Mentre a San Benedetto del Tronto, Pantaleo, segretario nazionale della Cgil scuola-ricerca-università che celebrava il II congresso, auspicava per uscire dalla crisi di “investire sulla conoscenza almeno il 2% del pil, stabilizzando i precari, aprendo a un piano di reclutamento pluriennale”; mentre a Roma, come in molte città italiane, il Coordinamento delle scuole superiori e i precari organizzavano la manifestazione che sabato ha sfilato per le vie del centro, facendo registrare numerosissime e significative adesioni, e raggiungendo al termine quella di Emergency; mentre i quotidiani cominciano a registrare massicciamente (e a comunicare tardivamente) lo stato di sofferenza profonda in cui si dibattono le scuole, gli imperterriti strateghi della “semplificazione” e della “razionalizzazione” (leggi tagli diffusi e falcidia di posti di lavoro e di conoscenza) emanavano la circolare sugli organici della scuola per il settembre 2010. Confermate le più tristi previsioni, peraltro agevoli da fare, considerando che è tutto scritto nella Finanziaria 2008 di Tremonti. Scuola primaria: 8711 posti in meno; secondaria di I grado, 3661; superiore: 13746; personale Ata: 15000. Non una cabala, ma 41118 persone a spasso. Donne e uomini. Con figli e senza. Con progetti, investimenti, dignità da tutelare, tutti. E non è finita.
La riduzione di 140.000 posti entro l’anno scolastico 2011-12 riguarda i docenti di tutte le discipline, tranne i 15.000 di ruolo e i 10.000 “precari” di IRC (Religione Cattolica). L’anomalia è tanto più grave, poiché riguarda personale pagato dallo Stato, ma subordinato – in termini di operato e di contenuti – alla gerarchia cattolica, che lo abilita, inserisce e rimuove, secondo le norme del diritto canonico. Il privilegio dell’intoccabilità implica che l’insegnamento confessionale partecipi in percentuale maggiore di prima al monte ore generale, che ha subito tagli per tutte le altre materie; alla faccia della laicità della scuola pubblica. Ogni anno il governo, con la complicità di media disinformati, ci redarguisce sul fatto che in Italia il numero di alunni per docente è più basso che nella media europea. Questa litania generalmente prelude a politiche di contrazione degli organici e anche in questo caso ha tentato di giustificare la mattanza, ma omette volontariamente alcuni dati.
Innanzitutto il fatto che molti Paesi di area Ue non prevedono parametri nella definizione del rapporto docente/alunni, mentre da noi – praticamente in ogni Finanziaria – si aumenta la quota di alunni per classe, disattendendo una serie di norme, a cominciare da quelle sulla sicurezza di aule stracolme. La variabile degli insegnanti di religione cattolica – che esistono anche in altri Paesi, ma che non sono a carico delle spese per l’istruzione, alla stregua degli altri e non beneficiano, come da noi, di trattamenti vantaggiosi – non viene citata.
Ad influire sul rapporto numerico alunni-docente c’è poi la peculiarità del sostegno; il nostro Paese gode di una legge sull’integrazione della diversabilità all’avanguardia in Europa – dove spesso ancora esistono le scuole speciali. Invece che essere considerata acquisizione di civiltà, la norma viene ridotta ad arma per dimostrare l’eccesso di insegnanti in Italia. Per fortuna il 22 febbraio la Consulta ha valutato incostituzionali (le violazioni sono “in contrasto con i valori di solidarietà collettiva nei confronti dei disabili gravi”, ne impediscono “il pieno sviluppo, la loro effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese” e introducono “un regime discriminatorio illogico e irrazionale che non tiene conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sul nucleo minimo dei loro diritti”) i tagli sui posti di sostegno intervenuti negli ultimi due anni.
La Corte ha poi indirizzato Stato ed enti locali ad investire maggiori risorse, perché gli alunni disabili possano avere identiche opportunità formative rispetto agli altri, rimuovendo gli ostacoli che si oppongono al diritto all’apprendimento di qualità garantito ad ogni individuo. La domanda che una parte del mondo della scuola continua – inascoltata – a rivolgere a una parte del mondo della politica e delle amministrazioni locali è: cosa aspettate? Cosa aspettate, davanti a questi tagli, davanti a queste circostanze, davanti allo scempio della scuola della Repubblica, di cui siete parte istituzionale, a fare davvero qualcosa?
Da il Fatto Quotidiano del 18 aprile2010
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