La crisi d’insolvenza della Grecia è diventata nelle ultime due settimane una crisi di liquidità. È un’accelerazione e insieme un salto di qualità della crisi, di cui l’Europa porta una responsabilità non irrilevante. Intervenendo subito si sarebbe potuto evitare questa nuova escalation, pagando un costo molto più contenuto per uscirne. Non è più solo una crisi di insolvenza. Nelle ultime due settimane il mercato dei Cds, Credit Default Swaps, le assicurazioni contro il rischio di ripudio del debito è rimasto relativamente tranquillo. Ma sono schizzati verso l’alto i rendimenti dei titoli di stato. Il governo greco fatica sempre più a trovare qualcuno disposto a comprarli. Oggi è costretto ad offrire tassi vicini al 10 per cento. Si tratta di più di 10 euro all’anno in termini di potere d’acquisto per ogni cento investiti, dato che i prezzi in Grecia stanno calando.
Quando si pagano interessi così alti su un debito pari al 125 per cento del prodotto interno lordo, è impossibile stabilizzare il rapporto fra debito pubblico e pil. Per farlo bisognerebbe varare una manovra correttiva (più tasse e meno spese) pari a un quinto del reddito nazionale e sperare che in questo contesto l’economia non crolli più dell’1 per cento. Mission impossible. Per questo la Grecia ha deciso di chiedere l’aiuto promesso dall’Europa. Non può più farcela da sola.
I margini per evitare un ripudio del debito pubblico greco sono stati fin dall’inizio molto ristretti, Ma adesso è diventata una vera e propria corsa contro il tempo. Questione di giorni non più di mesi. Quando si attraversa una crisi di liquidità non basta più assicurare i mercati sul fatto che ci sarà un intervento esterno. Bisogna che questo intervento si manifesti subito, fornisca prestiti a condizioni meno onerose per evitare che la Grecia si metta su di una spirale esplosiva. Accanto alla fuga dai titoli nelle ultime settimane si è tra l’altro generata anche una fuga dai depositi bancari, con capitali frettolosamente trasferiti all’estero nel timore di un’uscita della Grecia dall’euro.
L’aggravarsi della crisi ha fatto lievitare i costi del salvataggio. Fin quando la Grecia pagava il 6 per cento sul debito pubblico, fino a un mese fa, l’Europa poteva limitarsi a fornire prestiti con agevolazioni del 3 per cento sui tassi di interesse del mercato. Avrebbe comportato al massimo un sussidio pari all’uno per mille del prodotto interno lordo dell’unione monetaria. Coi tassi di mercato attuali, il costo dell’operazione di salvataggio è quasi raddoppiato.
Di fronte alla richiesta esplicita del Governo greco, l’Europa sta però dimostrando in queste ore che l’aiuto europeo era poco più di una promessa. Come riferito in altre pagine di questo giornale, la Germania vuole aspettare il dopo elezioni e poi ci vorranno comunque altri 10 giorni prima di rendere il prestito operativo. Da qui al 19 maggio sono previste emissioni per 9 miliardi di titoli greci, circa tre punti e mezzo di pil. Certo, è difficile per la Merkel convincere i propri concittadini ad aiutare un paese che ha sistematicamente truccato i conti pubblici. Ma gli stessi cittadini non saranno oggi contenti di sapere che dovranno alla fine pagare un conto ancora più salato di quello che avrebbero trovato sul piatto nel caso di un intervento più tempestivo. Erano stati adeguatamente informati di questo rischio? Legittimo nutrire qualche dubbio.
Il nostro paese deve ora prepararsi ad uno scenario in cui lo scudo dell’Euro sarà sempre più tenue. Uno scudo di vetro ora che il Re è Nudo. Per rassicurare i mercati il nostro Paese dovrà ora convincerli che può tornare a crescere, condizione fondamentale per stabilizzare il debito pubblico. Non basta tenere stretti i cordoni della borsa. Bisogna far sì che le previsioni del Fondo Monetario sulla crescita italiana non si avverino. Implicano che il nostro debito salirà a livelli greci (125 per cento del prodotto interno lordo) nel 2015. All’obiettivo di tornare a crescere bisognerebbe consacrare oggi ogni attenzione. Invece si litiga su come redistribuire le sempre minori risorse disponibili fra Nord e Sud.
La Repubblica 27.04.10