Il Regno Unito oggi va alle urne sullo sfondo delle violente manifestazioni greche e forse sarà proprio l’evolversi della crisi greca, piuttosto che le ultime frenetiche battute della campagna elettorale più imprevedibile del dopoguerra, a condizionare il voto degli elettori indecisi. Mai queste due nazioni sono state tanto vicine nonostante le loro diversità.
In Grecia un neonato governo socialista si trova a dover gestire la prima vera crisi d’insolvenza sovrana dell’Europa Unita, in Gran Bretagna un governo laburista vecchio di 13 anni sta per uscire dalla scena politica lasciando il paese in condizioni economiche disastrose e che potrebbero facilmente farlo scivolare lungo la china intrapresa dalla Grecia. Con un deficit di bilancio del 12.7% Londra è pericolosamente vicina ai valori inaccettabili di Dublino, 13.2%, e di Atene, 14%. Ed anche se il Regno di sua Maestà ha difeso con le unghie e con i denti la propria moneta nazionale mentre la Grecia si è buttata a capofitto nell’avventura europeista, pensando che fosse solo una cuccagna e non un impegno fiscale, i destini di queste due nazioni sembrano al momento paradossalmente incrociati.
L’acuirsi della crisi greca ha fornito nuove munizioni ai conservatori che si sono scagliati con la solita retorica populista contro l’europeismo di Nick Clegg, il leader dei liberal democrats. L’anti-europeismo ha gettato benzina sul focolaio dell’immigrazione che è diventato un falò. Agli emigrati provenienti dall’Europa Unita si attribuiscono tutti i mali del paese dall’aumento della disoccupazione al collasso dei servizi sociali. L’elettorato domanda un tetto sul numero degli europei che chiedono la residenza nel Regno Unito e Cameroon è arrivato persino a dichiarare che se la nazione lo vuole ci sarà un referendum sull’Europa. Sarebbe l’ennesima volta che questo paese s’interroga sull’Europa Unita.
Ma né il referendum né la vittoria dei conservatori salveranno il Regno Unito dal tsunami Grecia, l’acronimo PIGS non include Gran Bretagna e Italia ma tutti sanno che se cadono i primi birilli anche queste due nazioni si ritroveranno a terra. Se i mercati girano definitivamente le spalle alla Grecia è solo questione di tempo prima che manifestino lo stesso scetticismo nei confronti delle obbligazioni britanniche. La retorica di Cameron e anche quella di Brown, che nelle ultime 48 ore è salito anche lui sulla tigre del populismo anti-europeo, invece di migliorare la situazione la peggiorano. Unica consolazione è che uno dei due si ritroverà ad affrontare, girato l’angolo elettorale, i demoni che questa campagna ha sprigionato.
Quanti inglesi questa sera assistendo alle riprese degli scontri davanti al parlamento greco intuiranno quanto la rabbia dei greci manifesta quella che da almeno due anni hanno dentro di loro? Chiunque oggi vincerà le elezioni diventerà presto la versione britannica di Papandreou. Dopo le celebrazioni della vittoria il nuovo governo dovrà far digerire alla popolazione una dieta di austerità che pochi accetteranno. Per dimezzare il deficit di bilancio i tagli alla spesa pubblica dovranno essere drastici e la mannaia cadrà su quei servizi che rendono la vita della classe media e di quelle a reddito più basso meno dura.
Così gli inglesi si faranno la stessa domanda che oggi i greci gridano fuori del parlamento: perché devono essere sempre i poveri a pagare? Nessuno, né la destra, né la sinistra e neppure il centro sanno rispondere perché la responsabilità di quanto sta accadendo non è dei capitalisti, che hanno evaso le tasse, né dei sindacati, che oggi in Grecia dicono no alle misure di austerità mandando il paese in bancarotta, ma del sistema stesso, che così come è strutturato tende a falsare tutto.
Il debito sovrano è sempre frutto della scelleratezza del governo, quello Greco come quello Britannico hanno speso più di quanto producevano e l’hanno fatto grazie al credito facile ed a buon mercato. E per evitare di essere lasciati indietro nella maratona elettorale perenne che ormai è diventata la politica occidentale, quando mancavano i soldi per ripagarlo invece di far tirare la cinghia al paese si sono ulteriormente indebitati. Gli inglesi queste cose ormai le sanno e per questo oggi il partito laburista raccoglierà i frutti di tre anni di politica sciagurata.
Ma la domanda vera è un’altra: basterà cambiare bandiera per abbandonare un modo di gestire la politica e l’economia che non funziona? Che invece di migliorare le nostre condizioni di vita le rende sempre più difficili?
A giudicare da come i conservatori hanno sfruttato a loro vantaggio la crisi di insolvenza della Grecia la risposta è negativa. E mai come oggi è vero il proverbio che dice: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
L’Unità 06.04.10