Come mai il mondo dei piccoli imprenditori, dei lavoratori autonomi e degli artigiani che, secondo le indagini del Corriere della Sera doveva essere sul piede di guerra, ha tributato un plebiscito alla Lega? Un partito che ha sostenuto un governo imbelle di fronte alla crisi più pesante del dopoguerra, che ha assistito alla distruzione di più di 300.000 lavori autonomi, a un incremento del 16 per cento del numero di fallimenti di piccole imprese.
Un partito che ha lasciato aumentare ulteriormente la pressione fiscale. Come ha fatto allora la Lega a ottenere percentuali bulgare nel Trevigiano e nel Vicentino? Ci sono almeno tre spiegazioni.
Prima spiegazione: leggo in molti commenti sul dopo voto che d´ora in poi la Lega sarà determinante nell´azione di Governo, ma la verità e che ha già pesato tantissimo sulla politica economica dell´esecutivo. Ha già strappato molte concessioni per i gruppi da lei rappresentati. La Cassa Integrazione in deroga, pagata da tutti i contribuenti e non dalle imprese ed erogata con discrezionalità quasi totale della politica, è, dopotutto, un´invenzione della Lega. Ha dato più risorse al tessile della bergamasca che a molte altre aziende che avevano altrettanto bisogno di aiuto (e un futuro meno improbabile) in altre parti del paese. Nelle province dove la Lega governava, vi è stato un ricorso massiccio a questo strumento: Brescia, ad esempio, ha raccolto il 20 per cento dei fondi stanziati in Lombardia quando il suo peso sull´occupazione della Regione supera di poco il 10 per cento. Ma ci sono tanti altri trasferimenti occulti, di cui non si ha traccia. Il fatto è che il Governo ha aperto in questa legislatura tanti piccoli rubinetti discrezionali, tutti di piccola entità, ma in gran parte gestiti direttamente dai politici locali che hanno potuto così farsi belli di fronte agli elettori. È stato fatto tutto fuori dalla Finanziaria. Nel 2009 ben cinque decreti, che hanno mobilitato risorse per 16 miliardi, un punto di pil. Non facendo parte della legge di bilancio, non potevano alterare i saldi, cambiavano solo la composizione della spesa o delle entrate. Ma sono serviti eccome per farsi riconoscere da chi beneficiava di un sussidio, anche se magari ciò che gli veniva dato con una mano veniva poi tolto con l´altra.
La seconda spiegazione è che la pressione fiscale è aumentata in modo tutt´altro che uniforme e permettendo a molte piccole imprese di mettersi al riparo da futuri accertamenti del fisco. Si è proceduto allo smantellamento di strumenti di prevenzione della micro-evasione (ad esempio l´obbligo di allegare alla dichiarazione Iva gli elenchi clienti/fornitori), sono state abolite le limitazioni nell´uso di contanti e di assegni; la tracciabilità dei pagamenti e la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati. Operazioni tutte molto popolari. Alle piccole imprese dei “distretti industriali” (ovviamente definiti dalla politica) è stata anche offerta la possibilità di concordare, in anticipo, per tre anni, le imposte dovute, anche per i tributi locali, specificando che «in caso di osservanza del concordato i controlli sono eseguiti unicamente a scopo di monitoraggio». E poi c´è stato lo scudo fiscale il cui dato più eloquente è l´altissimo numero di aderenti (più di 200.000) per importi relativamente limitati (attorno ai 450.000 euro a testa). Insomma, tanti piccoli scudi.
La terza spiegazione è che paradossalmente le prime elezioni con campagna elettorale sul web hanno mostrato come non si possa competere in politica facendo a meno di un partito. L´astensionismo ha esaltato l´unico partito oggi esistente al Nord. A trionfare non è stato l´amore, ma il partito che ha portato i propri militanti a votare. Un partito sempre più di potere al Nordest e Nordovest e ancora di lotta in Emilia, nella bassa Padania e in Toscana dove non a caso è più forte dove sono più numerose le comunità di immigrati cinesi. Nei suoi territori storici la Lega occupa e gestisce, con metodo e continuità. Ci vuole un partito per farlo, per selezionare e formare una classe dirigente locale e per far sì che questa presìdi e allarghi il suo raggio di influenza cooptando persone che obbediscono allo stesso capo. La Lega sceglie i suoi esponenti nei borghi, richiede l´identificazione in una comunità locale e l´accettazione da parte di questa per essere riconosciuto come militante. Poi per diventare amministratori locali e fare carriera bisogna fare la gavetta e offrire prove di fedeltà. Non contano invece le apparenze, neanche quelle televisive. La Lega in tutti questi anni è il partito che ha portato più giovani in Parlamento e nei consigli comunali e regionali. Si dice che i giovani trovino più spazio nella Lega perché danno meno problemi, rispettano le gerarchie. In effetti, gli eletti della Lega (sia in Parlamento che nelle amministrazioni locali) sono poco istruiti, difficilmente riescono ad imporre il loro punto di vista. Ma gli elettori della Lega non guardano tanto alle qualità dei singoli. Conta che rappresentino il loro territorio. Vale la targa più che il curriculum.
È una forma partito difficilmente esportabile. Perché richiede un capo carismatico. E perché è da piccolo centro, dove è possibile avere un rapporto diretto con l´elettorato e non c´è bisogno dei media per raccogliere consensi. Al posto dei grandi potentati locali degli altri partiti, ci sono tanti “piccoli politici” di borgo con scarso potere contrattuale nel partito, per lo più sconosciuti al grande pubblico, che hanno il pregio di stare in mezzo alla gente, come dovrebbero fare tutti i bravi sindaci. Nel voto dello scorso fine settimana questi borghi hanno come cinto d´assedio i capoluoghi di regione. Una volta si diceva che solo un torinese avrebbe potuto governare il Piemonte. Da lunedì sappiamo che non è più così. E chissà se avremo presto anche un varesino alla guida di Milano.
Ora che governa in prima persona un sesto del Paese, la Lega dovrà per forza di cose cambiare il suo rapporto con l´elettorato. Dovrà anche trovare una sintesi fra particolarismi di cui sin qui non è stata capace (basti pensare a come non ha saputo gestire il dualismo fra Malpensa e Linate). E soprattutto non avrà più scuse per rimandare il federalismo, quello vero, non quello dei borghi medioevali che cingono d´assedio le grandi città, ma quello che si gioca sull´asse Nord-Sud e che è da sempre nei proclami della Lega. È una prova difficile perché la Lega sin qui non ha saputo governare in grande. Proprio per questo, chi oggi intende contrastare il dominio della Lega dovrebbe compiere il passo opposto, organizzarsi per operare come partito anche sulla piccola scala, lontano dai riflettori, dimostrando come sia possibile affrontare le crisi locali senza le deroghe e le eccezioni. La prima sfida sarà proprio quella dell´uscita dalla Cassa Integrazione in deroga.
La Repubblica 04.04.10
Pubblicato il 5 Aprile 2010