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"Riconoscere (adesso) ruolo e diritti dei ricercatori universitari" di Dario Antiseri

Il 30 aprile 2009 il personale docente delle nostre Università risulta così composto: 18 mila 962 professori ordinari, 18 mila 297 associati, 25 mila 802 ricercatori. Di 60 anni è l`età media degli ordinari, di 53 quella degli associati, di 46 quella dei ricercatori. Tra il 2009 e il 2013 vanno in pensione 11 mila 552 docenti, così suddivisi: 3.765 ordinari, 5.275 associati, 2.512 ricercatori. Entro il 2020 saranno circa 30 mila i docenti che, per raggiunti limiti di età, lasceranno l`Università.
Dunque, il problema più urgente – tremendamente urgente – è quello di provvedere alla loro sostituzione, se non si vuole, per cecità ed irresponsabilità, che la nostra Università muoia. Ora, nelle Università italiane, operano 26 mila ricercatori. Ed è da anni che alla quasi totalità di costoro vengono affidati corsi di insegnamento anche fondamentali; e in qualità di docenti i ricercatori, oltre a tenere cicli di lezioni, seguono tesi di laurea, presiedono commissioni di esami, fanno parte delle sedute di laurea, sono indispensabili peri requisiti minimi che mantengono in vita i Corsi di laurea. Insomma: all`interno delle Facoltà i ricercatori svolgono le medesime funzioni degli ordinari e degli associati – solo che docenti nei loro doveri, non lo sono nei loro diritti. Mal pagati, e senza prospettive di carriera, non di rado essi – anche quelli privi di insegnamenti ufficiali – hanno sostituito e sostituiscono, nelle lezioni, negli esami e nella conduzione delle tesi, professori ordinari magari indaffarati «altrove»: anche loro impegnati nella ricerca, nella ricerca di soldi. Non dice niente il fatto che tra il 2009 e il 2013 nelle Facoltà di Medicina andranno in pensione 510 ordinari e 635 ricercatori? E un`indagine accurata dovrebbe venir condotta in altre Facoltà come Giurisprudenza, Ingegneria, Architettura, Economia.
Ebbene, quello di essere valutati in ambito scientifico e didattico è il primo diritto dei ricercatori. Ed ecco, pertanto, una ragionevole proposta: si dia immediatamente inizio alle procedure di accertamento dell`idoneità scientifica e didattica dei ricercatori a tempo indeterminato e si applichi agli idonei la tenure track prevista, nel nuovo regime, per i ricercatori a tempo determinato (cioè la progressione di carriera fino a professore ordinario, se continuano a venire rispettati tutti i requisiti, ndr). Quindi: nessun ope legis, ma responsabile attenzione, per il futuro sviluppo della nostra Università, nei confronti di quell`autentico patrimonio di ingegno, passione e pazienza costituito da migliaia di giovani (molti dei quali ormai non più giovani) dediti alla ricerca e all`insegnamento, i quali, se non vedessero prese sul serio le loro ragioni e riconosciuti i loro sacrosanti diritti, potrebbero prendere decisioni in grado di portare l`Università italiana al completo collasso. Caveant Senatores!
E ciò perché, se da parte governativa si sta pensando a «forti aperture» nei confronti dei ricercatori a tempo indeterminato, c`è da sperare che queste «forti aperture» non si risolvano in un insulso contentino come è avvenuto nel caso dell`emendamento avanzato dalla Commissione Cultura del Senato relativo alla composizione del Cda delle Università – emendamento consistente nella proposta per cui i Cda dell`Università, se composti da undici membri (il massimo possibile), dovranno avere un minimo di tre componenti esterni e, qualora i membri del Cda siano meno di undici, almeno due dovranno essere i componenti esterni. Viene da chiedersi: ma perché questi vincoli e altre misure come il numero massimo di Facoltà di un Ateneo o la ristrutturazione dei Dipartimenti, quando le Università sanno che saranno giudicate nei risultati della ricerca e negli esiti della didattica e che, esattamente sulla base di tale valutazione, otterranno finanziamenti o saranno sanzionate? Si lascino pertanto agli Statuti delle singole Università l`organizzazione e il numero delle Facoltà, la strutturazione dei Dipartimenti, la composizione del Cda. La sferza della valutazione con conseguenti premi e sanzioni – farà con ogni verosimiglianza tutto il resto: sarà la migliore cura per estirpare il cancro di «parentopoli», in quanto renderà tutti estremamente vigili nel reclutamento dei docenti; premierà chi fa davvero ricerca e chi si dedica con impegno alla didattica, per cui sarà difficile vedere ancora Facoltà con 78 ordinari di cui 36 sono part-time. La valutazione rappresenta una diga contro gli sprechi, porrà un freno contro l`irresponsabile proliferazione di sedi periferiche e non ci vorrà molto tempo perché venga sfatato l`inganno (per famiglie e studenti) di Facoltà e Corsi di laurea specializzati nel preparare studenti alla disoccupazione.
Si rifletta solo per un istante su questo dato: nel 2008 a Scienze della comunicazione erano 49 mila 728 gli iscritti e quelli a matematica 1.727.

Ottima, pertanto, la proposta del ministro Gelmini di introdurre «un sistema di valutazione periodica da parte dell`Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, ndr) dell`efficienza e dei risultati conseguiti nell`ambito della didattica e della ricerca dalle singole Università e dalle loro articolazioni interne». Solo che, stabilito questo sano principio, bisognerebbe trarne con coerenza le conseguenze.

Da “Il Corriere della Sera” di sabato 8 maggio 2010

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