La tensione, avvertita ma latente, tra il Quirinale e Palazzo Chigi, finora rivelata in modo strumentale essenzialmente nei resoconti governativi, sta venendo fuori. E dal Colle trapela l’irritazione per quella che viene considerata, con preoccupazione, una falsa partenza della tanto decantata stagione della tregua e delle riforme.
Il presidente del Consiglio, incassati i risultati delle regionali, più volte ha dichiarato il suo impegno ad usare i prossimi tre anni, liberi da consultazioni nazionali, per approvare un pacchetto di riforme. Al premier interessa innanzitutto quella della giustizia, per i noti motivi, e, subito dopo, quella per aumentare i poteri del ruolo che ha in testa di andare a ricoprire finita l’attuale esperienza possibilmente investito direttamente dal popolo. Premierato, presidenzialismo. E’ tale l’ambizione da portarlo a contrapporsi ai precisi paletti che il presidente della Repubblica, anche in questi giorni, ha voluto mettere proprio a proposito delle priorità in tema di riforme. Napolitano a Verona ha invitato in modo esplicito ad applicarsi alle materie su cui il lavoro è già avviato, il compimento del federalismo innanzitutto, per cercare di portare il Paese fuori dalla crisi e a non andarsi a impelagare su altri argomenti, come quelli di una radicale revisione della forma di governo, su cui «negli ultimi anni non si sono però delineate soluzioni adeguate e praticabili».
Ma il premier l’invito non l’ha gradito. E, pur avendo sostenuto in un recente incontro al Colle di aver messo in agenda l’argomento solo «per fare un favore a Fini» essendo lui ben consapevole che «le priorità sono altre», in quel di Parma, davanti ai «colleghi» della Confindustria, si è esibito in un attacco frontale alle istituzioni di garanzia dello Stato, tutte, senza eccezione alcuna. Provocando la sdegnata reazione di Napolitano che ha chiamato il sottosegretario Letta, eterno parafulmine delle intemperanze verbali del premier, per comunicare tutta la sua sorpresa e indignazione, ricevendone immediate scuse. Finora solo le sue. Della vicenda ne ha riferito Eugenio Scalfari, forte delle confidenze di un autorevole amico intimo degli autorevoli personaggi al telefono, nel suo consueto editoriale della domenica.
I tempi La ricostruzione «temporalmente imperfetta», nella sostanza ripercorre l’iter degli ultimi scontri tra l’inquilino del Colle e quello di Palazzo Chigi che hanno portato alle scintille di queste ore. Gli episodi, dai primi di marzo ad andare in avanti, messi insieme danno il quadro esatto della situazione. Lo scontro, già noto, tra Napolitano e Berlusconi si verifica quando al presidente della Repubblica viene presentato un’inaccettabile stesura del decreto salva liste. In quella sede il premier mostrò già tutto il suo fastidio, riproposto poi a Parma, nei confronti «di quel controllo anche degli aggettivi» che il Capo dello Stato opera attraverso i suoi consiglieri. Gli stessi che vanno benissimo quando danno parere favorevole alla firma delle leggi e dei decreti. E non può essere che lavorino male solo quando il parere non è gradito. In quella sera di marzo si rischiò la possibilità che il decreto venisse presentato senza la firma di Napolitano. Poi si passò alla versione «interpretativa». E come si è andati avanti è noto. Berlusconi telefonò a Napolitano per chiedere scusa e poi, a elezioni concluse, il primo aprile, salì al Quirinale mostrando grande disponibilità sulle riforme che tanto stanno a cuore al Presidente nell’interesse del Paese che lui per primo rappresenta. In quell’occasione il premier ritenne ringraziò il suo interlocutore per aver annunciato la mancata firma alla legge sul lavoro solo ad urne chiuse. Nasce da questo comportamento discontinuo l’irritazione di Napolitano. E’ legata alla preoccupazione che non si lavori alle riforme. Che l’attacco frontale alle istituzioni, Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, Parlamento, magistratura, continui senza tregua. Tre anni sono troppi per reggere questa situazione. C’è il rischio di una pericolosa anticipazione, condizionata dai regolamenti di conti interni alla maggioranza e dai superpoteri che Berlusconi è convinto di avere. E di poter gestire.
L’Unità 11.04.10
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Bonaiuti: “La centrale di propaganda del Pd cerca di mascherare la verità la sinistra ha poca o nessuna voglia di confrontarsi sulle riforme
Nessuna reazione ieri, dopo il passaggio che Silvio Berlusconi ha dedicato alle riforme davanti alla platea di Confindustria. Iniziato con la lamentazione per i pochi poteri del governo rispetto al Parlamento, continuato con la promessa di una riforma fiscale e, in mezzo, le battute sulla sua insofferenza ai controlli sulle leggi della Consulta e del Quirinale. Parole non insistite ma che hanno creato stupore negli ambienti istituzionali e – come ha raccontato Eugenio Scalfari nel suo fondo domenicale su Repubblica – irritato Giorgio napolitano che ha chiamato Gianni Letta per protestare, ricevendone le scuse personali che sembrano non essere affato bastate al capo dello Stato.
E adesso, proprio sul punto delle garanzie, arriva l’attacco del Pd attraverso la capogruppo al senato Anna Finocchiaro: “Ieri il premier ha apertamente attaccato la Consulta e la presidenza della Repubblica, denunciando ancora una volta la filosofia che muove la sua volontà riformatrice. Questo Paese ha certo bisogno di riforme ma non di un potere senza controlli ed equilibri. È davvero difficile – dice la presidente del Pd a Palazzo Madama – pensare a un confronto con chi ha questa concezione della democrazia e delle Istituzioni”. Che nel merito contesta al presidente del Consiglio di proseguire con una politica di “annunci e alla confusione, sempre sulla base del suo tornaconto propagandistico. Però, quello che, nelle parole del premier, non cambia mai sono gli attacchi che egli sferra agli organi costituzionali e di garanzia”.
L’ultimo attacco, dicevamo, ieri in Confindustria: “Ogni provvedimento governativo ha detto – viene preliminarmente sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff che ne controlla addirittura gli aggettivi”. Parole che – rivela Scalfari nel fondo su Repubblica – arrivano alle orecchie di Napolitano che si fa chiamare Gianni Letta al telefono. Ricevendo di risposta un: “Non sapevo nulla. Ho udito anch’io. Le faccio le mie personali scuse”.
Nella ricostruzione di Scalfari la risposta del Presidente è stata: “Le scuse personali non risolvono la questione. Se non si trattasse del presidente del Consiglio ma di una qualunque altra persona dovrei dire che siamo in presenza di un bugiardo che dice una cosa al mattino e fa l’opposto la sera oppure d’una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi”.
Bonaiuti attacca la sinistra. Le critiche democratiche al premier seguite all’editoriale di Scalfari provocano la polemica reazione di Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. “La centrale di propaganda del Pd cerca di mascherare la verità: la sinistra ha poca o nessuna voglia di confrontarsi sulle riforme, perchè non riesce a trovare l’accordo tra le sue mille anime”.
La Repubblica 12.04.10