Leggendo l’intervista rilasciata ieri a La Stampa dall’onorevole La Russa verrebbe da chiedersi con il poeta: che anno è, che giorno è? Il ministro della Difesa rispolvera gli interminabili Anni Settanta per informarci che anche Gino Strada potrebbe aver allevato nel suo seno degli infiltrati «come accadde al Pci con le Br e al Msi coi Nar», trattando Emergency alla stregua di un partito, diviso in frange più o meno estremiste. Non vi è dubbio che le responsabilità dei tre italiani fermati in Afghanistan andranno accertate e nel caso punite, ma è inaccettabile la tentazione di trattare questa vicenda come se fosse una questione di politica interna. Nel compilare il proprio autoelogio, il ministro ricorda i tanti «esponenti di sinistra che abbiamo salvato negli scenari di guerra». E non allude a un parlamentare del Pd strappato ai talebani o a un banchiere delle cooperative rosse preso in ostaggio dai pashtun. Intende riferirsi a giornalisti, medici, pacifisti: tutta gente che nelle zone di guerra ci va per vocazione o per mestiere, certo non per conto di uno schieramento politico. Solo da noi un cittadino all’estero viene considerato dal suo governo un «esponente» di destra o di sinistra, invece che semplicemente un connazionale da tutelare.
Pensate al presidente americano più ideologico degli ultimi tempi, il repubblicano Bush. Bene, nemmeno lui si è mai vantato di aver salvato dei democratici, ma sempre e soltanto degli americani. Da dove nasce questo bisogno tutto italiano di catalogare le persone in base alle appartenenze ideologiche? Destri-sinistri, rossi-neri, guelfi-ghibellini. Il nostro eterno bipolarismo da bar sport, incomprensibile al di là di Chiasso. Incomprensibile e drammaticamente provinciale. Sintomo di un Paese appeso al suo stesso ombelico, che osserva il mondo dal pertugio dei propri interessi di bottega e riduce i drammi planetari alle dimensioni del cortile di casa.
Se il riferimento continuo agli anni di piombo testimonia l’immaturità di una classe dirigente che non riesce a scrostarsi di dosso i fantasmi giovanili, l’atteggiamento che La Russa e in parte Frattini hanno tenuto nei confronti della vicenda di Emergency testimonia ancora una volta l’assenza di uno spirito nazionale autentico e condiviso. Di fronte a una crisi, la reazione istintiva è stata di schierarsi dalla parte delle proprie alleanze (il governo afghano) e non dei propri connazionali. Anche la sinistra, sia chiaro, tende a comportarsi alla stessa maniera. Ricordiamo ancora i commenti salaci con cui fu accolto in certi ambienti il sacrificio di Quattrocchi – il «body guard» rapito e ucciso in Iraq – considerato un fascista e un mercenario immeritevole di pubblici onori. A sei anni dalla morte, oggi Quattrocchi sarà commemorato nella sua Genova, ma il Comune guidato dal Pd ha preteso di far pagare l’affitto della sala.
Mai come in questo campo c’è una sintonia assoluta fra la Casta e il Paese reale. Tranne un mese ogni quattro anni, durante i campionati del mondo di calcio (e a patto che si vincano), l’italiano non si sente membro di una Nazione, ma di un clan: familiare, affettivo, politico. Però vale qui lo stesso discorso fatto a proposito della corruzione: dai politici ci aspetteremmo che dessero il buon esempio, non che esaltassero con la forza del loro ruolo la «mala educación» generale.
La Stampa 13.04.10