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«Che aria tira per la Scuola? Brutta direi!», di Mario Piemontese

Gli attacchi a volte sono frontali, in campo aperto, vedi per esempio il taglio di 132.000 posti di lavoro per risparmiare 8 miliardi con tutto quel che ne consegue: aule sovraffollate, meno tempo scuola, aumento della selezione e della dispersione, dequalificazione della scuola statale per favorire quella privata, in poche parole negazione del diritto allo studio. Altre volte sono meno evidenti, colpiscono ai fianchi se non alle spalle.

Proviamo a fare qualche esempio riferendoci ad avvenimenti recenti.

In una scuola elementare della provincia di Vicenza e in una della provincia di Brescia, ma è successo anche lo scorso anno in provincia di Milano, è stato negato il pranzo ai figli di chi non paga la mensa scolastica.

Se il tempo pieno fosse un diritto, fosse cioè per forza garantito a tutti quelli che lo richiedono, anche la mensa dovrebbe essere gratuita. Il comportamento degli amministratori protagonisti di questi episodi, oltre a essere indubbiamente barbarico e incivile, ci ricorda comunque che il tempo pieno è solo un servizio a domanda.

L’introduzione del cosiddetto “maestro unico” prospetta una scuola che intende garantire il minimo – leggere, scrivere e far di conto – e che offre tutto il resto a pagamento come una qualsiasi altra “agenzia formativa” presente sul territorio. Il diritto allo studio viene ridimensionato e quel che non viene più offerto si trasforma in servizio a domanda. Vuoi l’inglese, i laboratori o il tempo pieno? Non ci sono problemi, basta pagare. Questo è ciò che accade nelle scuole private: paghi una retta base e poi tutti gli extra sono a parte.

Ma se lo Stato riducesse progressivamente l’offerta di tempo pieno, i Comuni sarebbero in grado di garantirlo ugualmente? Da un punto di vista qualitativo no di sicuro, ma nemmeno da un punto di vista quantitativo.

Lo Stato per rispettare le direttive europee a proposito di contenimento del deficit e del debito pubblico, sta strangolando da anni i Comuni con il Patto di stabilità. Così come previsto dalla Legge n. 133/08, le Province e i Comuni con più di 5.000 abitanti dovranno risparmiare nel 2010 2.900 milioni e nel 2011 5.140 milioni.

Qualcuno dei sindaci lombardi che ieri a Milano ha manifestato contro il Patto di stabilità, ha dichiarato che per garantire i servizi sarà costretto a introdurre o a aumentare l’addizionale IRPEF comunale. È chiaro quindi che lo Stato scarica i problemi sugli Enti Locali che a loro volta li scaricano sui cittadini.

Passiamo a un altro episodio.

In un liceo scientifico bolognese, in due milanesi e chissà in quanti altri, il prossimo anno sarà offerto l’insegnamento della seconda lingua straniera, non previsto più dal riordino delle superiori, a pagamento: i genitori dovranno versare 100 euro all’anno. I dirigenti chiedono denaro senza problemi perché ritengono che la loro “utenza” se lo possa permettere e i genitori pagano senza batter ciglio.

Per ridurre il numero di insegnanti delle superiori hanno ridotto il tempo scuola. Per ridurre il tempo scuola hanno ridotto il numero di ore dedicate ad alcune discipline e ne hanno fatte sparire altre. Il potenziamento dell’insegnamento delle discipline ridimensionate o l’insegnamento di quelle scomparse sono stati trasformati in attività facoltative e opzionali. Quel che fino a oggi era un diritto è stato trasformato in un servizio a domanda.

Un diritto deve essere garantito a tutti i costi, un servizio a domanda no. La spesa per la garanzia di un diritto è a carico della collettività, quella per un servizio a domanda è a carico del singolo.

Nidi e materne, con la scusa che accolgono bambini al di fuori dell’obbligo di istruzione, sono classificati come servizi a domanda, quando i posti a disposizione si esauriscono non hai diritto a rivendicarne altri. È fondamentale quindi battersi affinché l’accesso ai nidi, alle materne e al tempo pieno sia un diritto e quindi completamente gratuito.

L’attenzione al tema della privatizzazione della scuola statale si sta comunque sempre più diffondendo tra i cittadini.

Quattro anni fa fu lanciata la campagna “Un rotolo per la Scuola Pubblica” per denunciare la riduzione dei finanziamenti per il funzionamento delle scuole. Recentemente è stato dato avvio alla campagna “La Scuola va a Rotoli” con le stesse identiche finalità, ma rispetto alla precedente il successo, in termini di sensibilizzazione dei cittadini al problema, è stato di gran lunga superiore. Cosa è cambiato? Quello che inizialmente era evidente a pochi, oggi è evidente a molti. In questi anni la progressiva e inesorabile riduzione dei finanziamenti ha prodotto danni così visibili da scatenare la reazione dei genitori: se all’epoca si tollerava, anche se con disappunto, la richiesta di portare qualche rotolo di carta igienica, adesso sembra assurdo dovere versare “liberamente” soldi alle scuole per permettere la stampa delle pagelle. Le cose sono peggiorate e parecchio. Le intenzioni di chi amministrava allora sono però identiche a quelle di chi amministra oggi, con la differenza che le conseguenze prima erano meno chiare di quanto lo siano adesso.

da www.retescuole.net