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"Ma le quote di genere funzionano", di Maria De Paola e Vincenzo Scoppa

Sono poche le donne elette in Parlamento e nelle amministrazioni locali. Per ovviarvi molti paesi hanno introdotto quote di genere. Anche in Italia sono state in vigore per un breve periodo. Con quali effetti? La percentuale di seggi occupati da donne nei consigli comunali è cresciuta dal 7,6 al 18,4 per cento. Un andamento confermato anche dopo l’abolizione della norma. E le elette sono più istruite dei colleghi maschi.

Nelle elezioni regionali del 28-29 marzo 2010 sono state elette come consiglieri regionali solo 82 donne su 699 seggi, appena l’11,7 per cento. Nei consigli regionali di Calabria e Basilicata non siederà nemmeno una donna. Risultati leggermente migliori si registrano in Campania e in Toscana, grazie a leggi elettorali che garantiscono una certa rappresentanza femminile. Non va meglio a livello nazionale: la percentuale di donne elette al Parlamento nel 2006 è pari al 17,6 per cento. La debole rappresentanza femminile nello scenario politico non è una realtà solo italiana: a livello mondiale nel 2006 le donne costituivano meno del 17 per cento di tutti i parlamentari (Unicef, 2007).

EFFETTO QUOTE

La scarsa presenza di donne in politica può essere dovuta a diversi fattori. Le donne potrebbero essere discriminate dai partiti, oppure non godere del favore degli elettori, o essere scoraggiate da norme sociali che impongono ancora una forte separazione di ruoli tra i generi.
Per far fronte al grave squilibrio nella rappresentanza politica molti paesi hanno introdotto sistemi di quote a favore delle donne. In alcuni sistemi elettorali una percentuale minima di candidature è riservata alle donne, mentre in altri si assegna loro una certa percentuale di seggi.
Nonostante la diffusa adozione delle quote di genere a livello internazionale, l’effetto che queste norme producono sul superamento di tradizionali divisioni di ruolo e di stereotipi negativi relativi alle capacità delle donne in politica è stato poco studiato.
È in genere molto difficile riuscire a valutare in maniera rigorosa gli effetti prodotti dall’introduzione delle quote di genere e a distinguerli da altri fattori “confondenti” che possono essere collegate alle quote. Ad esempio, se un paese registra un aumento della rappresentanza femminile in seguito all’introduzione delle quote di genere, non si può escludere che questo sia il frutto di un’evoluzione sociale e culturale che si sarebbe verificata anche in assenza dell’intervento legislativo. Inoltre, quando il sistema delle quote diventa un fattore istituzionale permanente è difficile distinguere gli effetti che sono direttamente legati all’applicazione della legge dall’impatto che essa produce sull’eliminazione di pregiudizi relativamente alla capacità delle donne di fare politica.

DONNE E POLITICA IN ITALIA

Per un breve periodo di tempo, in Italia sono state in vigore quote di genere per le elezioni amministrative: la legge 81 del 25 marzo 1993 riservava alle donne una certa percentuale di candidature nelle liste elettorali. La norma è stata poi abolita con sentenza della Corte costituzionale nel settembre 1995. La circostanza ci permette di superare i problemi indicati sopra e possiamo così cercare di valutare l’impatto delle quote nel nostro paese. (1)
La norma sulle quote di genere infatti ha regolato solo le elezioni comunali tenutesi nel nostro paese dall’aprile 1993 al settembre 1995: un periodo breve, nel quale non tutti i comuni italiani sono andati al voto: con il sistema delle quote hanno votato 7.716 i comuni, mentre 389 comuni non lo hanno mai fatto.
Sfruttando questa distinzione “casuale”, è possibile cercare di capire se i comuni che sono stati interessati dalle quote di genere hanno registrato negli anni successivi alla loro abolizione una maggiore partecipazione femminile alla politica rispetto agli altri.
Come mostra la tabella, che utilizza i dati forniti dal ministero dell’Interno sugli amministratori locali di tutti i comuni italiani eletti dal 1985 al 2007, prima del 1993 i consigli comunali erano dominati da una forte presenza maschile, con una rappresentanza femminile del 7,6 per cento e del 6,2 per cento, rispettivamente, per i comuni che poi hanno votato con le quote di genere e per gli altri.
Durante il periodo che ha visto in vigore le quote (aprile 1993 – settembre 1995), si osserva un forte incremento nella rappresentanza femminile: la percentuale di seggi occupati da donne nei consigli comunali è cresciuta dal 7,6 al 18,4 per cento.
Nel periodo successivo all’abolizione delle quote (1996-2007), nei comuni che avevano votato con le quote di genere la percentuale di donne elette nelle amministrazioni comunali (16,2 per cento) si è mantenuta più o meno allo stesso livello raggiunto quando le quote erano in vigore. Per i comuni che non hanno mai votato con questo sistema, la percentuale di donne elette raggiunge il 13,6 per cento nel periodo 1996-2007.
Pertanto, i dati mostrano che, nonostante un trend generale di crescita della rappresentanza femminile, nei comuni interessati dalle quote di genere la percentuale di donne elette è cresciuta di più rispetto a quanto avvenuto nei comuni che non hanno utilizzato questo sistema.

Questi risultati trovano conferma in una analisi econometrica più sofisticata, che consente di tenere conto di una serie di altri fattori che potrebbero influenzare la partecipazione femminile in politica: popolazione comunale, livello di istruzione, tasso di occupazione, localizzazione geografica del comune e altro.

PIÙ IMPEGNO PER GLI STESSI RISULTATI

Dalle stime emerge che le quote di genere hanno prodotto un effetto positivo e persistente sulla rappresentanza delle donne in politica, dando supporto all’idea che questo tipo di intervento può essere usato efficacemente come strumento transitorio per cambiare norme sociali che impongono alle donne ruoli tradizionali e riequilibrare così la condizione di squilibrio fra la presenza femminile e quella maschile nel sistema politico italiano.
Il timore che le donne possano ricoprire incarichi politici in virtù delle quote e non in relazione alle proprie capacità ci sembra scarsamente fondato. Dall’analisi dei dati relativi agli amministratori locali emerge che le donne presenti nei consigli comunali sono caratterizzate da un più alto livello di istruzione rispetto ai colleghi maschi. Anche durante l’applicazione delle quote, nonostante l’aumento osservato nella rappresentanza femminile, le donne elette continuano a essere più istruite degli uomini. Ciò sembrerebbe confermare quanto emerge in molti altri contesti: le donne fanno più fatica a conseguire i risultati ottenuti dagli uomini e quando li raggiungono, spesso è grazie a un impegno maggiore.

(1) Si veda De Paola, M., Scoppa, V., Lombardo, R., “Can Gender Quotas Break Down Negative Stereotypes? Evidence from Changes in Electoral Rules”, Journal of Public Economics, 2010, forthcoming.

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