Ciascuno è padrone a casa sua». È uno dei punti forti della “filosofia” politica con la quale Silvio Berlusconi ha “sedotto” milioni e milioni di italiani insofferenti di leggi, regolamenti, vincoli tesi a far prevalere, prima di lui, l’interesse generale. No, con la Casa delle Libertà devono trionfare gli interessi individuali. Meglio se cementizi. E ora arriva bel bello il ministro Sandro Bondi col decreto n.199/17.3.10, che “semplifica” (attenzione) le procedure per l’autorizzazione paesaggistica agli “interventi di lieve entità” (attenzione, due volte). Il ministro ha tenuto in vita il Codice per il paesaggio e però vara norme che lo aggirano. Il pacco plana su città in cui – basta girare l’occhio nella Roma di Alemanno – l’abuso è già la norma, con insegne, le più trucide, dovunque, anche in piena area storica, coi maxi-cartelloni tornati a vigoreggiare (contro tale giungla la Rete dei Comitati avanza domani una proposta di legge popolare), con balconi divenuti verande chiuse. Uno spettacolo da metropoli stracciona. Il decreto proposto diventa dunque la legalizzazione preventiva dello sfregio al paesaggio. E l’opposizione parlamentare? Non pervenuta. Eppure il provvedimento prescrive tempi, di fatto, impossibili. «Il procedimento autorizzatorio semplificato deve concludersi con un provvedimento espresso entro 60 giorni dal ricevimento della domanda». Se poi la Soprintendenza rigetta la richiesta e l’interessato ricorre, l’organo di tutela ha appena 30 giorni di tempo per dire di sì o di no. Ora, le Soprintendenze ai Beni architettonici, in quasi tutta Italia, sono afflitte da una tale carenza di tecnici che ognuno di questi si trova a dover sbrigare, nei 200 giorni lavorativi, un migliaio di pratiche, appena 4 o 5 al giorno. Aggiungiamoci le perentorie “semplificazioni” alla Bondi e avremo una alluvione di carte. Quando il parere del Soprintendente è vincolante, i giorni per esprimerlo scendono a 25…
Una parte di queste “semplificazioni”, va detto, non si applica ai centri storici (purché definiti però da piani urbanistici comunali), cioè alle zone “A” tutelate dalla legge-ponte per l’urbanistica nel 1968 quando l’Italia ancora pianificava. Ma il paesaggio non è fatto soltanto di centri storici, e inoltre vi sono Comuni che non li hanno definiti, oppure non li tutelano in modo rigoroso. Dunque, dentro quelle mura secolari, le semplificazioni berlusconiane potranno produrre sfracelli. Intanto il decreto prevede aumenti delle volumetrie fino al 10 per cento (zone A escluse): è la logica del Piano Casa che per ora è un flop clamoroso, ma loro ci riprovano. Riguarda la chiusura di balconi e terrazze, la tinteggiatura (spesso fondamentale per il paesaggio, urbano e non) delle pareti esterne e la stessa copertura degli edifici esistenti. Con quali materiali? Non si sa. Mentre è importante sapere se si tratta di coppi tradizionali, di lastre di pietra o invece di tegole marsigliesi o di plastica. Libertà, finalmente, anche per una selva di abbaini, canne fumarie, comignoli, terrazzine, lucernari.
È o no la casa delle libertà per padroni e padroncini? Alla faccia della “lieve entità”. Poi ti affacci da questi edifici e ti appare (era ora!) una colorata e autorizzata foresta di cartelloni e di insegne pubblicitarie, i primi fino a 12 mq. Più tende e tendoni, con quelle vezzose “mantovane” che a Roma e altrove esibiscono scritte pubblicitarie. Una gioia per la vista. Tutto “semplificato”, cioè libero. Capitolo “pesante” quello dell’adeguamento alle norme antisismiche: tutta Italia è a rischio, esclusa la Sardegna, la corona delle Alpi e la pianura padana (in parte). In questo caso l’autorizzazione “veloce” investe pure i centri storici. Così come le regole per il contenimento energetico. Esclusi controlli penetranti, i pericoli di stravolgimento a base (nel primo caso) di cemento appaiono incombenti. Altre semplificazioni minacciano gli alvei, già depredati, di fiumi e torrenti. I leghisti sono convinti (una fesseria, secondo i tecnici) che la mancata escavazione di ghiaia a monte provochi alluvioni a valle. Una tesi ovviamente cara ai cavatori di sabbia e ghiaia. Ora accontentati per decreto. Lo stesso per il ripascimento delle spiagge, da realizzare con sabbia dello stesso tipo. Non come al Poetto di Cagliari, dove quella magnifica spiaggia bianca – racconta l’ex parlamentare verde Sauro Turroni, uno dei più competenti e combattivi – venne sostituita con una rena grigia, quasi cementizia. Perché non c’era stata nessuna verifica tecnica di livello. E così sarà ora, sempre di più, sempre più estesamente, nell’Italia inquinata dal berlusconismo, dove “ognuno è padrone a casa sua”. Anche Claudio Scajola il quale può comunque godersi la vista del Colosseo.
da www.unita.it