passata dalle difficoltà «circoscritte» di un singolo paese, il più debole sotto il profilo finanziario, a una «crisi sistemica», parole del presidente della Bce Trichet, che mette in discussione non solo gli eredi della dracma ma l’intera costruzione dell’Unione e della moneta unica. In poche ore le fiamme e le tragiche violenze di Atene sono passate quasi in secondo piano rispetto alla destabilizzazione che dai mercati è salita fino alle cancellerie che, solo dopo l’intervento preoccupato del presidente Obama su Angela Merkel, hanno deciso di ritrovarsi per il week end a Bruxelles per decidere un piano straordinario di interventi.
Non sappiamo se le misure decise stroncheranno l’attacco della speculazione dei mercati ai governi, all’Unione e all’Euro. È certo, tuttavia, che anche questo maxi piano dell’Europa non risolverà i problemi di fondo, non disinnescherà la bomba che due anni fa è esplosa negli Stati Uniti provocando la prima grande crisi dell’economia globale e che oggi si presenta con la miccia accesa nella vecchia Europa. Nel settembre 2008, quando Wall street visse il dramma storico del fallimento della Lehman Brothers, tutti, ma proprio tutti si impegnarono a limitare le invasioni della finanza, il suo dominio incontrastato sull’economia reale, sull’industria, l’occupazione. Governi e leader politici giurarono, allora, di voler invertire la rotta, di bloccare il gigantesco trasferimento di ricchezza dal profitto, dal lavoro alla rendita finanziaria. La distorsione dell’economia, emersa in modo drammatico due anni fa, avrebbe dovuto essere affrontata con un riequilibrio profondo tra risparmio e investimenti e soprattutto le autorità di governo e quelle che vigilano sui mercati e sulla concorrenza avrebbero dovuto intervenire con provvedimenti rigorosi e coerenti per smontare i giochi perversi della finanza.
Ma poco è stato fatto su questo fronte perchè fortissime sono le resistenze del mondo finanziario e spesso deboli e miopi sono le azioni politiche. Obama, che rappresenta per molta parte del mondo ancora una speranza di cambiamento, ha implorato le lobby delle banche e delle assicurazioni a non ostacolare la sua riforma dei mercati e della finanza. Ma nemmeno Obama è riuscito a sfondare in un sistema, come quello Usa, dove uno può fare il ministro del Tesoro e poi guidare serenamente la Goldman Sachs e viceversa. Quello che viviamo oggi in Europa e che preoccupa la Casa Bianca non è solo la speculazione contro governi o monete deboli, d’altra parte la speculazione – lo insegnano persino nelle università – è parte integrante dei mercati e del loro funzionamento.
C’è una patologia di fondo che sta nel Dna del sistema, per cui il denaro serve solo a creare altro denaro. I golpisti della finanza attaccano gli stati grazie alle armi che gli stessi stati hanno messo loro a disposizione.
Per fronteggiare la crisi del 2008 i governi erano intervenuti per salvare banche, assicurazioni, intermediari, immettendo nel sistema cifre iperboliche. Almeno 3000 miliardi di dollari, denaro pubblico, sarebbero stati spesi per evitare il tracollo del sistema creditizio, ma anche della Chrysler di Sergio Marchionne, trasferendo così le perdite dal sistema privato a quello pubblico. La strada è stata seguita anche in Europa e i mercati finanziari che, fino al 2008, avrebbero speculato contro questa o quella banca o impresa considerata debole oggi si accaniscono contro gli stati e lo loro valute, partono dalla Grecia ma allargano facilmente l’orizzonte e mettono nel mirino l’intera costruzione della moneta unica europea.
Ma gli stati, la politica sono deboli, frammentati, gelosi dei loro poteri e interessi. Si muovono in ritardo, come è avvenuto in questi giorni in Europa dove la signora Merkel (che non è Khol) era preoccupata per l’impatto degli aiuti alla Grecia sul voto regionale in Germania. Mentre l’Europa balbetta, sull’altro fronte invece c’è una corporation planetaria formata da potenti banche d’affari, proprietari e promotori di hedge funds e di strumenti derivati che non rispondono a nessuno, se non ai propri azionisti, il cui unico obiettivo è quello di produrre soldi dopo altri soldi, di alimentare senza ritegno la corsa delle stock options dei propri managers. Quante volte, negli ultimi anni, il mondo si è dovuto confrontare con queste crisi, con il fenomeno della “speculazione” che sarebbe la parte più cattiva, deviante, di un sistema che ai più sembra ancora buono? Ci sono stati gli scandali dell’epoca Bush, come la Enron e la WorldCom. Poi i subprime, la caduta delle grandi banche e di conseguenza la recessione, il crollo dell’economia, la perdita di milioni di posti di lavoro. Ma, dopo le tragiche esperienze del passato, poco è cambiato visto che ancora oggi gli strumenti della speculazione valgono 4 o 5 volte l’intero Pil mondiale.
Il presidente Obama è intervenuto con forza sull’Europa affinchè si muovesse con provvedimenrti straordinari perchè la Casa Bianca non vuole ripetere il dramma del 2008 e l’attacco alla Grecia e poi all’Europa ricalca lo stesso schema, minacciando la possibile ripresa internazionale. In aprile negli Statio Uniti sono stati creati 290mila nuovi posti di lavoro, da quattro mesi c’è un leggero miglioramento che Obama non vuole assolutamente pregiudicare con un’altra crisi finanziaria. Dal 2008 ad oggi gli Stati Uniti hanno perso circa otto milioni di occupati. ci vorranno anni per recuperarli. La preoccupazione di Obama è giustificata. Un timore che dovrebbe essere prioritario per tutta l’Europa e, in particolare, per l’Italia.
Il prevalere degli interessi finanziari, o chiamamola pure della speculazione, rispetto alla tutela degli investimenti, della produzione, del lavoro è l’elemento costante di questi anni e anche di questa crisi. La finanza domina i mercati, ricatta i governi e impone una ristrutturazione delle attività industriali da cui raccogliere altri profitti: un processo politico globale che colpisce soprattutto il mondo del lavoro, i sindacati e si potrebbe aggiungere anche la sinistra. Dopo due anni di crisi, dopo la caduta di simboli storici del capitalismo, dopo le copertine dei settimanali americani che invitano a leggere Carlo Marx, non è cambiato nulla. Siamo ancora qui a registrare il trionfo della finanza e la sconfitta della politica e del lavoro. Questa è la realtà.
L’Unità 10.05.10