Nelle classifiche Inail non ci sono tutte le mansioni. E le categorie escluse non incidono sulle statistiche. Probabilmente è l´unico effetto positivo della crisi economica, ma le cifre lasciano pochi dubbi: con la caduta dell´occupazione sono diminuiti anche gli incidenti e le morti sul lavoro. I bilanci, a guardare i dati Inail del primo semestre 2009, sono impressionanti. Sessantaseimila incidenti e otto morti al mese: la media è questa. Eppure, la statistica dice che “la tendenza è positiva”. Un´affermazione che sulla carta è inattaccabile, visto che gli eventi traumatici conteggiati sono diminuiti. Ma resta il fatto che non tutti gli infortuni vengono denunciati e che l´Inail non copre tutte le categorie professionali. I dati ufficiali, dunque, non bastano denuncia l´Inca, patronato della Cgil che si occupa di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Restando alla statistica, fra gennaio e giugno del 2008 ci sono stati 444.958 infortuni, nel primo semestre del 2009 sono scesi a 397.980, il 10,6 per cento in meno. Le morti sono passate da 558 a 490, meno 12,2 per cento. Fra qualche settimana l´Inail presenterà il rapporto sull´intero 2009, ma l´istituto già anticipa che la tendenza in netto calo è confermata, anche se – avverte – le cifre vanno corrette pensando agli effetti generati dalla crisi economica. Insomma, si ammette, per avere un quadro completo della situazione da una parte bisognerebbe “togliere”, dall´altra “sommare”. Va infatti tenuto conto che quando si parla di numeri forniti dall´istituto per l´assicurazione pubblica ci si riferisce a casi denunciati dal lavoratore o dal datore di lavoro, e che dal totale resta inevitabilmente fuori un´ampia fetta di economia in nero che tace, ma pesa per circa il 20 per cento.
Nei primi sei mesi dell´anno – ricorda l´analisi che accompagna il bilancio Inail – l´occupazione è diminuita dello 0,9 per cento fra gennaio e marzo e di un altro 1,6 per cento fra aprile e giugno. La produzione è calata del 20 per cento, la cassa integrazione è volata: più gente a casa, meno presenze e rischi in fabbrica. «Facendo le dovute proiezioni possiamo dire che una quota da 5 a 6 punti percentuali del calo è da attribuire alla crisi» spiega Franco D´Amico,coordinatore generale della statistica Inail. Ciò non vuol dire, precisa, che la tendenza al ribasso sia falsata: «Da anni assistiamo ad un calo costante delle morti e degli incidenti». Per fortuna, assicura D´Amico «siamo lontani dalle catastrofi del passato: nel 1963, in pieno boom economico, ci fu un picco storico di 4.884 morti».
Le cose quindi vanno meglio? Non è detto, sostiene l´Inca, l´andamento non è così definitivo. «Spesso gli infortuni non vengono denunciati e i datori di lavoro, temendo un aumento dei premi assicurativi, cercano di farli passare per incidenti comuni» dice Franca Gasparri del collegio di presidenza. «Per altro la situazione è ulteriormente peggiorata con la crisi economica e la frammentazione del mercato del lavoro, sempre più caratterizzata da rapporti di lavoro atipici e dal crescente fenomeno del sommerso».
Le classifiche dell´Inail inoltre, specifica il sindacato, non coprono l´universo delle mansioni possibili. Dai registri, per esempio, sono esclusi i lavoratori del settore marittimo – i cui dati vengono raccolti dall´Ipsema – ma anche i militari, i vigili del fuoco, la polizia. Ampie fette del mondo del lavoro che purtroppo non sono immuni da incidenti e morti, ma i cui dati semplicemente non confluiscono nel conto.
Correzioni vanno effettuate, secondo il patronato, anche passando dagli infortuni alla malattia professionale (30mila casi denunciati nel 2008). Va tenuto conto di una quota “silente”, rappresentata dai danni alla salute causati al lavoro, ma non presentati come tali. «In questo caso – precisa la Gasparri dell´Inca – dovremmo considerare un altro 30 per cento di malattie legate alle mansioni professionali nascoste o perché di lieve entità, o perchè considerate per comodità comuni». Altri dati parziali sono quelli riguardanti i tumori: le classifiche europee stimano che una quota fra il 4 e l´8 per cento di questa malattia sia legata a cause professionali, ma il medico che segue le cure – spiega l´Inca – difficilmente indaga sul mestiere svolto e risale alla causa che ha generato il cancro.
Puntualizzazioni che l´Inail in parte fa sue, specialmente riguardo al lavoro nero. «Basandoci su dati Istat e quindi sulla stima di 3 milioni di lavoratori irregolari presenti in Italia, e applicando a questa gli indici di frequenza, possiamo dire che ogni anno ci sono altri 180 mila infortuni di media e bassa entità non denunciati» conferma Franco D´Amico. Gli incidenti gravi o mortali non si possono per fortuna nascondere, almeno si spera.Quanto alle malattie professionali, segnala l´Inail, il fenomeno è in progressione: nel 2009 sono stati certificati quasi 30mila casi, in gran parte legati alla sordità provocata dall´eccessivo rumore nei luoghi di lavoro, ma in veloce espansione risultano tendiniti e mal di schiena.
