Due argomenti ci possono aiutare nella lettura del voto regionale di cui si discute anche nel dibattito aperto da l’Unità : non è chiara ai cittadini l’identità profonda del Partito Democratico; manca un adeguato radicamento sociale dell’organizzazione-partito. Le identità del passato hanno ancora un peso eccessivo (e taluni si ostinano a difenderle caparbiamente). Così si indeboliscoe la costruzione dell’identità nuova del Pd, unitaria anche se plurima, espressione di una visione unificante della società. I cittadini percepiscono tutto ciò, e per questo motivo stentano a riconoscere chi siamo. In effetti, il Pd rischia di apparire (o essere?) poco moderno, antiglobale, tecnofobo, gergale, troppo rituale, troppo politicista. Siamo abituati a spiegare e a giudicare quel che accade rivolgendoci solo alla società politica che è sempre più lontana dai cittadini e dalle loro vite.
Due esempi, macroscopici, riferiti a temi centrali per il Pd (non certo gli unici, ma per me fondamentali). Primo esempio: qualche giorno fa, durata lo spazio di un mattino, è apparsa e scomparsa sui media una notizia orribile: si è negato il pasto nella mensa di una scuola a dei bambini a causa del colore della loro pelle. Nella patria della “brava gente” si è verificato un fatto infame. Enorme. Può il Pd reagire “politicamente” delegando l’indignazione in un comunicato per le agenzie di stampa, in due righe due su un quotidiano e, se proprio va bene, in una dichiarazione di dieci secondi in un tg o in un giornale radio? Non merita questo episodio di barbarie che si costruiscano iniziative, reazioni, risposte, denunce, solidarietà? Veri e propri eventi che giungano all’opinione pubblica? Il Pd è con i bambini, con la civiltà e l’umanità, tangibilmente.
Secondo esempio: sento dire – e sono assolutamente d’accordo – che il Pd è il partito del lavoro. Dirlo, sì. Ma ciò significa combattere le morti in fabbrica e nei cantieri, lottare contro la disoccupazione, contro la precarietà con continuità ed efficacia. Ma questo non può bastare. Il tema, oggi, è nuovo: il lavoro, i lavori non possono essere separati dal sapere. Il lavoro è e sarà sempre più innovazione permanente. È tutt’uno con il sapere, con le idee. Non c’è iato tra fatica lavorativa e sapere. Nella tradizione socialista ciò non era così chiaro perché diritto al lavoro e diritto al sapere erano tra loro separati. Oggi non possono esserlo più.
Ecco, credo che il Pd ancora non abbia fatta propria l’idea che la società della conoscenza è quella dove tutti imparano, tutti devono sapere di più. Siamo consapevoli che per questo occorre una scuola completamente nuova? Non credo. Noi non stiamo cercando una nuova scuola. Tutto il mondo politico ripete da decenni che l’istruzione è una priorità. Sterile tiritera smascherata quando si fanno i conti di bilancio che penalizzano sempre l’education . Occorre un nuovo modello educativo, una scuola aperta tutto il giorno, tutto l’anno, per tutta la vita. (Ne parliamo nella nuova rivista digitale educationduepuntozero.it e nel suo prossimo seminario a Firenze, il 23 aprile). Una scuola dove non si trasmettono dall’alto nozioni e informazioni, ma dove si conquista il sapere. Cattedre, banchi, orari sono suppellettili da sostituire. Per imparare non basta ascoltare, occorre parlare, provare, sperimentare.
In tutto il mondo evoluto i giovani arrivano alla fine della scuola secondaria. Parliamo del “miracolo indiano” ma qualcuno sa che nel 2003 i bambini iscritti alle elementari in India erano meno di 60 milioni e l’anno scorso sono stati 192 milioni?
Una scuola per tutti che cura le eccellenze e fa crescere tutti. Una rivoluzione. Tutti devono poter imparare (capaci e meno capaci), tutti devono concorrere al merito e non solo pochi. Nella società della conoscenza il sapere è il petrolio del futuro. Ma non basta la nozione. Sapere significa capire, e per questo occorre sollecitare la curiosità oggi mortificata da una opprimente rigidità. Se parlo della scuola è perché essa è centrale in una società fondata sulla conoscenza: perché è molla del suo sviluppo, ma anche perché vi trovano il giusto equilibrio libertà ed eguaglianza. Oggi è il sapere che rende liberi, e uguali. Chi non sa delega. Scuola, sapere, innovazione, lavoro: un unicum . Lavoro è quindi professione sempre più qualificata. E deve essere piena occupazione, che è vera libertà. Non è libero il precario che elemosina un lavoro. E chi sa è più forte nel mercato del lavoro.
Credo fermamente che il Partito democratico sia nato per centrare l’obiettivo della società della conoscenza non a parole, ma con i fatti. Capace di fondere sapere e lavoro. Costruiamo idealmente e concretamente questa identità. Così i cittadini saranno in grado di riconoscere chi siamo e cosa vogliamo e troveremo meglio le alleanze necessarie. E non dovremo temere le astensioni.
L’Unità 14.04.10