Dopo un anno dal varo la legge voluta dalla Lega non riesce a decollare. Subito la spartizione degli immobili, tasse rinviate all’autunno. La riforma fiscale federale? Un cantiere che si può definire appena avviato, e il cui traguardo – la realizzazione di un sistema efficiente e funzionante di finanziamento per via tributaria di Regioni, province e Comuni – è ancora lontanissimo. La riforma approvata in Parlamento un anno fa stabilisce certo i «paletti» del futuro sistema, che definirà le risorse con cui le autonomie locali finanzieranno le molte funzioni di cui già godono. E soprattutto sosterranno una buona parte dei circa 215 miliardi di euro che già oggi le autonomie locali spendono ogni anno, e senza «responsabilità». Ma come spiega Enrico La Loggia, il presidente della «bicameralina» composta da 15 deputati e 15 senatori che dovrà dare un parere sui decreti attuativi predisposti dal governo, «il percorso è appena all’inizio».
Per adesso è arrivato il primo testo, quello sull’attribuzione dei beni del Demanio e del patrimonio finora in mano allo Stato centrale. Caserme, immobili, spiagge, strutture che hanno un valore diverso a seconda del loro utilizzo, e che diventeranno il «capitale» degli enti locali. Il testo sarà esaminato in dettaglio solo dalla prossima settimana, si finirà a maggio. Il resto seguirà, e il primo appuntamento importante arriverà a giugno, con la «mappa» del nuovo assetto federale, in cui saranno definite le risorse che spetteranno a ciascun livello di governo e i trasferimenti dallo Stato centrale che verranno cancellati. Attualmente sono circa 20 miliardi, di cui 14 a favore dei Comuni, 3 alle Regioni, 1,5 alle province. In autunno arriverà il decreto con il dettaglio dell’autonomia impositiva degli enti locali.
La materia è complicata, e non è un caso se intorno ai possibili schemi di applicazione del federalismo fiscale sono letteralmente anni che si scornano esperti e politici. È come cambiare il motore di una automobile mentre la vettura è in movimento. E poi – problema titanico – l’Italia è un paese squilibrato, con forti differenze tra aree ricche e povere, tra Nord e Sud, tra enti locali che sarebbero capaci di incassare i tributi propri e quelli che non ce la farebbero. «Saggezza ed equilibrio – dice La Loggia – devono essere la nostra stella polare. Alla fine sarà una svolta epocale, ma occorre creare quanto più equilibrio possibile tra le diverse zone territoriali del paese, senza penalizzare chi sta meglio ma facendo di tutto per far star meglio chi sta peggio». Come spiega l’ex-ministro – indicato come presidente della Bicameralina nonostante l’intesa per nominare un esponente del Pd – «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e lì si varrà la nostra “abilitate”».
La procedura legislativa è davvero complicata. La Commissione esamina i decreti predisposti dal governo (cioè da Tremonti) sulla scorta dei pareri della Conferenza Stato-Città, delle commissioni competenti, e di un Comitato di 6 presidenti di Regioni, 2 presidenti di provincia e e 4 sindaci. In più c’è l’importantissima Commissione tecnica paritetica Stato-Regioni-Enti locali, presieduta dal professor Luca Antonini, un esperto di fisco molto vicino al superministro Giulio Tremonti. Che parallelamente ha aperto un altro cantiere, quello della riforma fiscale. In altre parole, quel che dice Antonini è fondamentale. E parlando al «Corriere della Sera» Antonini ha già delineato alcune idee interessanti: saranno raddoppiate le addizionali Irpef, le Regioni saranno finanziate da un’Irap riveduta e corretta e da una forte compartecipazione all’Iva, basata sul gettito effettivamente riscosso. I Comuni, oltre a una quota dei tributi nazionali, potrebbero usufruire del gettito della nuova cedolare secca del 20% sugli affitti e dell’imposta di registro. Per adesso solo ipotesi.
La Stampa 08.04.10