«Ci son momenti in cui un leader deve avere il coraggio di osare, di aprire un processo di innovazione politica, di compiere gli strappi necessari. Il momento è questo: a Bersani chiedo soprattutto di avere coraggio». Piero Passino è stato alle primarie uno dei principali sostenitori di Franceschini. Ma ora dice che «il segretario è Bersani» e che sarebbe un «grave errore» rimettere in discussione la leadership. Fassino riprende anche la metafora del «Papa straniero» per il centrosinistra: «Bersani faccia il Papa e trovi la forza di convocare un Concilio. Se non avrà paura di mettersi in cammino, vedrà che saranno in molti a condividere». E poi apprezza le riflessioni di Prodi al Messaggero: «Il partito nuovo va costruito valorizzando i territori e selezionando i gruppi dirigenti sulla base del merito e delle capacità non è possibile che il coordinamento politico resti così romano-centrico e che personalità come Chiamparino, Renzi, Rossi, Spacca o Brivio, il nuovo sindaco di Lecco, non siano parte del gruppo dirigente».
Onorevole Fassino, qual è la sua ailalisi del voto?
«Alle elezioni chiedevamo di verificare se ci fossero da un lato segni di declino del centrodestra, dall’altro potenzialità di ripresa del Pd. Ma la fotografia del voto è stata negativa. ll Pdl ha perso molti elettori evidenziando una perdita di credibilità di Berlusconi. Il successo della Lega però ha trainato il centrodestra alla vittoria nel Nord. E ciò che pùi è grave per noi il Pd non è stato percepito come un’altemativa. Nonostante la crisi di Berlusconi, il Pd non si muove dalle percentuali di un anno fa e non intercetta quella domanda forte di cambiamento della politica che si è invece indirizzata nell’astensione, nel voto alla Lega e a Grillo».
Marcare il giudizio negativo sul voto è in genere la premessa di un attacco al segretario.
«Non è il mio caso. E l’ho dimostrato in questi mesi. Ma credo che a Bersani faccia bene non chiudersi in difesa e affrontare senza minimizzare le difficoltà che questo voto ci pone davanti. Solo due anni fa guidavamo 16 Regioni su 20. Ora ne governiamo otto e al Sud come al Nord rischiamo la marginalità. Certo, il voto conferma il Pd come interprete della speranza di milioni di italiani, ma anche che il partito ha bisogno di una radicale innovazione».
Da dove iniziare? Dalla proposta di governo o dalla ristrutturazione del partito?
«Le cose si tengono. Tre sono le scelte di fondo davanti a noi. La prima è un progetto per l’italia. Non basta riproporre le cose buone fatte dai nostri governi. Va affrontato con nuova energia e nuovi linguaggi il tema del lavoro, in modo da tenere insieme il giovane precario e l’artigiano colpito dalla crisi. Dobbiamo parlare di tasse, proponendo tagli e sgravi per chi lavora e chi investe. Dobbiamo fare i conti con l’immigrazione, non per rincorrere la Lega ma per sconfiggere le paure che suscita. E dobbiamo lanciare messaggi ai figli, alle generazioni future».
Il programma prima di tutto.
«Non solo. Il Pd deve sapercostruire anche una sua proposta di sistema politico. Una proposta fondata da un lato su una nuova legge elettorale che consolidi il bipolarismo e restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i parlamentari, dall’altro su un rapporto più equilibrato tra governo e Parlamento».
Secondo lei il Pd deve contrastare il presidenzialismo?
«La nostra proposta è la bozza Violante. Se ce ne sono altre vengano avanti ma siano credibili e serie. Per ora presidenzialismo è una parola a cui persino nel centrodestra si danno significati divers».
Ma è sulla struttura del partito che si concentra buona parte della polemica intera «È la terza grande scelta da compiere. Abbiamo fondato il partito nuovo, ora il partito nuovo va costituito. Non è possibile che a prevalere siano i personalismi locali, che le campagne elettorali siano affidate esclusivamente ai comitati dei candidati, che le antenne nella società si abbassino a tal punto da non captare i consensi per Grillo».
Prodi ha suggerito di dare al Pd una strutturaf ederale e di rinnovare così il gruppo dirigente.
«Quella di Prodi è una suggestine utile. Se lo Stato assume sempre più un assetto federale, sarebbe una contraddizinne fare un Pd centralista. Peraltro valorizzare il territorio è condizione di un radicamento. Radicare e innovare: è questo il coraggio che chiedo a Bersani, conoscendolo da tempo come persona dotata di concretezza. L’autoreferenzialità è una deriva pericolosa. Non so se serve un Papa straniero, intanto Bersani faccia il Papa ma certo i cardinali non possono essere sempre gli stessi: è tempo di far avanzare nuovi chirici».
È l’opinione di tutta la minoranza di Area democratica?
«Se Bersani imboccherà la strada dell’innovazione, se chiamerà tutti alla collaborazione, saranno in tanti a condividere. Area democratica non vuole rimettere in discussione gli equilibri del congresso. E d’altra parte in questi mesi noi della minoranza siamo stati leali e non ci siamo sottratti a responsabilità comuni. Ma proprio per questo chiedo a Bersani di non blindarsi».
Il Messaggero 14.04.10
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