La Repubblica 27.04.10
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“Dall´Ilva a Monfalcone morire per la busta paga”, di Federico Pace
Grandi tragedie e battaglie recenti per il diritto alla salute. Nella punta più estrema del Friuli Venezia Giulia si stima che l´amianto abbia ucciso almeno novecento persone che costruiscono navi. Nel distretto calzaturiero di Fermo lavorano molte donne. Fanno tacchi, tomaie, cuciono. E soffrono di patologie muscolo-scheletriche. Perdere la salute. Ammalarsi. Morire per una busta paga. Il lavoro può essere un calvario doloroso. Troppe volte nascosto, celato e negato. Alcune battaglie provano a rompere il silenzio e dare, almeno, lenimento. Alla fine di marzo di quest´anno, il gup del tribunale di Taranto Pompeo Carriere ha rinviato a giudizio 19 ex dirigenti dello stabilimento Ilva per la morte per cancro di trenta lavoratori. Un primo, importantissimo, approdo per un´indagine che ha preso in analisi un periodo che va dagli anni ´60 fino al 1995 di una delle più grandi tragedie italiane del lavoro. Il dramma della diossina che ha sconvolto Taranto chiama in causa il top management dell´industria siderurgica. «I capi d´imputazione – spiega Massimiliano Del Vecchio, avvocato della Fiom nazionale e coordinatore regionale dell´avvocatura dell´Inca Cigl – sono quelli del disastro ambientale, omicidio colposo plurimo aggravato da futili motivi determinati dal profitto e omissione colposa di cautela anti-infortunistica». Nel decreto del rinvio a giudizio l´aspetto economico viene, per la prima volta, ritenuto insignificante rispetto alla salute dei lavoratori. Il processo prova come il sindacato possa costituirsi, di per sé, parte civile lesa per il reato commesso ai danni dei lavoratori. Uomini e donne che hanno subìto ferite incalcolabili perché, come sostiene il pm Italo Pesiri, i dirigenti avrebbero omesso di informarli dei rischi che correvano. Il processo inizierà a giugno e Del Vecchio, oltre a ricordare come gli imputati siano innocenti fino a sentenza definitiva, spiega che si deve fare presto, non più di un anno e mezzo, perché «altrimenti si rischia la prescrizione».
Da un´altra parte d´Italia, lì dove un altro mare bagna un´altra costa, si è sofferto altrettanto. A Monfalcone, nella punta più estrema del Friuli Venezia Giulia, c´è un´altra dolente storia di gente che ha dato la vita per costruire navi. Qui, l´amianto si stima abbia ucciso almeno novecento persone. Il 1° dicembre 2009, al tribunale di Gorizia, è iniziato il processo per omicidio colposo dove sono imputati 21 ex dirigenti dei cantieri e il giudice monocratico Emanuela Bigattin lo ha unificato con un altro processo per decesso degli operai. Per molti lavoratori è stato già riconosciuto il legame tra l´esposizione all´amianto e le malattie. Ricevono un´indennità dall´Inail, ma è molto poco. L´Inca ha avviato da pochi mesi le richieste per il riconoscimento del danno differenziale, ovvero il risarcimento di quanto subìto a livello globale dalla persona. «A oggi – racconta Elena Novelli dell´Inca di Monfalcone – abbiamo avviato 420 procedure. L´obiettivo è quello di arrivare a tutelare almeno mille persone. Ne contattiamo tutti i giorni ed è un´esperienza molto dolorosa. Persone con la patologia delle placche pleuriche che sanno che da un momento all´altro, con una semplice influenza, si può scatenare l´inferno». Persone che hanno lavorato in Fincantieri, Ansaldo, l´Ente porto, la compagnia portuale, l´Enel ex Endesa, e tutte quelle piccole ditte private che ora non esistono più. «Sono persone – prosegue Novelli – che hanno respirato l´amianto per 40 anni, ora si sono ammalate e non hanno ricevuto niente».
Meno drammatiche ma altrettanto importanti sono le storie di chi si trova ad affrontare malattie professionali senza che qualcuno glielo abbia mai detto. Nel distretto calzaturiero di Fermo nelle Marche si lavora, soprattutto donne, in grandi imprese ma anche in piccolissimi laboratori. Fanno tacchi, tomaie e cuciono. L´Inca in collaborazione con la Filtea ha distribuito qualche centinaio di questionari e ha scoperto i primi casi di patologie. È bastato questo per fare più di cento denunce di malattia professionale di cui una sessantina già riconosciute dall´Inail. «Abbiamo riscontrato malattie muscolo-scheletriche – spiega Valerio Zanellato, coordinatore area danno alla persona di Inca Cgil – la gente è costretta a velocizzare troppo il lavoro e i movimenti con le mani, i gomiti e le spalle sono talmente tanti e tali che nel giro di pochi anni si può attivare la patologia invalidante». Anche in questo caso il male che produce il lavoro pare dover superare un muro molto spesso. «Sorprende che siamo dovuti arrivare noi – lamenta Zanellato – con buona pace dell´Asl e soprattutto dei medici di base. Ci sono centinaia di medici che non solo verificavano queste tecnopatie. Ordinavano e prescrivevano le operazioni senza fare le segnalazioni di malattie professionali». La sensazione è che, in Italia, molto ancora ci sia da scoprire e da far sapere.
La Repubblica 27.04.10