Andrea Orlando, responsabile Giustizia del PD, le pubblica su Il Foglio : verifica dei tempi giusti dei processi, riforma del CSM, una giustizia più semplice.
Mi applico ad un esercizio da molti consigliato. Facciamo per un attimo finta che il problema sia solo quello di far funzionare la giustizia. Dimentichiamoci Berlusconi, così come dei suoi processi da aggiustare e delle sue vendette da consumare e partiamo dalla giustizia civile dove, lontano dai riflettori, si consuma quotidianamente un disastro che potremmo definire “muto”. La rilevanza del tema sta innanzitutto nei numeri: le cause attualmente pendenti sono più di 5 milioni con una crescita media annua del 7,5 per cento. Per avere giustizia un cittadino attende anche sette anni e mezzo, passando 20 mesi in tribunale, 54 in Corte di Appello e la restante parte in Cassazione.Una volta giunta la sentenza, questa risulta spesso priva di qualsiasi effetto positivo per chi intendeva far valere un proprio diritto. Sul fronte dell’economia, l’inefficienza del sistema giudiziario compromette in modo serio la competitività del Paese e rappresenta un potente dissuasore agli investimenti esteri in Italia. Le ragioni di credito di molte famiglie e di tante piccole aziende risultano irrimediabilmente frustrate, aggravando oltremodo il peso dell’attuale crisi economica vista l’impossibilità di riscuotere in tempi ragionevoli i propri crediti. La situazione di disagio è ancora più grave al Sud e nelle Isole.
Queste brevi considerazioni definiscono l’enorme impatto che l’amministrazione della giustizia ha sul sistema economico e sui rapporti sociali.
C’è un’ emergenza, da qui dovremmo partire. Si tratterebbe di fare ciò che il governo avrebbe già la delega per fare, semplificare i riti del processo civile ed affrontare subito l’arretrato.
Fondamentale è il tema dell’organizzazione e delle risorse sottratte con l’ultima Legge Finanziaria: 1,1 Mld di tagli mentre occorrerebbero investimenti nell’informatizzazione e nel personale amministrativo.
Ancora una rivoluzione vera e possibile sarebbe una razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie: 165 tribunali, di cui 88 con meno di 20 magistrati, 7 tipologie di uffici giudiziarie, una distribuzione degli uffici assolutamente anacronistica ed irrazionale, producono un quadro di inefficienza complessiva insostenibile.
Guardiamo alla giustizia penale: un corpus ipertrofico di norme generate dall’ossessione securitaria e dalla sbornia forcaiola.
La combinazione tra ipertrofia delle norme penali, l’insufficienza del gratuito patrocinio, della difesa d’ufficio e l’abbreviazione dei termini delle prescrizioni ha generato un sistema processuale che punisce secondo criteri di classe: un’amnistia strisciante per chi può difendersi dal processo, (con buona pace del partito unico degli sceriffi) e pene disumane per i delinquenti più poveri.
Ci sono tre progetti di riforma del codice penale nel cassetto del ministro Alfano, tutti, compreso quello elaborato dal centrodestra nella legislatura 2001-2005 riducono il perimetro del diritto penale con l’effetto di decongestionare il sistema. Si tratterebbe di sceglierne uno.
Sul terreno strettamente processuale si potrebbe procedere ad una revisione del sistema delle notifiche ad una semplificazione delle impugnazioni, limitando il ricorso alla cassazione.
La questione dei tempi del processo o meglio della la sua ragionevole durata andrebbe affrontata riferendola sia all’ambito penale che a quello civile.
Si possono ipotizzare tempi massimi per la durata del procedimento ma questi dovrebbero essere parametrati distretto per distretto in rapporto alle risorse disponibili,al numero di magistrati in ruolo, al personale amministrativo e al numero dei procedimenti. Si potrebbe ipotizzare un percorso di convergenza pluriennale verso un range omogeneo a livello nazionale.
Il che rispetto al testo approvata dal Senato sul c.d. “processo breve” significherebbe eliminare le norme retroattive e legare i termini massimi indicati per i gradi di giudizio alla concreta situazione degli uffici giudiziari e ad un serio piano di investimenti sulle strutture e sul personale.
C’è infine il tema dell’organizzazione della magistratura e dell’azione penale, vera ossessione della maggioranza.
C’è una proposta di legge concernente l’elezione dl Csm a firma del senatore Ceccanti dalla quale si potrebbe partire dal giorno dopo del rinnovo del consiglio, che prevede un sistema elettorale basato su collegi uninominali con ripartizione maggioritaria, in grado di ridurre il peso delle correnti della magistratura associata.
Non ci sarebbe molto da fare in proposito di separazione delle carriere essendo già stata realizzata una sostanziale e sufficientemente rigida distinzione dei ruoli con la riforma ordinamentale, varata soltanto due anni fa.
Tuttavia sono ipotizzabili norme che rafforzino il criterio della distinzione dei ruoli, precisino le incompatibilità e i limiti temporali di permanenza nei diversi uffici.
Una specifica disciplina meriterebbe la limitazione all’elettorato passivo dei magistrati, di quelli che hanno svolto funzioni requirenti in particolare.
Sull’esercizio dell’azione penale sarebbe matura una riflessione sul superamento dell’obbligatorietà, sull’individuazione di priorità che non limitino l’indipendenza dei pm; ci sono diverse ipotesi in proposito ed una proposta di legge depositata dal Pd.
Infine si potrebbe affrontare quello che ha mio avviso è la questione centrale del sistema: l’efficacia dell’azione disciplinare.
La linea d’azione, credo dovrebbe essere quella di una distinzione maggiore di chi esercita questo tipo di giustizia domestica dal Csm con una sezione distinta o attribuendo il ruolo alla Cassazione,accrescendo così l’autonomia di chi è chiamato a valutare dei colleghi.
Anche in questo caso però la riflessione del legislatore dovrebbe partire dagli effetti prodotti dalle norme introdotte per la valutazione dei magistrati soltanto due anni fa.
Tre anni sono sufficienti per fare tutto questo senza necessariamente partire dal presupposto che si debba modificare la Costituzione. Eventualità alla quale ricorrere solo come estrema ratio.
Questo approccio consentirebbe di evitare, che ciò che si può fare in modo condiviso resti in ostaggio di ciò che divide.
Su questo terreno potrebbero incontrarsi una destra che riscoprisse la primazia della legge ed una sinistra che rammentasse che tra le sue radici c’è la cultura delle garanzie.
Sul terreno oggi scarsamente frequentato della moderazione.
Rischia di non andare così. La minaccia di modifiche costituzionali agitate come bandiere può portare all’ordalia: all’ennesimo referendum sul cavaliere dall’esito comunque pericoloso.
O l’assoluzione a mezzo plebiscito di Berlusconi ed il conseguente sfascio o la santificazione dello status quo con tutto il suo portato di inefficienze e corporativismi.
C’è ancora tempo, speriamo che serva.
Intanto la situazione è quella che è: si parla solo di intercettazioni e non anche di civile, di legittimo impedimento e non di condizioni del carcere, solo di separazione delle carriere e non anche di organizzazione degli uffici. Questo ci ricorda, se ce ne fosse bisogno che Berlusconi c’è, con tutta le sue incombenze la sua carica ideologica.
Se qualcuno fosse in grado di prescinderne almeno un po’, batta un colpo, noi ci siamo.
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Pubblicato il 9 Aprile 2010